Parole chiave: Inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI) • Venlafaxina • Disturbo d’Ansia Generalizzato, fisiopatologia e terapia • Psicopatologia dimensionale
Key words: Serotonin and Noradrenaline Reuptake Inhibitors (SNRI) • Venlafaxine • Generalized Anxiety Disorder, pathophysiology and treatment • Dimensional Psychopathology
La condizione di sofferenza soggettiva e di correlati comportamentali che conosciamo con il termine di “ansia” è stata inquadrata come una entità psicopatologica indipendente fin dai primi anni dell’800. Da allora i sintomi considerati come caratteristici dell’ansia sono rimasti praticamente identici nella loro classica associazione di vissuti soggettivi (paura preoccupazione, terrore, timori fobici) e di sintomi somatici senza base organica dimostrabile (1) .
Ciò che è cambiato, in duecento anni di storia dei disturbi d’ansia, è il loro inquadramento nosografico e la descrizione di quadri clinici sindromici specifici. È interessante seguire questa evoluzione attraverso le edizioni successive dei DSM (Tab. I).
Il DSM-II, nel 1968, influenzato dalla nosografia accettata fino a quel momento, suddivideva i disturbi d’ansia in “nevrosi d’ansia” e “nevrosi fobiche” (2) .Questa dicotomia rifletteva la differenza clinica tra condizioni d’ansia collegate ad una condizione-stimolo specifica e condizioni d’ansia più generali, senza causa specifica apparente.
Il DSM-III, nel 1980 (3) ,cambia questa impostazione nosografica. Mantiene ancora questa dicotomia tradizionale tra “Disturbi Fobici” (o Nevrosi Fobiche) e “Stati d’Ansia” (o Nevrosi d’Ansia), ma introduce una divisione in sottocategorie diagnostiche specifiche nell’ambito di ciascun gruppo.
In particolare viene esplicitamente definita la categoria diagnostica del Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD) come entità sindromica indipendente dagli altri disturbi d’ansia.
Il DSM-III-R, uscito nel 1987 (4) ,elimina la dicotomia tra disturbi fobici e stati d’ansia e mantiene sostanzialmente tutte le sottocategorie diagnostiche del DSM perfezionandone, con piccole modifiche, i criteri diagnostici operativi precedenti.
Il DSM-IV, uscito nel 1994 (5) amplia notevolmente il numero delle sottocategorie diagnostiche del DSM-III-R aggiungendo alcune nuove sindromi: il Disturbo Acuto da Stress, il Disturbo d’Ansia Dovuto ad una Condizione Medica Generale, il Disturbo d’Ansia da Separazione, il Disturbo misto Ansioso Depressivo (NAS).
Come si vede, con il DSM-IV, molte condizioni cliniche di ansia, precedentemente incluse nel Disturbo da Ansia Generalizzata, vengono ad essere inserite in nuove categorie riducendo potenzialmente il numero delle diagnosi di GAD. In questo contesto il GAD sembra assumere una configurazione di “categoria residua” da utilizzare quando tutte le altre diagnosi di disturbo d’ansia siano state escluse.
Naturalmente, questo inquadramento dei disturbi d’ansia ha facilitato la diagnosi a fini comunicativi o a fini epidemiologici, ha suggerito la possibilità di interventi specifici per ogni sottogruppo categoriale ma ha lasciato aperti molti problemi a livello clinico.
Anzitutto ha posto il problema dell’inquadramento delle condizioni di ansia che si accompagnano quasi costantemente a gran parte dei disturbi psichiatrici ed in particolare ai disturbi dello spettro depressivo. Stabilire se una condizione di “ansia” ha un carattere “primario” o “secondario” ad altri disturbi ha una notevole importanza ai fini terapeutici.
Consapevoli di questo problema, gli estensori del DSM-IV hanno introdotto un criterio “gerarchico” per quanto riguarda la diagnosi di Disturbo d’Ansia Generalizzato.
Il criterio “D” del DSM-IV esclude infatti la diagnosi di GAD se l’oggetto dell’ansia sono le manifestazioni di alcuni disturbi di Asse I inquadrati in altri disturbi d’ansia e in taluni disturbi somatoformi (Tab. II). I quadri di ansia generalizzata che si accompagnano ad altri disturbi di Asse I dovrebbero invece essere diagnosticati come condizioni di “comorbidità”.
Nella clinica il sintomo ansia (paura, timore, preoccupazione) si accompagna in realtà a quasi tutti i disturbi in Asse I e a gran parte delle malattie somatiche come reazione ad una condizione di sofferenza soggettiva o al timore delle conseguenze del proprio stato. In alcuni casi il sintomo può assumere la dignità categoriale del GAD ma la sua indipendenza dal disturbo in Asse I “primario” non è sempre facilmente valutabile.
Inoltre il DSM, come avviene per altri disturbi di Asse I, nella creazione della categoria GAD necessariamente non tiene conto delle forme “attenuate” del disturbo o delle “forme subsindromiche”. Le forme subsindromiche del GAD rappresentano probabilmente la maggior fonte di richieste di aiuto psichiatrico nell’ambito dei disturbi d’ansia, sono quasi sempre oggetto di trattamento sintomatico con BDZ e rappresentano una causa di disfunzione sociale, familiare e lavorativa molto sottovalutata. D’altra parte esse sono solo quantitativamente ma non qualitativamente differenti dalla categoria GAD ed hanno quindi i medesimi meccanismi patogenetici di quest’ultima.
Va infine rilevato come molte forme di ansia generalizzata, soprattutto di tipo subsindromico, possano essere considerate come “reattive” o “situazionali” in quanto collegate, con un rapporto causale e di durata, a situazioni e stimoli contingenti esterni.
Il problema, quindi, dell’inquadramento diagnostico dell’ansia generalizzata, della valutazione di gravità, dell’interpretazione dei rapporti di dipendenza-indipendenza con altri disturbi e soprattutto della specificità della sua terapia appare più complesso rispetto a quello di altri disturbi dello spettro.
L’Ansia Generalizzata tra categoria e dimensione
La categoria diagnostica definita dal DSM come Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD) ha mostrato, in alcuni studi epidemiologici allargati una prevalenza nella popolazione generale, ad un anno, variabile tra 4.2 e 6.6 (6,7) .Inoltre, nelle cliniche per disturbi d’ansia, circa il 12% delle diagnosi è di Disturbo d’Ansia Generalizzato (5) .
Il GAD ha inoltre le caratteristiche di un disturbo di lunga durata, con tendenza alla cronicizzazione e con una percentuale di remissione a cinque anni relativamente bassa, pari al 38% del totale (8) .
L’attuale inquadramento nosografico del disturbo da ansia generalizzata come categoria pone tuttavia alcuni problemi.
Il primo problema è se il GAD, così come è definito nel DSM-IV, vada considerato come un disturbo indipendente da altri disturbi d’ansia, nosograficamente autonomo e con possibili meccanismi patogenetici specifici.
Valutare se un quadro di “ansia generalizzata” sia un “sintomo” o una “malattia” ha profonde implicazioni di carattere terapeutico. Infatti, se un quadro di ansia è un sintomo secondario indotto da un altro disturbo, la terapia dell’ansia potrà essere “sintomatica” mentre la terapia “patogenetica” andrà centrata sul disturbo di base. Al contrario, se l’ansia generalizzata è un’entità nosografica sindromica indipendente essa andrà trattata con terapie “patogenetiche” per essa specifiche.
