Key words: Delusions • Erotomania • Personality • Affection
Correspondence: Dr. Sandro Domenichetti, Psichiatra, Dipartimento Salute Mentale, Firenze, via G. Ricci 11, 50141 Firenze, Italy
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Sto aspettando un arrivo, un ritorno, un segnale promesso. Ciò può essere futile o infinitamente patetico: in Erwartung (attesa), una donna aspetta, nella foresta, di notte, il suo amante; io sto aspettando solamente una telefonata, ma è la stessa angoscia. Tutto è solenne: non ho il senso delle proporzioni.
Schonberg
Introduzione
L’amore e il desiderio di possedere l’altro e di esserne posseduti, con le conseguenze che questi stati d’animo possono avere sul destino di una persona, sono stati e sono al centro della produzione artistica d’ogni tempo. I Remedia Amoris di Ovidio, I Dolori del Giovane Werther di Goethe e L’Educazione Sentimentale di Flaubert erano anche veri e propri trattati sull’amore. Ai tempi di Shakespeare e di Milton fu pubblicato l’Anatomia della Malinconia di Robert Burton (1), uno dei più grandi libri sull’amore e per la seconda volta nella storia del pensiero occidentale, dopo la tragedia greca, fu possibile osservare gli aspetti irragionevoli e patologici della natura umana senza dover attribuire il male ad un’entità esterna all’uomo, come il Diavolo. Burton considera l’amore una specie di malinconia, una condizione in continuo mutamento, nella quale si passa per la felicità del desiderio di possedere, la sofferenza erotica arrivando alla pace del possesso e Avicenna, medico e filosofo persiano del Medioevo, definisce la passione “una malattia della malinconia, un’irritazione o angoscia dello spirito, nella quale l’uomo continuamente medita sulla bellezza, sui gesti e sui modi della sua amante e se ne cruccia” (2). Poi, anticipando Freud, dice: “Oltre che a ciò che amiamo, non cessiamo di pensare a ciò che odiamo e aborriamo; e molte cose desideriamo ardentemente e agogniamo senza alcuna speranza di ottenerle”. Quest’idea dell’amore come sintomo della malinconia fu molto popolare nel Rinascimento; lo stesso Shakespeare introducendovi la dimensione poetica trasforma l’amore in pazzia: “Amanti e pazzi hanno fervida mente, fecondo immaginar, che concepisce più idee che la ragione non intenda. L’insensato, l’amante e il poeta son tutti fantasia” (3). Alla fine del XVII secolo iniziò un cambiamento radicale di questa concezione, l’amore sempre più fu legato al matrimonio; Hagstrum (4) ha individuato in Milton un sostenitore di questo mutamento. L’amore, in Milton, crea il matrimonio come il sole crea il giorno, e quando l’amore tramonta viene la notte. La psicoanalisi s’impossessò a suo modo dell’idea di Milton e sostenne che l’innamoramento è il normale presupposto per la creazione di un rapporto d’amore duraturo.
Fino a poco tempo fa la scienza aveva un atteggiamento di reverenza nell’affrontare questo argomento, anche perché priva di strumenti d’indagine che le permettessero di affrontarlo superando la sola introspezione. Lo studio della patologia dell’amore, l’erotomania, potrebbe funzionare, a mio parere, da ponte tra letteratura e scienza. Desiderio e amore sono prodotti del nostro cervello e indirizzano il comportamento verso un fine concreto. Nei primi studi alla ricerca delle regioni cerebrali, sede dei centri dell’amore/desiderio/dipendenza, queste furono individuate nella parte laterale dell’ipotalamo. Tuttavia, ben presto ci si accorse che questo presunto centro non si trovava in quella regione; l’attenzione si concentrò allora su un sistema di neuroni che ha origine nel mesencefalo e passando per l’ipotalamo laterale arriva a vaste aree del proencefalo. L’amore, dunque, come prodotto di una complessa integrazione tra aree cerebrali.
Erotomania, questo è il termine con cui la cultura psichiatrica fin dal 1800 indica la “follia d’amore”, sradicandola così dalla dimensione esistenziale, come percezione e comprensione di un sentimento e collocandola nell’area della patologia dove difficile è ritrovarne l’aspetto del sentire/sentimento.
