Trattamento farmacologico del disturbo borderline di personalità

Borderline Personality Disorder: pharmacological treatment

L. MARCHIARO, F. MARINO, C. MONTEMAGNI, E. RIVOIRA, P. ROCCA, F. BOGETTO

Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Psichiatria, Torino

Key words: Borderline Personality Disorder • Psychopathological dimensions • SSRI • neuroleptics • Atypical antipsychotics

Correspondence: Dr. Paola Rocca, Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Psichiatria, Università di Torino, via Cherasco 11, 10126 Torino, Italy – Tel. +39 11 6634848 – Fax +39 11 673473 – E-mail: paola.rocca@unito.it

Il trattamento dei disturbi di personalità è sempre stato considerato con pessimismo. La difficoltà a individuare bersagli sindromici precisi e stabili, anche in conseguenza di strumenti d’indagine clinica meno raffinati, aveva suggerito come terapia di prima scelta la psicoterapia intensiva, a lungo-termine, orientata a modificazioni strutturali, mentre il trattamento farmacologico era considerato secondario, a breve termine e orientato sui sintomi. Nelle ultime due decadi, le nuove acquisizioni nella clinica e nella biologia dei disturbi di personalità hanno stimolato l’elaborazione di modelli teorici che hanno fornito il razionale per il loro trattamento farmacologico. La distinzione concettuale tra disturbi di Asse I, orientati sui sintomi, che si accentuano e si riducono, spesso con un decorso episodico, e i disturbi di personalità di Asse II, considerati caratteristici di un individuo nel corso della vita, è stata messa in discussione dagli studi di farmacoterapia che hanno suggerito un substrato biologico per i tratti pervasivi e inflessibili della personalità modificabili dal trattamento farmacologico.

La farmacoterapia dei disturbi di personalità si è sviluppata seguendo tre diversi modelli concettuali (1):

1) La farmacoterapia tratta direttamente il disturbo di personalità. Questo approccio si basa sull’assunto che i farmaci vanno ad agire sulle alterazioni neurobiologiche che sono alla base dei tratti maladattativi. Secondo questa prospettiva, la manipolazione farmacologica dei sistemi neurobiologici può modificare la disposizione al disturbo e promuovere un migliore funzionamento, producendo gradualmente cambiamenti del comportamento e dell’adattamento.

2) La farmacoterapia tratta i cluster sintomatologici nucleari. È un approccio dimensionale, che ha come bersagli le quattro dimensioni che riflettono una compromissione nelle aree dell’organizzazione cognitiva/percettiva, del controllo del comportamento, della stabilità affettiva e della soppressione dell’ansia. Questo approccio è quello privilegiato in clinica.

3) La farmacoterapia tratta i disturbi di Asse I in comorbilità. Questo approccio si basa sull’evidenza che frequentemente i disturbi di Asse I si presentano in comorbilità ai disturbi di personalità. Il primo bersaglio della terapia è il disturbo di Asse I, la cui remissione determinerebbe un miglioramento della psicopatologia del disturbo di Asse II e la possibilità di intervenire con altre forme di terapia. Questo approccio, il più tradizionale, riceve nell’attuale riconcettualizzazione del trattamento dei disturbi di personalità poco consenso.

Data l’importante sovrapposizione tra le varie categorie diagnostiche, l’approccio farmacologico, così come quello biologico, ai disturbi di personalità è sostanzialmente di tipo dimensionale, trovando il suo razionale nei modelli psicobiologici dei disturbi di personalità e nel modello neuro-bio-comportamentistico del temperamento. L’approccio dimensionale organizzato su specifici dimensioni sintomatologiche nucleari, piuttosto che su una specifica diagnosi, sembra avere una maggiore utilità nella scelta e nel monitoraggio della terapia farmacologica. Le quattro dimensioni dei disturbi di personalità che sono state caratterizzate (cognitiva/percettiva, impulsività/aggressività, instabilità affettiva ed ansia/inibizione) mostrano un certo grado di corrispondenza con le attuali categorie diagnostiche del DSM-IV e ne sono stati individuati i substrati neurobiologici, che possono potenzialmente avere un peso nella scelta del trattamento (2).