Il secondo problema riguarda la possibilità che il quadro sindromico del GAD rappresenti una semplice esacerbazione temporanea di una condizione di personalità e di temperamento meglio classificabile in Asse II, secondo i criteri multiassiali del DSM-IV. Il problema è che il DSM-IV, nella sua discutibile classificazione dei disturbi di personalità non prevede, contrariamente ad ogni evidenza clinica, l’esistenza di un “Disturbo ansioso di Personalità”.
Ciò che chiamiamo oggi GAD è quindi un’entità clinica indipendente che tuttavia può avere manifestazioni attenuate (o subsindromiche) permanenti che chiamiamo tratti o disturbi di personalità?
Oppure si tratta piuttosto di un disturbo di personalità, analogo agli altri disturbi del DSM-IV che può avere temporanei aggravamenti sintomatologici senza mai avere i requisiti di un disturbo di Asse I?
Anche in questo caso, le implicazioni terapeutiche possono essere diverse in quanto un’entità clinica indipendente richiede una terapia patogenetica mentre una semplice esacerbazione di tratti di personalità dovuta a cause contingenti può essere controllata anche con terapie di tipo sintomatico.
Il terzo problema riguarda la co-morbidità del GAD con altri disturbi psichiatrici di Asse I, ed in particolare con i disturbi dello spettro depressivo.
È stato rilevato che il 90% dei pazienti con diagnosi di GAD presenta una co-morbidità con altri disturbi psichiatrici, in particolare con altri disturbi d’ansia e con i disturbi depressivi (6,9) .
Per quanto riguarda la co-morbidità con altri disturbi d’ansia essa oscilla tra l’80 e il 90% dei casi, suggerendo la possibilità che tutti i quadri sindromici identificati e descritti nelle attuali classificazioni possano avere una matrice patofisiologica comune (10) .
Di maggiore interesse sono i dati di comorbidità del GAD con i disturbi dello spettro depressivo. I risultati del National Comorbidity Study (7) hanno mostrato come i pazienti con diagnosi di GAD abbiano una comorbidità “lifetime” del 62% con la depressione maggiore e di quasi il 40% (39,5%) con la distimia.
Un altro studio epidemiologico, che ha distinto GAD primario (comparso prima di altri disturbi d’ansia) e GAD secondario (comparso successivamente ad essi), ha messo in rilievo, per il GAD primario una comorbidità pari al 60% per i disturbi depressivi maggiori, al 15% per i disturbi depressivi intermittenti e al 14% per i disturbi depressivi minori, per un totale pari all’89%.
Il dato obiettivo di una molto alta comorbidità sia trasversale che longitudinale tra GAD e disturbi dello spettro depressivo e la osservazione clinica della presenza di sintomi d’ansia nei disturbi depressivi e di sintomi depressivi nel GAD hanno portato il DSM-IV a includere tra i disturbi d’ansia NAS la nuova categoria diagnostica (meglio specificata nei “criteri di ricerca” per nuove categorie) del Disturbo Misto Ansioso Depressivo (5) .
Un livello così elevato di comorbidità tra GAD e disturbi dello spettro depressivo e le regole diagnostiche restrittive che riguardano il GAD pongono evidentemente in crisi la sua classificazione categoriale e richiedono, soprattutto per fini terapeutic,i un approccio differente.
Spostandosi da un’ottica di tipo “categoriale” ad una visione “dimensionale” del problema, le tecniche statistiche di tipo multivariato hanno tentato di dare una migliore risposta alla coesistenza, con frequenza elevata, di sintomi di tipo “ansioso” e di tipo “depressivo”.
Un’indagine condotta da Goldberg (11) su di un campione esteso di popolazione aveva isolato un fattore comune di ansia e depressione che spiegava il 21% della varianza totale. L’autore aveva dedotto che ansia e depressione appartenevano ad un’unica dimensione psicopatologica. In uno studio successivo, condotto sempre su di un campione esteso di popolazione normale (12) ,un’analisi dei componenti principali ha messo in evidenza tre fattori indipendenti statisticamente: un fattore A (ansia e preoccupazione), un fattore B (bassa autostima, vissuti di incapacità) e un fattore C (depressione, perdita della speranza).
Uno studio più recente, condotto su pazienti psichiatric con diagnosi di disturbi d’ansia e di disturbi depressivi, ha confermato i dati relativi a popolazioni normali confermando la presenza di due dimensioni psicopatologiche, ansia e depressione statisticamente indipendenti e con profili clinici separati, anche se in parte sovrapponibili (13) .
Una serie di analisi fattoriali, effettuate su vari gruppi di pazienti affetti da disturbi dello spettro depressivo, ha mostrato come, nella depressione, esistono tre dimensioni psicopatologiche dominanti: Umore depresso, Aggressività, Ansia libera o somatizzata (14) .
In un’analisi condotta con estrazione di un numero più elevato di fattori la dimensione “ansia” si caratterizza per la presenza di due componenti, una di ansia psichica ed una di ansia somatizzata (15) .
Le analisi fattoriali confermano quindi l’esistenza di due dimensioni psicopatologiche indipendenti, una caratterizzata da paura, tremore, preoccupazione e angoscia ed una caratterizzata da tristezza, umore depresso, vissuti di colpa.
In questa ottica, entrambe le dimensioni sono presenti in tutti i pazienti con disturbi sia depressivi che ansiosi, ma l’una o l’altra possono essere dominanti in modo relativo o assoluto in specifici gruppi di pazienti. Il disturbo categoriale denominato “Ansia Generalizzata” si situa ad uno degli estremi di questo continuum, mentre il disturbo categoriale “Depressione Maggiore” si situa all’altro estremo (Fig. 1).
L’elevata “comorbidità” categoriale tra GAD e disturbi dello spettro depressivo trova così una sua più completa spiegazione nelle analisi dimensionali. Ansia – Paura e Umore Depresso – Tristezza coesistono in tutti i pazienti dei due spettri categoriali, ma in rapporto diverso nei singoli casi clinici.
Il raggruppamento sindromico del GAD viene dunque ad avere un supporto indiretto dalle analisi statistiche multivariate condotte su gruppi di soggetti. Naturalmente è possibile che in un prossimo rimaneggiamento della nosografia dei disturbi d’ansia nell’ambito attuale del GAD possano essere distinte ulteriori “sottosindromi” come è avvenuto in passato. Ad esempio, vi è motivo di ritenere che, nell’ambito attuale del cluster sintomatologico del GAD possa essere distinto un “Disturbo da Ansia Psichica” e un “Disturbo da Ansia Somatica”. I dati di una nostra recente analisi fattoriale depongono in questo senso (Tab. III).
È stato detto che il GAD è una entità nosografica destinata ad assumere sempre minore importanza fino a raggiungere i caratteri di una “categoria” in via di estinzione. Ciò può essere vero in un’ottica di frammentazione “categoriale” come quella attualmente dominante nella serie dei DSM, ma l’ansia assume un’importanza e una dominanza completamente diverse se viene considerata come una dimensione indipendente.
Come dimensione indipendente essa infatti diventa un “target” specifico per interventi “patogenetici specifici” e non solo sintomatici. Va ricordato, a questo proposito, che per lungo tempo, ed in particolare fin dall’introduzione delle benzodiazepine, l’ansia sia nella sua prospettiva categoriale (GAD) che nella sua prospettiva dimensionale (Dimensione Paura) è stata sempre trattata a breve termine in modo sintomatico quasi sempre con conseguenze negative.