Esquirol ne definisce le caratteristiche essenziali: la certezza di essere amato, il comportamento paradossale e contraddittorio dell’affetto, la supposta libertà sentimentale.
Nel 1909 Sérieux e Capgras la classificano come “delirio erotico”, inserita nelle sindromi deliranti e distinta in due categorie: un delirio d’interpretazione e uno di rivendicazione.
Tuttavia è De Clérambault che studia e descrive con maggiore precisione e interesse il delirio d’amore. L’impresa era particolarmente difficile perché da una parte si trattava di indagare nel campo dell’amore, da sempre luogo inaccessibile e sfuggente, dall’altra perché il rischio di una semplice descrizione fisiopatologica era sempre presente. Del resto nell’erotomania, come nella paranoia, il limite tra normalità e patologia diventa sfumato e indistinto.
De Clérambault entra e rischia, con lucidità, dentro questo coacervo di pensieri e sentimenti, articolando la follia d’amore in due passaggi: l’asserzione e i meccanismi proiettivi.
“Il delirio erotomanico si sviluppa in tre stadi: la speranza, il dispetto, il rancore” (5). La speranza, il desiderio d’amore, costituisce la premessa fondamentale; se questo è l’inizio rapidamente subentra la rabbia, appunto un insieme di dispetto e rancore. Si delinea qui la caratteristica dell’erotomania descritta da De Clérambault: l’incertezza, la fluttuazione del pensiero amoroso, coerentemente ai rapidi cambiamenti degli stati d’animo. Affermatosi il dominio della rabbia, l’oggetto d’amore diventa oggetto d’odio, delegato a render conto della mancanza d’amore, la colpa per definizione. Così l’erotomane, come il paranoico, ha strutturato il delirio; da quel momento è una sua continua ripetizione, la fase creativa e incerta cede il passo alla certezza dell’assenza e della colpa dell’altro.
Il “nodo ideo-affettivo”, come De Clérambault lo definisce, è già costituito fin dall’inizio e rimane fino all’ultimo inalterato: il processo delirante non ha contaminazioni con l’esterno, è invece ristretto al suo oggetto e per questa limitazione facilmente prevedibile nei suoi ritmi e passaggi.
“Lo sguardo fascinoso” ha fatto scattare le premesse di una totale intesa con l’altro/a. Il tentativo d’incontro è sempre talmente goffo e inopportuno che fa sospettare che la vera domanda non fosse quella dell’incontro, ma una situazione in cui l’oggetto d’amore è protagonista come il soggetto ha stabilito e predeterminato. Così il conflitto presenza-assenza è il luogo mentale ed emotivo dove il delirante agisce soprattutto per eliminare l’incontro perché vissuto come intrusivo e disturbante la perfezione del sentimento immaginato.
Se nella paranoia il delirio ingloba ogni significato di senso eliminandone le contraddizioni per renderlo coerente al pensiero dominante, nell’erotomania al contrario il delirio si forma nella prima fase della negazione e lì si arresta e le contraddizioni del reale sono presenti e attive: il mondo è limitato e ristretto ai fatti di quella passione condizionata da leggi già scritte.
Nelle storie erotomaniche, anche in quella di cui riferirò, manca il segno distintivo della passione, dell’amore, la trepidazione, l’ansia e perfino, nonostante tutto, la gelosia che, quando è presente, è la costruzione del soggetto. Il processo della negazione non è illogico, sono rispettate tutte le premesse logiche: così se l’oggetto è indifferente o addirittura ostile sono sentimenti giustificati dal precedente comportamento altrettanto disprezzante del soggetto. Il tutto si chiude in una perfetta circolarità, ogni incertezza è espulsa, negando così la premessa d’ogni passione amorosa, il desiderio dell’incontro, la scoperta dell’Altro e della sua alterità (6).
Se per Freud (7) l’erotomania rientra nel vasto settore delle psicosi, dunque il meccanismo della proiezione è l’elemento centrale, con Lacan (8) la certezza del soggetto trova il suo tratto decisivo. Nella follia d’amore vi è una netta “forclusione” al livello simbolico, la metafora è impedita, il soggetto è inchiodato al concreto e legato al suo destino di morte.