La dimensione dell’organizzazione cognitiva/percettiva, correlata ai disturbi del cluster A del DSM-IV, si riferisce alla capacità di un individuo di prestare attenzione e selezionare le informazioni provenienti dall’ambiente, organizzarle in relazione alle esperienze passate e a formulare delle strategie per interagire con l’ambiente. Alterazioni di questa dimensione si riflettono in deficit dei processi di attenzione e di selezione che organizzano la valutazione cognitivo/percettiva dell’ambiente e dell’interazione con esso. Le conseguenze possono includere sintomi psicotici e dissociativi, esperienze percettive inusuali, un’alterata comprensione o sospettosità delle motivazioni degli altri e pensiero magico ed eccentrico. Tali manifestazioni sembrano riconducibili ad un’alterazione del sistema dopaminergico.

La dimensione impulsività/aggressività può essere definita come una soglia bassa per una risposta attiva, con aspetti quali disinibizione motoria e comportamenti aggressivi, a stimoli esterni o interni. I soggetti impulsivi/aggressivi hanno difficoltà ad anticipare gli effetti del loro comportamento, ad apprendere dalle conseguenze derivate dai loro precedenti comportamenti e a inibire o ritardare l’azione in modo appropriato. Tendono a esternare la fonte delle loro difficoltà, ad esprimere in modo eccessivo l’aggressività e la frustrazione e a provare più raramente ansia o sentimenti di colpa. I disturbi di personalità del Cluster B, in particolare il disturbo borderline di personalità (DBP), presentano alcune caratteristiche della dimensione impulsività/aggressività, anche se in ogni disturbo sono enfatizzate diverse caratteristiche di questa dimensione. I neuromodulatori che hanno un ruolo nella stimolazione o nell’inibizione del comportamento esterno sono i possibili substrati biologici dell’impulsività/aggressività. Numerose evidenze sperimentali suggeriscono una relazione tra ridotta funzionalità del sistema serotoninergico, che è un sistema inibitorio sul comportamento, e impulsività/aggressività rivolta sia auto- che etero-diretta, ma tale dimensione è stata anche messa in relazione ad alterazioni del sistema noradrenergico.

L’instabilità affettiva è un’altra dimensione importante dei disturbi di personalità del cluster dramatic (Cluster B), ed è un criterio diagnostico per il disturbo borderline di personalità. Si caratterizza per la presenza di rapide oscillazioni dell’umore, dalla rabbia alla disapprovazione all’eccitamento in tempi variabili da ore a minuti. Queste variazioni sono sensibili a eventi ambientali, quali frustrazione o separazione. L’instabilità dell’umore può compromettere la capacità dell’individuo di mantenere una stabile autostima, in quanto la rappresentazione di sé e degli altri è influenzata dallo stato affettivo. Numerosi studi suggeriscono che tale dimensione possa essere correlata a deficit della funzione centrale serotoninergica, ma sono state evidenziate anche alterazioni a carico dei sistemi colinergico e noradrenergico.

La dimensione ansia/inibizione, associata ai disturbi del Cluster C, può essere definita come l’insieme delle reazioni soggettive e fisiologiche, anticipatorie di un pericolo futuro o delle conseguenze avverse di un comportamento attuale. L’ansia patologica può basarsi sull’eccessiva sensibilità alla punizione. La soglia all’ansia varia tra gli individui. Alcune persone con alti livelli di ansia sembrano essere più pronti a reagire agli stimoli ambientali, anche avversi, e spesso presentano un’importante reazione del sistema nervoso autonomo associata alla loro paura. Possono inibire una serie di comportamenti che percepiscono come competitivi, temendone le conseguenze. Tale dimensione può essere ricondotta ad alterazioni del sistema serotoninergico e noradrenergico (3).

Principi fondamentali di trattamento del disturbo borderline di personalità

Nel DSM-IV-TR il disturbo borderline di personalità è inserito nel Cluster B (dramatic) dei disturbi di personalità, ed è descritto come una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, della sfera affettiva, dell’autostima associata a marcata impulsività, che esordisce nella prima età adulta e si estrinseca in una varietà di contesti. Per quanto riguarda la definizione di un corretto indirizzo terapeutico, il DBP, pur richiedendo generalmente un intervento psicoterapeutico a indirizzo psicodinamico (4), è fra i disturbi di personalità quello che più frequentemente trae giovamento dal trattamento farmacologico. L’approccio farmacoterapico al DBP si basa su alcuni principi fondamentali, che forniscono il razionale teorico e le basi empiriche per la scelta di trattamenti specifici:

1) Il DBP è un disturbo cronico. Molecole appartenenti a differenti classi farmacologiche hanno dimostrato efficacia nel ridurre la severità dei sintomi e nel migliorare il funzionamento globale dei pazienti borderline. Tuttavia, la remissione farmacologica completa dei sintomi non è un obbiettivo realistico e i sintomi residui sono la regola.