Terapia sintomatica e terapia patogenetica dell’ansia
Le terapie in medicina possono essere etiologiche (quando agiscono sulla causa della malattia), patogenetiche (quando agiscono sui suoi meccanismi) e sintomatiche (quando agiscono per controllare singoli sintomi della malattia).
In psichiatria i farmaci psicoattivi oggi disponibili agiscono a livello o sintomatico o patogenetico, mentre non sono ancora disponibili terapie etiologiche.
Mentre tuttavia in medicina è chiara ad ogni medico questa differenza tra approcci terapeutici, ciò non si verifica in psichiatria, e il caso della terapia dell’ansia è in questo senso esemplare. La farmacoterapia dell’ansia può infatti essere descritta in tre fasi successive.
La prima fase è stata caratterizzata dall’uso di farmaci sedativi aspecifici, dotati quasi sempre di elevata tossicità, caratterizzati dall’induzione di gravi sintomi collaterali e con elevato rischio di dipendenza. I barbiturici ne sono l’esempio storico più evidente. In questa prima fase la terapia era evidentemente solo sintomatica, non era certamente specifica per la dimensione ansia, ma tendeva esclusivamente a controllare ogni forma di iperattività motoria o psichica del paziente.
La seconda fase coincide con la scoperta delle benzodiazepine (BDZ) prima, e con quella degli ansiolitici non benzodiazepinici successivamente.
Le BDZ hanno mostrato un’alta efficacia ansiolitica, miorilassante e ipnoinducente, associata ad un’elevata tollerabilità e sicurezza. Il loro meccanismo di azione è apparentemente “fisiologico” in quanto potenziano l’azione del principale sistema neurotrasmettitoriale inibitorio, il GABA agendo, tramite recettori specifici, sulla permeabilità ionica dei canali di membrana.
Le BDZ, per queste ragioni sono state identificate fin dalla loro prima introduzione in commercio come terapie specifiche per ogni forma di ansia e inserite nella tradizionale (anche se ormai obsoleta) classificazione dei farmaci psichiatrici in ansiolitici, antidepressivi e antipsicotici.
Non solo, ma la loro evidente efficacia sull’ansia e la spiegazione farmacodinamica del loro meccanismo di azione ha portato alla formulazione di un’ipotesi GABA-ergica dell’ansia alla base della quale vi sarebbe stata una disfunzione “primaria” di questo sistema. Le BDZ venivano così identificate come farmaci di tipo “patogenetico” per tutti i disturbi d’ansia. Da qui la loro enorme diffusione a livello commerciale.
La terza fase segue la nuova nosografia dei disturbi d’ansia introdotta dal DSM-III, quando cominciano ad essere pubblicati i primi dati relativi all’efficacia, superiore a quella delle BDZ, di alcuni farmaci “antidepressivi” nella terapia di uno specifico disturbo di ansia, il disturbo di panico.
Successivamente, le terapie con farmaci AD vengono sperimentate con successo in un numero crescente di disturbi dello spettro d’ansia. Disturbo di panico, agorafobia, disturbo post-traumatico da stress, fobia sociale mostrano di rispondere in modo più evidente e persistente alla terapia con vari farmaci antidepressivi anche se con modalità diverse rispetto a quelle delle BDZ. Nel contesto terapeutico, queste ultime appaiono sempre di più come farmaci “sintomatici”, mentre gli “antidepressivi” si configurano come farmaci di tipo “patogenetico”.
Questi risultati terapeutici hanno naturalmente cambiato i modelli interpretativi patogenetici dei disturbi d’ansia.
La latenza terapeutica, la stabilità dei risultati, la risposta differenziata in rapporto ai parametri di stato e decorso simili a quelli della risposta ai medesimi farmaci nella depressione hanno fatto ipotizzare che i meccanismi patogenetici di alcuni disturbi d’ansia abbiano analogie con quelle dei disturbi depressivi.
Attualmente vi è una consolidata evidenza clinico sperimentale che la terapia di molti disturbi d’ansia vada centrata nell’uso di farmaci “antidepressivi” specifici mentre il ruolo delle BDZ debba essere considerato semplicemente sintomatico.
Per quanto riguarda il GAD, anche dopo l’introduzione dei farmaci AD nella terapia di specifici disturbi dello spettro d’ansia si è continuato per molto tempo a ritenere che le BDZ (o gli ansiolitici non benzodiazepinici) fossero una terapia specifica per questo disturbo. A questa opinione, tuttora condivisa da molti clinici hanno contribuito la difficoltà nosografica di stabilire con precisione i limiti diagnostici del GAD, il problema dell’inquadramento dell’ansia come “sintomo” o come malattia, ma soprattutto l’indubbia efficacia delle BDZ nel controllare in modo rapido ed efficace l’ansia generalizzata. I ben noti problemi relativi all’uso protratto delle BDZ hanno portato, negli ultimi anni, ad un approccio al problema analogo a quello utilizzato nei disturbi d’ansia.
Terapia dell’ansia con farmaci “antidepressivi”
La letteratura sul trattamento del Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD) attraverso farmaci “antidepressivi” risulta piuttosto ampia. Molecole come imipramina, clorimipramina, IMAO e SSRI hanno dimostrato un’efficacia uguale o superiore alle BDZ nel trattamento del GAD a medio e a lungo termine.
L’imipramina è il farmaco più studiato ed è stato confrontato con BDZ (clordiazepossido, alprazolam e diazepam) e con il trazodone in tre studi controllati. Il primo studio ha posto a confronto imipramina, placebo e una BDZ, il clordiazepossido. I risultati hanno messo in evidenza una superiorità dell’imipramina sia nei confronti del placebo che del clordiazepossido fin dalla seconda settimana di trattamento indipendentemente dalla presenza di una sintomatologia depressiva (16) .Un secondo studio ha confrontato imipramina e alprazolam in una popolazione di pazienti selezionati con criteri diagnostici definiti in modo più preciso. Entrambi i farmaci hanno indotto una significativa e globale riduzione dell’ansia con una apparente azione più selettiva dell’alprazolam sui sintomi somatici e dell’imipramina sui sintomi psichici dell’ansia (17) .
Il terzo studio, più recente, condotto con una rigorosa selezione diagnostica di un numero elevato di pazienti (n. = 230) affetti da GAD, ha posto a confronto imipramina, trazodone e diazepam al dosaggio medio rispettivo di 143, 225 e 26 mg. I risultati hanno confermato un’azione iniziale più rapida del diazepam soprattutto sui sintomi somatici, ma una relativa superiorità dell’imipramina dopo 8 settimane di trattamento nei confronti del diazepam e, in minor misura, del trazodone (18) .
In uno studio aperto imipramina e alprazolam sono stati confrontati centrando la valutazione dell’efficacia sui sintomi somatici del GAD. Entrambi i trattamenti hanno indotto una riduzione dei sintomi somatici soggettivi correlati all’ansia. Mentre nei pazienti trattati con alprazolam si osservava una parallela riduzione dei parametri di attivazione “neurovegetativa” registrati con metodi obiettivi, ciò non si verificava nei pazienti trattati con imipramina, confermando così indirettamente i risultati di studi precedenti relativi ad una più selettiva azione sulla componente psichica “dell’ansia” da parte dell’imipramina (19) .