Gli erotomani così, per la struttura logica ed insieme delirante con cui organizzano il mondo dell’amore, rientrano nel più vasto campo della paranoia.
Nel corso degli anni, con la descrizione di nuovi casi, si è avuta una tendenza ad ampliare e chiarire i criteri diagnostici: il sesso maschile è sempre più rappresentato, così l’omosessualità. Nella loro indagine, condotta per lo più su maschi, Mullen e Pathè (9) concludono che, per intrusività e pericolosità, tali pazienti risultano predominanti. Casi d’omosessualità compaiono nelle ricerche di Lovett Doust e Christie (10), di Enoch et al. (11), di Raskin e Sullivan (12) e di Wenn e Camia (13).
Mullen e Pathè (9) hanno riferito di un gruppo di 16 pazienti sofferenti di “patologia dell’amore” con comportamenti di molestie assillanti. Gli Autori hanno distinto la “convinzione morbosa di essere amati” dall’”infatuazione morbosa”. Nella convinzione morbosa di essere amati il paziente mantiene tale credenza benché l’oggetto individuato non faccia nulla per incoraggiarla o mantenerla; al contrario, se ne ha la possibilità, l’oggetto cerca di chiarire il malinteso senza successo, perché le sue parole e azioni sono reinterpretate dal molestatore come conferma della reciprocità dell’interesse; nelle infatuazioni morbose la convinzione che il sentimento sia ricambiato manca, ma, come quelli appartenenti al primo gruppo, questi soggetti mostrano intensa polarizzazione ideo-affettiva sulle vittime che occupa la maggior parte della loro esistenza, con ripetuti tentativi di approccio, diretti e indiretti. Gli Autori contestano il requisito della convinzione di essere amati per porre diagnosi di erotomania pura e, passando in rassegna gli studi sulla personalità premorbosa, concludono: “Un individuo socialmente inetto, isolato, vuoi per ipersensibilità, per diffidenza o per implicita presunzione di superiorità. Di queste persone si tende a ritenere che conducano esistenze socialmente svuotate … In esse il desiderio di un rapporto è controbilanciato dal timore del rifiuto, come dalla paura di un’eventuale intimità, sia sessuale sia emotiva” (9).
Arieti e Meth (14) hanno suggerito che l’erotomania possa essere un comportamento difensivo contro la depressione e la solitudine, soggetti che si inventano un mondo totalmente intrapsichico.
Tuttavia l’autonomia di questa costruzione delirante è sempre messa in dubbio. Nel Trattato Italiano di Psichiatria (15) l’erotomania è accennata nel capitolo della patologia della coscienza dell’Io e in quello della semiotica del delirio, fino alla desertica definizione del DSM-IV: disturbo delirante, tipo erotomanico, che viene caratterizzato dalla presenza di un sistema delirante non bizzarro, perdurante per almeno un mese, dove sono ammesse allucinazioni, soprattutto tattili e olfattive se connesse al tema delirante. Per porre la diagnosi del disturbo, il funzionamento psicosociale ed il comportamento (a parte per quanto concerne direttamente il delirio) non devono essere compromessi in modo rilevante e devono essere esclusi i casi dove alterazioni dell’umore risultano preminenti, come pure quelli considerati secondari agli effetti di sostanze o condizioni mediche generali. Il tipo erotomanico prevede la convinzione delirante che “un’altra persona, generalmente di rango superiore, sia innamorata del soggetto”. Il Manuale annota che comportamenti di stalking (chiamate telefoniche, lettere, doni, visite, sorveglianza e pedinamento) sono comuni e sottolinea che, mentre gli esempi clinici sono prevalentemente femminili, quelli forensi presentano una predominanza di maschi, che tendono ad entrare in conflitto con la legge nei loro sforzi di inseguire l’oggetto del loro delirio o in maldestri tentativi di “liberarlo” da qualche pericolo immaginario. Le principali controversie circa questo tipo del Disturbo Delirante hanno riguardato la sua reale indipendenza come entità nosologica distinta da altri disturbi psicotici (in particolare la Schizofrenia, ma anche i Disturbi dell’Umore). D’altra parte, anche il requisito della credenza da parte del paziente che l’oggetto sia innamorato come nel postulato De Clérambaultiano è stato contestato. Altri studi la mettono in relazione a lesioni organiche, come l’emorragia subaracnoidea per rottura di un aneurisma o l’epilessia post-trauma cranico (16) (17).