2) Il DBP si caratterizza per una serie di sintomi specifici o di dimensioni psicopatologiche legate a precise alterazioni dei sistemi neurotrasmettitoriali centrali. Il trattamento farmacologico va mirato su specifiche dimensioni sintomatologiche, quali la disregolazione affettiva, i comportamenti impulsivi/aggressivi e i sintomi cognitivo-percettivi, piuttosto che al controllo del disturbo in toto.

3) La disregolazione affettiva e l’impulsività/aggressività sono dimensioni sintomatologiche che richiedono attenzione particolare, in quanto sono fattori di rischio per il comportamento suicidario e aggressivo auto- ed etero-diretto e devono quindi essere considerati con elevata priorità nella scelta degli agenti farmacologici.

4) Sintomi comuni ai disturbi di Asse I e II possono rispondere in maniera analoga allo stesso farmaco.

I protocolli attualmente disponibili sul trattamento del DBP, in particolare le apposite linee guida dell’American Psichiatric Association (A.P.A.) (5), individuano specifici algoritmi per l’impiego degli agenti farmacoterapici a disposizione nel trattamento delle dimensioni sintomatologiche prevalenti nei pazienti affetti da questo disturbo.

Dimensione disregolazione affettiva

La disregolazione affettiva, indipendentemente dalla sua presentazione clinica (labilità timica, umore depresso, rabbia intensa ed inappropriata, esplosioni di collera, ansia), richiede come prima scelta l’impiego degli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI), la cui efficacia è dimostrata da numerose evidenze empiriche (6)-(10). Questi farmaci si caratterizzano per un favorevole profilo degli effetti collaterali, che favorisce la compliance al trattamento e determina un basso rischio in caso di overdose. L’efficacia degli SSRI sulla rabbia di pazienti borderline sembra essere indipendente dall’azione sui sintomi depressivi ed ansiosi di questi pazienti. La non risposta o una risposta incompleta ad un SSRI non è predittiva di scarsa risposta a tutti gli SSRI, anzi deve indurre a prendere in considerazione il passaggio ad un’altra molecola della stessa famiglia (11) o con azione su più neurotrasmettitori (nefazodone, venlafaxina) e successivamente il potenziamento con neurolettici a basse dosi (rapidi ed efficaci nel controllo della rabbia) o con benzodiazepine a lunga emivita come il clonazepam (efficaci in caso di sintomatologia ansiosa prominente). Gli inibitori delle monoaminoossidasi (IMAO) sono considerati di seconda scelta per il profilo degli effetti collaterali e per le restrizioni dietetiche necessarie per la sicurezza del loro impiego (12)-(14). L’efficacia degli antidepressivi triciclici nel DBP appare modesta e la potenziale letalità in overdose ne sconsiglia l’impiego in questo tipo di pazienti. Nel caso di inefficacia degli IMAO si può ricorrere agli stabilizzatori dell’umore (carbonato di litio, valproato e carbamazepina): tali farmaci sono ampiamente impiegati nella pratica clinica, anche se è opportuno ricordare che le evidenze empiriche della loro efficacia sono ancora poco numerose e spesso contrastanti (15)-(21) (Tab. I).