In sintesi, i dati depongono per una notevole efficacia dell’imipramina nella terapia a breve termine del GAD con risultati tendenzialmente superiori a quelli ottenibili con le BDZ. L’azione dell’imipramina è relativamente ritardata rispetto a queste ultime, con un tempo di latenza paragonabile a quello della sua azione antidepressiva. Di particolare interesse risulta l’azione differenziale dell’imipramina e delle BDZ sui sintomi somatici dell’ansia. Essa sembra infatti ridurre in modo più selettivo la risonanza emotiva e la preoccupazione legata ai sintomi somatici rispetto alla riduzione dei loro correlati funzionali obiettivamente osservabili.
Per quanto riguarda gli altri antidepressivi sono disponibili dati più limitati.
La mianserina, antidepressivo ad azione “noradrenergica” con blocco selettivo sui recettori alfa2 presinaptici, ha mostrato una efficacia ansiolitica a breve termine superiore a quella del diazepam e del clordiazepossido in due studi controllati in cui tuttavia la selezione dei pazienti non era effettuata in modo rigoroso (20,21) .Uno studio controllato ha mostrato una buona efficacia ansiolitica di clorimipramina e fluvoxamina (22) .In un recente studio condotto in aperto su pazienti con disturbo misto ansioso e depressivo secondo l’ICD-10, anche la sertralina ha dimostrato una buona efficacia ansiolitica, paragonabile a quella antidepressiva, in pazienti con alto livello di ansia al baseline. Dopo 8 settimane di trattamento con dosi medie di sertralina di 83 mg/die è stata evidenziata una riduzione del 55% del punteggio della HAM-A (23) .
Infine, in uno studio aperto con fluoxetina nei bambini e negli adolescenti affetti da disturbo iperansioso, fobia sociale e disturbo d’ansia di separazione, in cui altri tipi di trattamento si erano rivelati inefficaci, il trattamento con fluoxetina ha messo in evidenza una elevata percentuale di miglioramento indipendentemente dalla presenza di una componente depressiva (24) .
Recentemente è stata effettuata una meta-analisi degli studi in doppio cieco che hanno confrontato moclobemide, imipramina e placebo per una durata di 4 settimane. I pazienti (n = 950) affetti da disturbi depressivi sono stati valutati con la HAM-D e l’analisi dell’efficacia sui sintomi ansiosi è stata eseguita valutando gli item 10 e 11 e i punteggi delle sottoscale “ansia psichica” (item 9, 10 e 15) e “ansia somatica” (item 11, 12 e 13) della HAM-D. Sia la moclobemide che l’imipramina, impiegate a dosi rispettivamente di 300-600 mg/die e 150 mg/die, hanno mostrato un miglioramento dei sintomi ansiosi maggiore rispetto al placebo dalla 2a settimana di trattamento (25) .
Anche il buspirone, molecola che occupa una posizione particolare nel trattamento del GAD, è stato oggetto di sperimentazione clinica in numerosi studi controllati. Caratteristica farmacodinamica del buspirone è di essere un agonista parziale dei recettori 5HT1A.
Questa molecola ha dimostrato la sua efficacia nel trattamento del GAD in numerosi studi controllati condotti su di un elevato numero di pazienti (26,27) .È stato messo a confronto con diazepam (28,29) ,oxazepam (30,31) ,lorazepam (32) ,alprazolam (33) e clobazam (34) evidenziando una attività antiansia analoga a quella delle BDZ di confronto. L’efficacia del buspirone nel GAD è stata confermata anche nel trattamento protratto fino a dodici mesi (35) .
In questi studi comparativi con le BDZ, il buspirone ha dimostrato, nei confronti di queste ultime, una minore sedazione ed una minore compromissione della performance motoria, una relativa scarsità di fenomeni collaterali da sospensione con un prolungamento dell’effetto fino a due settimane (36) .A livello clinico, tuttavia, alcuni autori ritengono che il buspirone non dia risultati costanti e prevedibili come le BDZ (37) e ciò è stato attribuito alla sua latenza di azione. È infatti un dato costante che il buspirone, in contrasto con la rapida azione delle BDZ, produca effetti benefici sul GAD con un tempo di latenza terapeutica di circa 2-3 settimane, analogo a quello dei farmaci antidepressivi “classici”.
In sintesi, i dati disponibili, anche se numericamente limitati e condotti su popolazioni prevalentemente eterogenee con disturbi d’ansia e di depressione, hanno evidenziato l’efficacia di alcune molecole antidepressive uguale o superiore alle BDZ, ma con tempi di latenza analoghi a quelli necessari per l’effetto antidepressivo. La lunga latenza d’azione rende quasi sempre necessaria la somministrazione contemporanea di BDZ fin dalle prime fasi di trattamento. Per tutti gli antidepressivi finora analizzati non è stata valutata in modo specifico l’azione sul GAD.
Il ruolo della venlafaxina a Rilascio Prolungato nella terapia dell’ansia
Il profilo farmacodinamico della venlafaxina è caratterizzato da una inibizione del reuptake sia della serotonina che della noradrenalina con un’azione differenziata dose-dipendente sui due neurotrasmettitori.
La venlafaxina, negli studi controllati, ha mostrato elevata efficacia nella terapia dei disturbi dello spettro depressivo con una curva dose/risposta lineare e con una possibile maggiore rapidità di azione rispetto ai farmaci di confronto.
Negli ultimi quattro anni è stata prodotta e sperimentata una formulazione di venlafaxina a Rilascio Prolungato (RP) allo scopo di migliorare la maneggevolezza, facilitare gli schemi posologici e studiare la possibilità di un ampliamento dello spettro di azione terapeutica.
La venlafaxina RP ha un’emivita di eliminazione di 15 ore circa (rispetto alle 5 ore del prodotto base) dovuta ad un più lento assorbimento intestinale, raggiunge il suo picco plasmatico in un tempo maggiore e garantisce una maggiore regolarità dei suoi valori di concentrazione plasmatica nelle 24 ore (39) (Fig. 2).
La venlafaxina RP ha confermato la sua efficacia nel trattamento della depressione maggiore con studi controllati verso placebo, verso SSRI e verso il prodotto base a rilascio normale (40-43) .
L’interesse maggiore per la venlafaxina RP è nato tuttavia da una serie di studi finalizzati a valutarne l’efficacia terapeutica sull’ansia sia indipendente che associata a condizioni di tipo depressivo.
Questi studi si sono basati su tre ordini di considerazioni:
1. la dimostrata efficacia nella terapia dell’ansia generalizzata di farmaci con profilo farmacodinamico simile a quello della venlafaxina (imipramina) e la possibile efficacia di altri farmaci attivi sul sistema 5HT e NA;
2. le caratteristiche farmacodinamiche della venlafaxina RP che, attraverso una concentrazione plasmatica stabile e costante, suggeriscono la possibilità di un migliore attacco di una dimensione psicopatologica ad andamento spesso fluttuante come quello dell’ansia generalizzata;
3. l’efficacia, ampiamente dimostrata, nella terapia di altri disturbi d’ansia, di farmaci ad azione selettiva sul riassorbimento della serotonina.
Due gruppi di studi, condotti rispettivamente su condizioni depressive con ansia e sull’ansia generalizzata, hanno portato all’approvazione, negli USA e in molte nazioni Europee, dell’indicazione specifica della venlafaxina RP per il trattamento del GAD. In Italia è di recente approvazione l’indicazione per il “trattamento, anche a lungo termine, dell’ansia”.
Verranno ora esaminati in dettaglio gli studi condotti con venlafaxina RP relativi al trattamento dell’ansia.