La storia
Luca, questo è il nome del paziente, arriva nel nostro ambulatorio nel febbraio del 1998.
Ha 23 anni, vive in famiglia con i due genitori, un fratello più piccolo e una sorella più grande. I genitori sono entrambi in pensione seppur relativamente giovani e si dedicano con impegno ad attività di volontariato. Il fratello ha finito gli studi tecnici e sta cercando lavoro, la sorella frequenta il secondo anno della facoltà d’agraria.
Luca si è diplomato in agraria e poi ha svolto il servizio militare nella Polizia dove poi si è trattenuto dimettendosi, però, poco dopo argomentando: “Non mi piaceva più”. Luca ha a quel tempo già raccolto la prima denuncia per molestia. Denuncia che una ragazza ha dovuto fare viste le sue progressive e invadenti attenzioni. Ragazza che lui aveva “visto” nel gruppo d’amici presso una parrocchia e se ne era “perdutamente” innamorato, senza essere corrisposto. Esplorato su questo, Luca lo spiegava non come rifiuto della ragazza, ma effetto della timidezza di lei. Tutto aveva preso inizio da uno sguardo e da allora in lui era maturata l’incrollabile convinzione di quest’amore. La realtà via via era percepita e spiegata soltanto con questa “lente”, la sua vita era esclusivamente concentrata su questo “sogno/desiderio”. Il contenuto mentale assume così l’assetto che ancor oggi troviamo, persecutorio (“il mondo mi è nemico”) e ossessivo (“non riesco a togliermela dalla testa”). Si chiude in casa, lascia il lavoro, esce soltanto per andare sotto le finestre della ragazza, per parlarle, accumulando in realtà varie denunce e ricoveri in reparto psichiatrico.
I genitori descrivono l’adolescenza di Luca come quella di un ragazzo violento, teso ad imporre il proprio dominio in famiglia, insensibile alle critiche che viveva spesso come inaccettabili offese. Non sono riferite relazioni sentimentali, tanto meno sessuali. Questa ragazza è la sua “prima” donna.
Il padre racconta di aver sofferto in passato di gravi crisi depressive trattate farmacologicamente e afferma che il suo ruolo in famiglia è continuamente contestato e marginalizzato; a proposito della vicenda egli ha spesso accompagnato il figlio presso l’abitazione della ragazza per “proteggerlo”, ma in realtà ne condivideva l’angoscia e la disperazione. La madre al contrario si presenta attiva e si descrive come una persona con una forte vocazione “altruistica”: militante sindacale, impegnata nel volontariato religioso e ultimamente impegnata nell’assistenza ai propri genitori. Non ha mai tempo per sé.
Luca non ha nessuna coscienza di malattia e quindi assume con saltuarietà e difficilmente le terapie farmacologiche; preferisce l’approccio psicoterapico, ma dopo poco tempo il terapeuta è messo nel novero dei persecutori, come un ulteriore personaggio che attivamente gli impedisce di parlare con la “sua” ragazza e così via, senza alcun cambiamento.
Il sistema familiare si permea sempre più d’elementi deliranti diventando disperatamente rigido e altamente strutturato, inavvicinabile. Almeno fino alle vere e proprie crisi psicotiche di Luca, allorché chiedono aiuto.
È questo lo spazio dove c’è permesso operare: la struttura delirante omeostatica e la rottura psicotica. Qui bisogna conquistare la dimensione terapeutica.
In una delle tante lettere Luca così esprimeva il proprio vissuto: “Quando la vedo mi apposto e l’abbraccio affinché il muro che ci divide si rompa e poi tutto viene da sé …”.
Conclusioni
Lo svolgersi della vicenda di Luca ci richiama agli elementi costitutivi d’ogni struttura delirante dal punto di vista della costruzione narrativa e dei vissuti mentali: il narcisismo ferito e l’iperbole megalomanica.