Dimensione impulsività-aggressività

I sintomi impulsivo-aggressivi (atti suicidari e parasuicidari, manifestazioni di auto- ed etero-aggressività, distruzione di proprietà, abbuffate, abuso di sostanze) sono, come detto, correlati a deficit della neurotrasmissione serotoninergica nella corteccia prefrontale, ed anche in questo caso gli SSRI vengono considerati farmaci di prima scelta. La loro efficacia nel controllo dei comportamenti impulsivo-aggressivi sembra essere indipendente dall’azione sui sintomi depressivi ed ansiosi di questi pazienti, si manifesta rapidamente (entro pochi giorni), ma altrettanto rapidamente decresce con la sospensione del trattamento (22). In caso di risposta parziale o di inefficacia di un SSRI si può ricorrere, soprattutto se ricorrono condizioni di emergenza, al potenziamento o al passaggio ad un neurolettico a basse dosi: i neurolettici agiscono rapidamente e determinano un immediato, anche se non specifico, controllo dell’aggressività impulsiva (12) (23)-(25). Altri farmaci impiegabili nel controllo di questi sintomi sono gli stabilizzatori dell’umore e gli IMAO. Nei casi con aggressività impulsiva refrattaria al trattamento (soprattutto in presenza di automutilazione o in presenza di comportamenti impulsivi connessi a sintomi psicotici) le linee guida dell’A.P.A. (5) suggeriscono di prendere in considerazione gli antipsicotici atipici (Tab. II).

Dimensione cognitivo-percettiva

I sintomi cognitivo-percettivi includono sospettosità, ideazione paranoide, idee di riferimento, pensiero bizzarro, illusioni, allucinazioni e sintomi dissociativi transitori legati a condizioni stressanti. In questo dominio rientrano anche la rabbia e l’irritabilità legate ai sintomi cognitivi. Il trattamento di prima scelta è con neurolettici a basse dosi e per brevi periodi (settimane, non mesi), in quanto la continuazione e il mantenimento della terapia con tali farmaci richiede un monitoraggio continuo per il rischio di comparsa di discinesia tardiva (13). In caso di inefficacia, può rendersi necessario aumentare le dosi dei neurolettici fino a raggiungere dosaggi comunemente impiegati per il trattamento dei disturbi di Asse I e successivamente prendere in considerazione il passaggio agli antipsicotici atipici. I sintomi cognitivo-percettivi che riconoscono una eziologia affettiva possono essere trattati associando al neurolettico basse dosi di un IMAO o un SSRI (Tab. III).

Impiego degli antipsicotici atipici

Secondo l’impostazione delle linee guida dell’A.P.A. per il trattamento del DBP (5), l’utilizzo degli antipsicotici atipici viene consigliato esclusivamente per il trattamento delle alterazioni cognitivo-percettive o dei severi comportamenti automutilanti legati ad esperienze dissociative transitorie, in ogni caso dopo aver preso in considerazione i neurolettici. Gli antipsicotici atipici costituiscono una nuova generazione di antipsicotici, che esplicano una duplice azione sulla serotonina e sulla dopamina e che si caratterizzano per un’efficacia pari o maggiore a quella degli antipsicotici tradizionali, in particolare sui sintomi negativi schizofrenici, e per un migliore profilo di tollerabilità. Dal loro profilo farmacologico, l’antagonismo 5HT2/D2, derivano tre caratteristiche: la tendenza scarsa o assente a determinare sintomi extrapiramidali o discinesia tardiva, la non elevazione delle concentrazioni plasmatiche di prolattina e l’efficacia sui sintomi negativi.

L’avvento di questa nuova classe di farmaci sembra offrire nuove opportunità per il trattamento del DBP, tuttavia i dati in letteratura relativi alla loro efficacia e sicurezza nel DBP sono ancora limitati.

Il primo antipsicotico atipico impiegato nel DBP è stato la clozapina. Questo farmaco è stato testato sia ad alte dosi in pazienti con doppia diagnosi di DBP e psicosi (26)-(28) che a basse dosi su pazienti borderline privi di comorbilità in Asse I (29) determinando un significativo miglioramento dei sintomi cognitivo-percettivi, impulsivo-aggressivi e affettivi e del funzionamento globale. L’impiego nella pratica clinica della clozapina è tuttavia limitato per la necessità di continui monitoraggi ematici, resi necessari dal rischio di agranulocitosi connesso all’utilizzo di questo farmaco.

In uno studio in aperto su 11 pazienti con DBP e disturbo distimico in comorbilità (30), l’olanzapina a dosaggi intermedi si è rivelata sicura ed efficace nel trattamento dei sintomi simil-psicotici, depressivi, della rabbia e della sensibilità interpersonale. L’olanzapina è stata successivamente testata in uno studio in doppio cieco controllato con placebo nel DBP (31), dimostrandosi a basse dosi significativamente più efficace del placebo nel controllo dei sintomi affettivi, cognitivi, impulsivi e con effetti positivi sul funzionamento interpersonale.