Efficacia clinica nella depressione con ansia
Il potenziale effetto della venlafaxina sull’ansia associata alla condizione depressiva di base era stato evidenziato già da alcuni studi condotti con la molecola a rilascio immediato. Una meta-analisi pubblicata nel 1998 di sei studi controllati (tre con placebo, due con imipramina e uno con trazodone) ha fatto rilevare una maggiore efficacia della molecola rispetto al placebo nel ridurre i sintomi ansiosi in pazienti con depressione (44) .Anche se gli studi inclusi in questa meta-analisi non erano stati disegnati in senso specifico per la valutazione dell’ansia, in questo lavoro sono state analizzati i punteggi dell’item “ansia psichica” e del fattore Ansia-Somatizzazione della HAM-D.
In un altro studio, condotto su pazienti affetti da Depressione Maggiore e sottoposti a trattamento antidepressivo con venlafaxina a rilascio immediato, è stato distinto un sottogruppo che presentava un punteggio di almeno 2 all’item “ansia psichica” della HAM-D. In questo gruppo si è osservato un miglioramento della componente ansiosa nei pazienti depressi trattati con venlafaxina e la valutazione dell’efficacia sulla dimensione ansia ha fatto riferimento all’analisi dei punteggi dello stesso item “ansia psichica” della HAM-D e dei punteggi del fattore Ansia-Somatizzazione (45) (Fig. 3).
Sulla base di questi risultati sono stati condotti degli studi sistematici utilizzando venlafaxina RP per verificare se la nuova formulazione potesse avere un’efficacia sull’ansia superiore sia alla venlafaxina a rilascio immediato che ad altri antidepressivi.
In un lavoro (46) è stata analizzata l’efficacia sulla sintomatologia ansiosa riportando i risultati di 3 studi eseguiti su pazienti ambulatoriali affetti da depressione maggiore. Nel primo di questi studi (40) la venlafaxina RP ha favorito una significativa riduzione del punteggio dell’item “ansia psichica” della HAM-D rispetto al placebo. Va rilevato inoltre che la riduzione dello stesso item, anche se non in modo statisticamente significativa, era più evidente nel gruppo trattato con venlafaxina RP rispetto alla formulazione tradizionale, sia per i pazienti con ansia moderata (punteggio basale dell’item > 2) che severa (punteggio basale dell’item > 3).
Sull’item “ansia psichica” entrambe le formulazioni del prodotto hanno dato un miglioramento significativo rispetto al placebo a partire dalla 4a settimana di trattamento. Tale miglioramento è risultato di maggiore entità nel gruppo trattato con venlafaxina RP.
Nel secondo studio (41) sono stati selezionati pazienti con “ansia psichica” della HAM-D > 2: 77 pazienti nel gruppo trattato con venlafaxina RP e 84 nel gruppo trattato con placebo (di questi pazienti rispettivamente 25 e 35 presentavano ansia severa). Anche in questo caso i pazienti trattati con venlafaxina RP hanno mostrato una significativa riduzione della sintomatologia ansiosa rispetto al placebo.
Il terzo studio ha confrontato venlafaxina RP (75 e 150 mg/die) con paroxetina (20 mg/die) e placebo (43) .La venlafaxina RP è risultata superiore a entrambi i competitor nel ridurre la sintomatologia ansiosa (“ansia psichica” della HAM-D) con una differenza significativa (per venlafaxina RP a 75 mg/die) alla 8a settimana rispetto alla paroxetina Fig. 4).
Per quanto riguarda la valutazione dell’efficacia sull’ansia rispetto ad altri farmaci antidepressivi va segnalato uno studio multicentrico che ha confrontato la venlafaxina RP con la fluoxetina esaminando pazienti con ansia associata a depressione (47) .La valutazione della sintomatologia ansiosa è stata eseguita attraverso la HAM-A ed è stato calcolato il numero di pazienti che hanno presentato un miglioramento clinico indicato dalla riduzione del 50% del punteggio totale della HAM-A rispetto al valore basale. La percentuale di pazienti che hanno risposto al trattamento con venlafaxina RP è stata, fin dalla 3a settimana di terapia, significativamente superiore al placebo. Il numero di pazienti che avevano presentato un miglioramento della sintomatologia ansiosa con la venlafaxina, al termine dello studio, era superiore in modo significativo anche rispetto al gruppo trattato con fluoxetina.
Queste evidenze sono state confermate in un altro studio di confronto tra venlafaxina RP e fluoxetina in cui sono stati valutati 359 pazienti ambulatoriali con diagnosi di depressione maggiore e ansia concomitante (48) .
L’analisi comparativa dell’azione della venlafaxina RP negli studi controllati sono indicativi di una sua buona efficacia sulla componente ansiosa associata ai disturbi depressivi maggiori. Vanno effettuate tuttavia alcune considerazioni. La prima è che in tre di questi studi la valutazione dell’ansia è stata effettuata analizzando gli item della HAM-D, mentre in un solo studio è stata utilizzata la HAM-A specifica per l’ansia. La seconda considerazione è che in tutti gli studi controllati disponibili l’effetto differenziale sulla componente ansiosa della venlafaxina RP rispetto ai farmaci di confronto si verifica tra la 4a e la 12a settimana. Va sottolineato che si fa riferimento alla efficacia differenziale e non all’efficacia assoluta sui sintomi ansiosi che sia con venlafaxina RP che con i farmaci di confronto fa la sua comparsa più precocemente.
Efficacia clinica nel disturbo d’ansia generalizzato (GAD)
I dati degli studi precedentemente analizzati, fortemente indicativi di un’efficacia specifica della venlafaxina RP sulla sintomatologia ansiosa, hanno dato impulso a nuovi studi appositamente concepiti per la valutazione degli effetti su pazienti con diagnosi di Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD). Sulla base di questi studi controllati la Food and Drug Administration (FDA) ha approvato l’indicazione specifica della venlafaxina RP per il trattamento del Disturbo d’Ansia Generalizzato.
Oggi anche in Italia è stato approvato ufficialmente l’impiego di venlafaxina RP nel trattamento dell’ansia risultando così l’unico antidepressivo con l’indicazione del trattamento, anche a lungo termine, dell’ansia” (“ansia cronica”).
I lavori che vengono qui riportati riguardano studi a breve termine (della durata di 8 settimane), controllati con placebo e/o buspirone e studi a lungo termine (della durata di 6 mesi) controllati con placebo. La popolazione studiata è costituita da pazienti con diagnosi di GAD secondo i criteri del DSM-IV, con esclusione di disturbi depressivi.
Nel primo di questi studi è stata confrontata l’efficacia sull’ansia della venlafaxina RP rispetto al placebo a dosaggi compresi tra 75 e 225 mg/die in un trattamento della durata di 8 settimane (49) .Sono stati valutati 349 soggetti divisi in 4 gruppi trattati rispettivamente con placebo (n. = 96) e venlafaxina RP a 75 mg/die (n. = 86), 150 mg/die (n. = 81) e 225 mg/die (n. = 86). Le principali variabili di efficacia erano rappresentate dal punteggio totale della HAM-A, dal fattore “ansia psichica” della HAM-A, e dall’item “gravità” della CGI. I risultati ottenuti al termine dello studio hanno evidenziato una maggiore efficacia della venlafaxina RP rispetto al placebo nel miglioramento dei sintomi ansiosi, con differenze significative tra i due gruppi per tutte le variabili analizzate.