In quest’ambito l’elaborazione psicoanalitica dà un contributo di comprensione essenziale per l’approccio terapeutico. Freud si è avvicinato all’idea di mettere insieme il sogno e il delirio. Alcuni anni dopo “L’interpretazione dei sogni”, nel “Delirio e sogni nella Gradiva di Jensen” (18) evidenzia la realtà e la trama del delirio con falso riconoscimento di Hanold. Questi fantastica che la giovane incontrata a Pompei sia la Gradiva antica. Hanold delirava con lo stesso meccanismo psicogeno di tutti i sogni che faceva via via nel suo viaggio: ritrovare l’antico amore, da lui amata, desiderio tuttavia impedito dalla colpa incestuosa. Anche nel caso del presidente Schreber, tutta la complessa struttura della sua Dementia Paranoides era riferita al desiderio di realizzare l’amore impossibile per il padre evidenziato drammaticamente dal delirio.
Bak (19) nel 1973 ha risottolineato il rapporto tra amore e melanconia. Quando è innamorato il Sé è sopraffatto dall’”oggetto buono”, nel suicidio dall’”oggetto cattivo”; in entrambi i casi l’oggetto è stato incorporato nel Sé. Il bisogno pressante dell’amore è di evitare il dolore della perdita dell’oggetto. Bak considera l’amore una condizione precaria, perché se il tentativo di trovare un sostituto della persona fallisce, l’amore può trasformarsi in malinconia o in suicidio. Secondo questo autore, l’erotomania getta luce sulla molteplicità dell’amore. L’erotomania è l’ultimo e più disperato tentativo di riconquistare l’oggetto perduto; se questo fallisce vi è un’ulteriore regressione verso l’indifferenziazione del Sé con l’oggetto. Bak pensa che il crollo sia già in atto prima dell’innamoramento: l’amore è un disperato tentativo di prevenirlo.
Nel 1936 la Schmideberg (20) notò che l’innamoramento è un lenitivo delle angosce paranoiche e della depressione. A suo avviso, in amore si proiettano sulla persona amata sia gli “oggetti buoni” sia le parti buone del Sé. Le ambivalenze sono controinvestite dall’idealizzazione e, poiché l’angoscia paranoide costituisce il fondamento della passione amorosa, l’amore può trasformarsi in odio.
La Jacobson (21) non si è occupata direttamente di questo tema, tuttavia l’interesse per le ciclotimie e per l’identificazione psicotica l’hanno portata a fare alcune considerazioni sul tema dell’amore. I pazienti ciclotimici manifestano una dipendenza narcisistica e infantile dai loro oggetti d’amore, vivono, per così dire, attraverso il partner idealizzato e sono fieri di questa capacità idealizzante come elemento che struttura la loro unicità. Quando questo processo narcisistico non riesce, i ciclotimici rompono la relazione incolpandone la persona amata.
Nelle identificazioni psicotiche la patologia è ancora più profonda. Per questi pazienti la possibilità di rompere i confini del sé e di fondersi con un’altra persona è una catastrofe psichica. In questa situazione capiamo come una delle condizioni necessarie per un amore durevole è la certezza dei confini del sé. La tendenza a spostare l’aggressività dalla rappresentazione del Sé a quella dell’oggetto e viceversa rende difficili i rapporti d’amore.
Kretschmer (22), nella sua costante frequentazione con il mondo delirante, ha individuato un percorso clinico all’interno del quale il delirio è lo sbocco di emozioni imbrigliate nella triade angoscia-vergogna-rabbia, che si articolano in assetti di personalità che definì “sensitive”. L’Autore valorizza le emozioni nella genesi del delirio, vale a dire che il dare senso si impianta sull’asse affetti-delirio e sulla relazione Io-mondo, creando un modello delle sindromi deliranti che si rivolge a tutti i collegamenti coglibili, anche frammentati, tra affetti e delirio e fra questi e i fatti della vita. Ballerini e Rossi Monti, in un interessante lavoro sul delirio sensitivo di Kretschmer, sottolineano la ferita del Sé come momento fondamentale di ogni evoluzione delirante, “se concepiamo il delirio secondo una legge di equifinalità per questo si può arrivare a esso da punti di partenza molto diversi … vi sono tuttavia alcuni punti del percorso che costituiscono una sorta di valico, di esperienza matriciale comune …” (23).