Fino ad oggi, solo alcuni case report hanno testato il risperidone come potenziale trattamento nel DBP, evidenziando effetti benefici su aggressività, umore e astenia (32) (33).

In un nostro studio (34) abbiamo valutato se il risperidone è in grado di indurre un miglioramento sintomatologico nei pazienti affetti da questo disturbo, focalizzando principalmente la nostra attenzione sui comportamenti impulsivo-aggressivi. Sono stati reclutati 15 soggetti (9 uomini e 6 donne) che soddisfacevano i criteri diagnostici DSM-IV per il DBP alla Structured Clinical Interview per la diagnosi dei disturbi di Asse II (SCID-II). Per 4 pazienti è stata evidenziata anche una comorbilità in Asse II per il disturbo antisociale di personalità.

I pazienti sono stati trattati in aperto con risperidone per os per 8 settimane. Il farmaco è stato titolato partendo da 1 mg/die e poi è stato aumentato individualmente di 1 mg per volta, se necessario e tollerato, fino ad un massimo di 4 mg entro la quarta settimana. Durante lo studio non è stata consentita l’assunzione contemporanea di altri farmaci psicotropi, e i pazienti non hanno ricevuto alcuna psicoterapia specifica (solo colloqui clinici di 15 minuti una volta alla settimana). Tredici pazienti hanno completato le 8 settimane dello studio, 2 pazienti sono stati esclusi per mancanza di compliance. Il dosaggio medio finale di risperidone è stato 3,27 mg/die. Alla fine del trattamento (Tab. IV) abbiamo osservato una riduzione significativa rispetto al baseline della gravità della sintomatologia complessiva alla Brief Psychiatric Rating Scale (BPRS), dei sintomi depressivi alla Hamilton Rating Scale for Depression a 21 items (HRSD-21) e dell’aggressività all’Aggression Questionnaire (AQ). L’analisi delle sottoscale specifiche della BPRS ha rivelato una riduzione significativa per i fattori “ostilità e sospettosità” e “astenia” ed una tendenza al miglioramento per il fattore “ansia e depressione”. Oltre al miglioramento complessivo della gravità della sintomatologia, con il Global Assessment of Functioning per il DSM-IV (GAF) è stato evidenziato un incremento sostanziale (13 punti) nel funzionamento socio-lavorativo. Gli effetti collaterali rilevati sono stati lievi e ben tollerati, tanto che nessuno dei pazienti è stato escluso per intolleranza al farmaco.

I nostri dati offrono prospettive incoraggianti circa il ruolo del risperidone nel trattamento di questo disturbo psichiatrico comune e grave, ma devono essere interpretati con cautela, a causa dell’esiguo numero di soggetti osservati e per la natura in aperto del trattamento. Allo stato attuale, le evidenze in letteratura sull’impiego degli antipsicotici atipici nei disturbi di personalità sono ancora limitate se paragonate a quelle per altre classi di farmaci. Anche se nella maggior parte dei trial sono riportati risultati positivi o statisticamente significativi, l’analisi all’endpoint dei punteggi medi delle scale impiegate è indicativa della persistenza clinica dei sintomi, e i livelli di funzionamento raggiunti depongono ancora per una moderata compromissione sul versante psicosociale. Negli algoritmi delle linee guida dell’A.P.A. per il trattamento del DBP (5), gli antipsicotici atipici non vengono considerati farmaci di prima o seconda scelta, e questa impostazione è probabilmente da ricondurre sia alla necessità di un continuo monitoraggio leucocitario con clozapina, reso necessario dal rischio di agranulocitosi, sia alla relativamente recente introduzione in commercio di risperidone, olanzapina e quetiapina, che limita il numero degli studi in cui questi farmaci sono impiegati per il trattamento di questo disturbo. È d’altra parte opinione comune che, indipendentemente dalle molecole impiegate per il trattamento, la farmacoterapia non sia in grado di determinare modificazioni drammatiche nella sottostante organizzazione di personalità, per cui i sintomi residui restano la regola.