In un altro studio a breve termine, sempre eseguito su pazienti affetti da GAD, la venlafaxina RP è stata confrontata con placebo e buspirone (50) .I pazienti sono stati trattati o con venlafaxina RP alle dosi di 75 mg o 150 mg/die in unica somministrazione o con buspirone a 30 mg/die. Sono stati evidenziati miglioramenti significativi rispetto al baseline per molte delle variabili analizzate (punteggio totale della HAM-A, fattore “ansia psichica” della HAM-A, item “gravità” e “miglioramento” della CGI). In particolare il trattamento con venlafaxina RP ha mostrato dei miglioramenti significativamente superiori al placebo e maggiori del buspirone nell’item “umore ansioso” della HAM-A e nel fattore ansia della HAD (Hospital Anxiety and Depression), scala per l’autovalutazione dei sintomi ansiosi. Anche se entrambe le dosi utilizzate hanno fornito risultati superiori al placebo e, per alcune variabili, al buspirone, la dose ottimale di venlafaxina è risultata quella di 75 mg/die.
L’efficacia a lungo termine è stata valutata attraverso due studi di cui uno condotto con dosi variabili di venlafaxina RP comprese tra 75 e 225 mg/die (51) e l’altro con dosi fisse rispettivamente di 37,5 mg, 75 mg e 150 mg/die (52) .
Nel primo di questi studi (51) è stata valutata l’efficacia a breve e a lungo termine della venlafaxina RP nel trattamento del GAD su 238 pazienti ambulatoriali (123 trattati con placebo e 115 con venlafaxina RP) con esclusione di altri disturbi psichiatrici concomitanti. La valutazione dell’efficacia clinica è stata eseguita attraverso l’analisi dei punteggi della HAM-A totale, del fattore “ansia psichica” e della CGI e calcolando la percentuale di “responders” al trattamento (riduzione di almeno il 40% della HAM-A totale rispetto al baseline). I risultati hanno evidenziato una superiorità significativa della venlafaxina RP rispetto al placebo per tutta la durata del trattamento fin dalla prima settimana di osservazione. Anche la percentuale di responders è aumentata progressivamente risultando del 42% alla 2a settimana nel gruppo trattato con venlafaxina RP (rispetto al 21% del gruppo placebo) fino al 69% dalla 6a alla 28a settimana (rispetto al 42-46% del gruppo placebo) (Fig. 5).
L’evidenza che i benefici della terapia con venlafaxina RP possano essere mantenuti per un lungo periodo di tempo è stata confermata nel secondo studio, a lungo termine, che ha impiegato un trattamento con dosi fisse di venlafaxina RP (37,5 mg, 75 mg e 150 mg/die) per 24 settimane (52) .Oltre alle variabili di efficacia del precedente lavoro (HAM-A e CGI) è stato analizzato il livello di “adattamento sociale” attravarso i risultati della Social Adjustment Rating Scale. I pazienti valutati fino alla fine del trattamento (83 nel gruppo placebo e 90 nel gruppo venlafaxina RP) hanno mostrato un miglioramento significativamente superiore rispetto al placebo dalla 1a settimana nel gruppo trattato con 150 mg/die e dalla 2a settimana nel gruppo trattato con 75 mg/die. Anche attraverso la Social Adjustment Rating Scale è stato evidenziato un più ampio miglioramento nei gruppi trattati con le dosi più alte (75 mg e 150 mg/die) e la dose terapeutica ottimale è stata identificata con 75 mg/die.
La dimostrazione dell’efficacia della venlafaxina RP nel GAD rinforza e conferma quanto rilevato negli studi sull’ansia associata a depressione. L’efficacia nel trattamento del GAD con esclusione dei disturbi depressivi suggerisce per la venlafaxina RP un effetto “ansiolitico puro” indipendente dall’azione antidepressiva.
Meccanismi di azione dei farmaci AD e della venlafaxina RP nella terapia dell’ansia
Al di là della loro utilizzazione in un contesto clinico e della loro dimostrata efficacia nella terapia dell’ansia, i farmaci “antidepressivi” hanno dimostrato di poter essere uno strumento prezioso per la dissezione farmacologica dei disturbi del continuum ansia-depressione.
Oggi, alla luce delle risultanze cliniche, ha perso ogni significato la tradizionale suddivisione dei farmaci in “ansiolitici” e antidepressivi ed appare più utile una loro riclassificazione sulla base delle loro caratteristiche farmacodinamiche e sull’analisi del loro impatto sulle diverse componenti dimensionali del continuum ansia-depressione.
Questa procedura, oltre a dare una migliore precisione dell’intervento terapeutico, permette di formulare modelli interpretativi dei meccanismi patogenetici che sottendono agli aspetti comuni e differenziali della dimensione ansia-paura e della dimensione depressione-tristezza. Il farmaco diventa così, oltre che uno strumento terapeutico sempre più perfezionato, anche un prezioso mezzo di ricerca.
Il dato di fatto che i medesimi farmaci sembrano avere efficacia nella terapia dei disturbi depressivi e nei disturbi d’ansia potrebbe suggerire l’ipotesi che ansia e depressione siano espressione sintomatica di un medesimo disturbo. In particolare ansia-paura e depressione-tristezza potrebbero essere viste come due manifestazioni psicopatologiche causate da un’alterazione dei medesimi meccanismi biochimici cerebrali. La manifestazione sintomatologica sotto forma di ansia o sotto forma di depressione sarebbe condizionata da fattori interagenti e basata su sottomeccanismi specifici gerarchicamente subordinati al meccanismo primario.
I farmaci AD agirebbero, in base a questa ipotesi, nelle alterazioni “basali” comuni ad entrambi i disturbi. La correzione dell’alterazione biochimica primaria comporterebbe ovviamente il riequilibrio dei meccanismi secondari alla base dell’espressione fenomenica dimensionale (ansia/depressione), categoriale (singoli disturbi dei due spettri) e sintomatica (singoli sintomi).
Questa ipotesi “unitaria” suggerita dai dati della farmacologia è stata da più parti proposta anche sulla base di altre linee di osservazione e di ricerca. Si è visto in precedenza come i disturbi d’ansia e i disturbi depressivi abbiano un indice di comorbilità reciproca sia longitudinale che trasversale estremamente elevato (53-55) ,come nell’ambito di ogni diagnosi categoriale di entrambi i gruppi vi sia quasi sempre una presenza di sintomi di tipo ansioso o depressivo e come, infine, la presenza di sintomi d’ansia e depressione associate non inquadrabili in una categoria diagnostica precisa abbiano portato alla nuova entità sindromica del Disturbo Misto Ansioso Depressivo.
A livello più strettamente biologico, numerosi dati suggeriscono l’esistenza di un condizionamento genetico comune e relativamente aspecifico (54) .Inoltre tutta la ricerca biochimica recente ha messo in evidenza il ruolo fondamentale svolto dai sistemi 5HT e NA nella patofisiologia dell’ansia in analogia a quanto da tempo dimostrato nella patofisiologia dei disturbi depressivi.
Nella patofisiologia dei disturbi d’ansia, numerose linee di ricerca suggeriscono un ruolo importante del sistema NA (56-59) .Sia i dati sperimentali nell’animale, che la manipolazione farmacologica in soggetti sani o in pazienti con clonidina (effetto “ansiolitico”) o con joimbina (effetto “ansiogenico”) indicano la possibilità che un aumento dell’attività tonica del locus coeruleus sia associato all’ansia generalizzata, mentre una sua attivazione acuta o fasica sarebbe il correlato biochimico dell’attacco di panico.