Quindi il delirio erotomanico, come ogni altro delirio, si configura come una fantasia atta a soddisfare un desiderio dentro un processo mentale d’origine narcisistica, caratterizzato dalla narrazione, dalla funzione strutturante e infine vera e propria costruzione difensiva e restaurativa.
Dalla vicenda di Luca emerge un ulteriore elemento del mondo delirante: il nucleo di verità storica. Una costruzione intermedia tra reale e fantastico, e consolida la realtà in rapporto al mondo interno e alla fantasia. Questo nucleo di verità è di estrema importanza, perché è da esso che si ha una possibilità di trattamento psicoterapeutico. Detto in altro modo, mentre alla base del delirio vediamo il narcisismo delle parti infantili, alla base della guarigione stanno le parti più adulte e genitoriali con il loro senso di realtà, di protezione e compassione.
Insomma anche il delirio erotomanico, da questo punto di vista, è la ricerca di una relazione con il mondo esterno allorché questa è irrimedialmente fratturata. Il delirio, dunque, come possibile relazione all’interno di una dimensione narcisistica, il limite oltre il quale s’intravede la rabbia frantumante della psicosi. Punto d’incontro tra desiderio d’onnipotenza e processi mentali, per alcuni unica dimensione per esistere.
1 Burton R. Anatomia della malinconia (1627). A cura di J. Starobinski, Venezia: Marsilio 1983.
2 Bergman MS. Anatomia dell�amore. Torino: Einaudi 1992.
3 Shakespeare W. Sogno d�una notte di mezza estate. Torino: Einaudi 1958.
4 Hagstrum JH. Sex and sensibility: ideal and erotic love from Milton to Mozart. University of Chicago Press 1980.
5 De Clérambault GG. Le psicosi passionali. L�erotomania. Pisa: Edizioni ETS 1993.
6 Lorenzi P. Infatuazioni morbose. Estensioni patologiche dell�esperienza di innamoramento. Minerva Psichiatrica 1997;4:215-22.
7 Freud S. Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia. In: Opere. Torino: Bollati Boringhieri 1989, vol. 6.
8 Lacan J. Scritti. Torino: Einaudi 1974.
9 Mullen PE, Pathe M. The pathological extension of love. Br J Psychiatry 1994;165:614-23.
10 Lovett Doust JW, Christie H. The pathology of love: some clinical variants of de Clérambault�s syndrome. Soc Sci Med 1978;12:99-106.
11 Enoch MD, Trethowan WH. Uncommon Psychiatric Syndromes. Bristol: John Wright 1979.
12 Raskin D, Sullivan KE. Erotomania. Am J Psychiatry 1974;131:1033-5.
13 Wenn R, Camia A. Homosexual erotomania. Acta Psychiatr Scand1990;85:78-82.
14 Arieti S, Meth M. American Handbook of Psychiatry. New York: Basic Books 1959;1:525-51.
15 Pancheri P, Cassano GB, eds. Trattato Italiano di Psichiatria. Milano: Masson 1999;1:438-528.
16 Signer SF, Cummings JL. De Clérambault�s sindrome in organic affective disorder. Two cases. Br J Psychiatry 1987;151:404-7.
17 Anderson CA, Camp J, Filley CM. Erotomania after aneurysmal subarachnoid hemorrhage: case report and literature review. J Neuropsychiatry Clin Neurosci 1998;10:330-7.
18 Freud S. Gradiva. Il delirio e i sogni nella “Gradiva” di Wilhem Jensen. OSF Torino: Boringhieri 1974, vol. V.
19 Bak R. Being in love and object loss. Inter J Psychoanal 1973;54:1-7.
20 Schmideberg M. A note on suicide. Inter J Psychoanal 1936;17.
21 Jacobson E. Contributions to the metapsychology of psychotic identifications. J Am Psychoanal Ass 1987;2:239-62.
22 Kretschmer E. Der sensitive beziehungswahn. Berlino: Springer 1918.
23 Ballerini A, Rossi Monti M. La vergogna e il delirio. Torino: Boringhieri 1990.