Dai dati presenti in letteratura emerge che gli antipsicotici atipici potrebbero coprire un ampio spettro clinico, in particolare potrebbero essere efficaci per il trattamento delle tre dimensioni più gravi del DBP, la cognitiva/percettiva, l’impulsività/aggressività e l’instabilità affettiva. È ipotizzabile che l’ampio spettro d’azione recettoriale degli antipsicotici atipici rappresenti la base biologica di questa multiforme capacità d’azione. È inoltre importante sottolineare che gli antipsicotici atipici sono generalmente bene accettati da parte del paziente, sia in virtù degli effetti benefici sul versante cognitivo, sia per i ridotti effetti collaterali, anche in conseguenza dei bassi dosaggi impiegati nei disturbi di personalità. Infine questi farmaci permettono di non creare i vissuti negativi di inibizione dei neurolettici tradizionali o i vissuti di eccitamento degli antidepressivi. Questo è assai importante in pazienti che hanno nell’instabilità il loro problema nucleare, e nei quali la compliance al trattamento è spesso molto problematica.

È necessario che gli antipsicotici atipici vengano testati al fine di accertare la persistenza degli effetti positivi e la tollerabilità nel lungo periodo, così come la loro capacità di prevenire le ricadute sintomatologiche anche dopo interruzione della loro somministrazione. Sono auspicabili anche studi in doppio cieco, controllati con placebo, così come confronti fra antipsicotici atipici o fra classi differenti di farmaci, per valutare definitivamente il rapporto rischio/beneficio per ciascuna molecola attualmente impiegata nel trattamento di questo disturbo.

 

Questo lavoro è stato realizzato senza nessun contributo esterno.

Tab. I. Linee guida per il trattamento dei sintomi da disregolazione affettiva nei pazienti con DBP.
Treatment guidelines for affective dysregulation symptoms in borderline disorder patients.

Classe Farmaco specifico Sintomi target
SSRIs e AD analoghi fluoxetina, sertalina, venlafaxina Umore depresso, labilità dell�umore, sensibilità al rifiuto, ansia
IMAO fenelzina, tranilcipromina Reattività dell�umore, disforia isteroide, depressione atipica
Stabilizzatori dell�umore litio, carbamazepina, valproato Labilità dell�umore, oscillazioni ciclotimiche, tentativi di suicidio.
Benzodiazepine alprazolam, clonazepam Ansia, agitazione psicomotoria.
(modificata da APA, 2001)

Tab. II. Linee guida per il trattamento dei sintomi impulsivo-aggressivi nei pazienti con DBP.
Treatment guidelines for impulsive-aggressive symptoms in borderline disorder patients.

Classe Farmaco specifico Sintomi target
SSRIs fluoxetina, sertralina Irritabilità, rabbia, impulsività, aggressività
IMAO fenelzina, tranilcipromina Irritabilità, impulsività in disforia isteroide, rabbia
Stabilizzatori dell�umore litio, carbamazepina, valproato Impulsività/aggressività
Antipsicotici atipici clozapina Psicoticismo, autolesionismo
Neurolettici aloperidolo Rabbia acuta, ostilità, aggressività
(modificata da APA, 2001)

Tab. III. Linee guida per il trattamento dei sintomi cognitivo-percettivi nei pazienti con DBP. Treatment guidelines for cognitive psycho-sensorial symptoms in borderline disorder patients.

Classe Farmaco specifico Sintomi target
Neurolettici (bassa dose) aloperidolo, fenotiazine, tioxanteni Idee di riferimento/persecuzione, ansia, impulsività, tentativi di suicidio
Antipsicotici atipici clozapina, olanzapina, risperidone Gli stessi dei neurolettici + sintomi psicotici gravi e resistenti
(modificata da APA, 2001)

Tab. IV. Risultati di uno studio in aperto su 15 pazienti con diagnosi di DBP, trattati per 8 settimane con risperidone 1-4 mg/die. Results of an open 8-week study of risperidone treatment (1-4 mg/day) in borderline.

Misura

Media baseline

Media endpoint

Variaz. %

p

BPRS

45.9 � 3.31

36.3 � 8.17

21

.0003

HDRS

16.5 � 2.07

13.5 � 2.83

18

.0025

AQ

85.1 � 9.64

70.1 � 16.96

18

.0057

GAF

44.7 � 5.63

57.7 � 12.08

29

.0008

(modificata da Rocca et al., 2002)

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