Più importante, secondo altre linee di ricerca, sarebbe il ruolo giocato dal sistema della serotonina (60-63) .Anche in questo caso, sia gli studi pre-clinici che gli studi di manipolazione farmacologica hanno tutti confermato che una “disregolazione” del sistema 5HT si associa certamente a tutti i disturbi d’ansia e in particolare al disturbo di panico.
Il problema principale, nell’interpretazione dei dati relativi alla disfunzione dei sistemi 5HT e NA nell’ansia rapportati a quelli nella depressione è che è difficile trovare una chiara distinzione o una chiara specificità nei potenziali meccanismi che sottendono ai due tipi di dimensioni psicopatologiche. Ciò tenderebbe a rinforzare l’ipotesi di un meccanismo comune e indifferenziato alla base dei due gruppi di disturbi. La “dissezione farmacologica” effettuata nel contesto clinico dimostra tuttavia che questa ipotesi è solo parzialmente corretta.
Va, a questo proposito, osservato che non tutti i farmaci “a dimostrata efficacia” nella depressione danno i medesimi risultati nella terapia dei disturbi d’ansia. Pur tenendo conto dell’incompletezza dei dati disponibili, vi è motivo di ritenere che i farmaci più selettivamente attivi sui sistemi 5HT abbiano una maggiore efficacia nei disturbi d’ansia rispetto ai farmaci più selettivamente attivi sui sistemi NA, mentre farmaci selettivi sul sistema DA avrebbero un’efficacia scarsa o nulla.
Inoltre, alcuni farmaci, efficaci nella depressione e dotati di una relativa selettività di azione su alcuni sistemi recettoriali 5HT, sono inefficaci nella terapia di disturbi d’ansia specifici. Ciò indica che, nell’ambito dei sistemi 5HT e NA, esistono alcuni meccanismi differenziali nella patogenesi dell’ansia e della depressione.
Inoltre, pur nell’ambito dei disturbi d’ansia, si osservano risposte terapeutiche diverse nel medesimo disturbo in rapporto alle diverse molecole AD utilizzate. Ad esempio un farmaco AD attivo nell’ansia generalizzata può dimostrarsi inefficace nel disturbo di panico e viceversa. Questo dato suggerisce la possibilità, come è avvenuto per i disturbi dell’umore, che, pur sulla base di meccanismi patogenetici comuni, vi siano meccanismi differenziati per le diverse entità cliniche del gruppo dei disturbi d’ansia.
Il modello 5HT-NA nella patogenesi dei disturbi d’ansia e depressivi
La comprensione dell’effetto in parte comune e in parte differenziato dei diversi farmaci attivi sui sistemi 5HT e NA nei disturbi d’ansia e nei disturbi depressivi è possibile solo sulla base di un modello che prenda in considerazione la presenza di diversi sistemi funzionali nell’ambito del sistema 5HT (62) e dei suoi rapporti con il sistema NA.
Un modello interpretativo che possa spiegare l’azione terapeutica di farmaci ad uguale profilo farmacodinamico sia nella dimensione ansia che nella dimensione depressione si deve basare su tre postulati.
Il primo postulato è che i tre sistemi 5HT-NA-DA siano strettamente correlati funzionalmente, ma che il sistema 5HT svolga una funzione generale di controllo e di modulazione sugli altri due sistemi. Il ruolo centrale del sistema 5HT nei disturbi affettivi è stato proposto e confermato da un’ampia letteratura sull’argomento (Fig. 6).
Il secondo postulato è che, nell’ambito del sistema 5HT, esistano due sistemi tra loro ampiamente correlati funzionalmente, ma con diverse proiezioni, diverse aree di controllo e diverse modalità di attivazione encefalica. Due diversi nuclei del sistema serotoninergico presiederebbero a queste differenti funzioni di controllo. Questa doppia funzione dei nuclei 5HT del rafe magnum è stata proposta da Deakin (64) .
Il terzo postulato è che i due sistemi 5HT possano andare incontro ad alterazioni disfunzionali differenziate. La disfunzione di un sistema sarebbe alla base dei meccanismi patogenetici della dimensione ansia, la disfunzione del secondo sistema sarebbe alla base della dimensione tristezza. La coesistenza, con peso diverso delle due disfunzioni sarebbe alla base di tutte le varianti del continuum dimensionale ansia-depressione. I farmaci attivi sul sistema 5HT normalizzerebbero con i medesimi meccanismi farmacodinamici la funzione alterata nell’uno o nell’altro dei due sottosistemi.
Le proiezioni serotoninergiche ed encefaliche originano dai nuclei del rafe magnum e si irradiano a varie strutture corticali e sottocorticali. I nuclei principali del rafe, a cui corrispondono due diversi sistemi serotonergici, sono rappresentati dal nucleo dorsale e dal nucleo mediano (Fig. 7).
Il nucleo mediano del rafe è situato nella sostanza grigia periacqueduttale e le sue proiezioni principali sono nella corteccia. L’attività 5HT del sistema del nucleo dorsale è mediata da recettori post-sinaptici 5HT2 e 5HT1A. Il suo ruolo funzionale principale sarebbe quello di modulare le reazioni di attacco/fuga e di allarme in situazioni acute di minaccia.
È stato suggerito che un’alterata regolazione di questo sistema può essere alla base dei meccanismi patogenetici che sottendono ad un alterato controllo degli impulsi, e ad alcune condizioni di ansia patologica. In particolare, la condizione di ansia generalizzata è stata posta in rapporto ad una labilità di regolazione di questo sistema. Una condizione di ipoattività tonica sarebbe alla base di tutte le condizioni di ansia generalizzata primaria o secondaria e delle condizioni di ansia fobica, ivi compresa la fobia sociale. Una condizione di ipoattività fasica sarebbe invece alla base dell’attacco di panico. In entrambi i casi verrebbe a mancare, con tempi e modalità diverse, il controllo attivo sul sistema NA che media la risposta adattativa e difensiva ai segnali di pericolo.
Date le strette interazioni tra sistemi neurotrasmettitoriali sia nell’ansia che nella depressione, dove i sistemi 5HT assumono il ruolo fondamentale di regolatori funzionali degli altri sistemi, è ipotizzabile infatti che una disfunzione del nucleo mediano del rafe possa indurre una condizione di ansia per una riduzione delle sue capacità di inibizione sulle strutture di tipo noradrenergico (Fig. 8).
Il ruolo della noradrenalina sia nell’ansia che nella depressione è stato a lungo studiato a confronto con quello della serotonina (65-67) .L’efficacia terapeutica dei farmaci antidepressivi che agiscono in via primaria e selettiva sia sull’inibizione del riassorbimento di 5HT (SSRI) che sul riassorbimento di NA (Nari) è, equivalente, come dimostrato da un’ampia letteratura sull’argomento (68,69) .Inoltre, farmaci ad azione su entrambi i sistemi, come l’imipramina, sembrano avere un’efficacia maggiore nel caso di depressioni gravi, persistenti e con caratteristiche di tipo melancolico.
Nell’ambito dei disturbi depressivi, si è avanzata l’ipotesi che la serotonina sia maggiormente coinvolta nella componente “umore depresso-tristezza”, mentre la disfunzione noradrenergica riguardi prevalentemente la riduzione della spinta all’azione e alla mancanza di motivazione (70) .
Per quanto riguarda l’ansia varie linee di evidenza convergenti suggeriscono una disregolazione del sistema NA sia per quanto riguarda la sua attività tonica, che per quanto riguarda la sua attività fasica. Il discontrollo costante dell’attività tonica sarebbe associato ad un aumento dell’arousal (ipervigilanza, allarme, paura) mentre il discontrollo fasico e acuto si assocerebbe alla comparsa dell’attacco di panico (71) .
In particolare in condizioni di ipoattività del sistema del nucleo dorsale verrebbe ad essere alterato il filtro cognitivo a livello corticale degli stimoli nocicettivi. Va ricordato a questo proposito come la corteccia abbia una particolare densità di recettori 5HT2 e come questi ultimi abbiano un rapporto di interazione reciproca con i recettori D2.
L’ipoattività funzionale del sistema 5HT potrebbe avere una sua logica spiegazione in una ipersensibilità (up regulation) dei pre-recettori 5HT1A del nucleo dorsale indotta da una predisposizione genetica e potenziata da una condizione di stress.
Questo modello permette di interpretare i meccanismi di azione dei farmaci “antidepressivi” nei disturbi d’ansia. Sia i farmaci ad azione sulla ricaptazione della serotonina (selettivi e non selettivi) che gli IMAO, inducendo una maggiore disponibilità sinaptica di 5HT, ridurrebbero l’ipotizzata ipersensibilità 5HT1A pre-sinaptica. La riduzione dell’attività inibitoria dei recettori presinaptici avrebbe come conseguenza una normalizzazione dell’attività del sistema, una ripresa della sua attività di controllo e una riduzione della condizione di ansia. I farmaci agonisti dei 5HT1A pre-sinaptici, come il buspirone, agirebbero in acuto riducendo ulteriormente l’attività del sistema e in cronico (dopo circa due settimane) potenziandola per una riduzione compensatoria della sensibilità (down regulation) dei recettori pre-sinaptici patologicamente alterata. Tuttavia, il dato clinico di una scarsa efficacia del buspirone nel disturbo di panico, in contrasto con il suo dimostrato effetto nel GAD, indica che, probabilmente, il disturbo di panico ha meccanismi patogenetici diversi da quelli del GAD o comunque non spiegabili unicamente nella base di una disfunzione del sistema del nucleo mediale del rafe.
Il nucleo dorsale del rafe proietta le sue terminazioni prevalentemente nel sistema limbico e in particolare nella corteccia dell’ippocampo, aree a specifica densità di recettori 5HT1A post-sinaptici. L’attività del sistema del nucleo dorsale è mediata principalmente da questa sottoclasse di recettori.
Si ritiene che la funzione principale del sistema del nucleo dorsale sia quello del controllo (attenuazione) della risposta a stimoli avversivi cronici. Una riduzione nell’attività di questo sistema, mediata principalmente dai recettori 5HT1A post sinaptici comporterebbe la comparsa di una condizione depressiva.
Anche in questo caso la riduzione dell’attività di questo sistema potrebbe essere una conseguenza di una ipersensibilità dei pre-recettori 5HT1A inibitori, su base genetica e potenziata da condizioni di stress cronico.
Anche nel caso di una disfunzione recettoriale a carico prevalentemente del nucleo dorsale del rafe, responsabile di una fenomenologia “dimensionale di tipo depressivo”, il sistema NA viene ad essere indirettamente coinvolto, probabilmente attraverso una riduzione della sua attività tonica diffusa.
Tutti i farmaci antidepressivi potenziano la trasmissione 5HT1A mediata sia direttamente che indirettamente attraverso la riduzione della sensibilità dei recettori 5HT1A pre-sinaptici ad azione inibitoria. D’altra parte, non tutti i farmaci antidepressivi hanno efficacia nei disturbi d’ansia ed è un dato di fatto che l’efficacia antiansia sembra essere principalmente in rapporto alla “potenza serotonergica” del farmaco utilizzato.
Ciò fa pensare che, mentre nella depressione sono efficaci anche farmaci che agiscono indirettamente sulla trasmissione 5HT pur avendo un punto di attacco primario su altri sistemi (NA o DA), nei disturbi di ansia l’efficacia del trattamento richieda un’attività più diretta sul sistema 5HT a causa di una più specifica alterazione recettoriale.
Il modello basato sulla diversa attività funzionale dei due nuclei del rafe permette di interpretare sia i dati clinici che i dati farmacologici. Data la stretta interazione funzionale tra i due sistemi, anche se le modalità non sono ancora chiare, si può comprendere l’elevata comorbilità tra disturbi d’ansia e disturbi depressivi, la frequentissima consistenza di sintomi ansiosi e di sintomi depressivi e la necessità di creare la nuova categoria diagnostica dei disturbi misti di ansia e depressione.
Il modello spiega anche il dato dei comuni determinanti genetici dei disturbi d’ansia e dei disturbi depressivi in quanto è da attendersi che il controllo genetico della sensibilità dei recettori 5HT1A sia comune ad entrambi i sistemi.
I risultati clinici dei farmaci “antidepressivi” possono essere più facilmente interpretati sulla base di questo modello. Infatti, sia nel caso dei disturbi d’ansia che nel caso dei disturbi depressivi i farmaci attivi primariamente sul sistema 5HT agiscono sulla sezione del sistema che è più funzionalmente alterata, normalizzandola: nel caso della depressione, agendo sul sistema del nucleo dorsale, nel caso dell’ansia sul sistema del nucleo mediale.
Considerazioni conclusive
La terapia “patogenetica” dell’ansia generalizzata ha fatto oggi notevoli progressi e si è praticamente allineata allo “status terapeutico” degli altri disturbi dello spettro.
È un dato di fatto, sostenuto da un crescente numero di dati sperimentali, che le condizioni di ansia, sia individuate “categoricamente” come Disturbo d’Ansia “Generalizzata” che come dimensione “Paura, Timore, Preoccupazione” derivata dalle analisi fattoriali, rispondono al trattamento con alcuni farmaci antidepressivi in misura uguale o superiore alla terapia sintomatica con BDZ.
Pur non negando, tuttavia, l’importanza dell’inquadramento categoriale dell’ansia generalizzata come GAD, soprattutto per fini epidemiologici, di ricerca e di approvazione per nuovi farmaci, non vi è dubbio che un approccio di tipo dimensionale è assai più utile ai fini terapeutici.
Vi sono alcune indicazioni che la terapia con AD abbia una più rapida attività sulla componente “psichica” dell’ansia mentre le BDZ potrebbero avere una più rapida azione sulla sintomatologia somatica. È possibile che ciò dipenda da una “bidimensionalità” dell’ansia generalizzata dove ansia psichica e ansia somatica, pur non essendo indipendenti vedono meccanismi patogenetici parzialmente differenziati. In ogni caso, la terapia con AD agisce sul meccanismo primario dell’ansia che, a sua volta controlla il meccanismo “secondario” della sintomatologia, con un tempo di latenza che non hanno le BDZ.
La terapia dei disturbi dello spettro d’ansia con farmaci AD ha messo in evidenza come non tutte le molecole a dimostrata efficacia nella depressione diano analoghi risultati in tutti i disturbi dello spettro. I farmaci SSRI hanno infatti dimostrato un’efficacia selettiva per la terapia del Disturbo di Panico, la Fobia Sociale e, in minor misura del Disturbo Post-traumatico da Stress. Anche alcuni IMAO e i triciclici ad azione mista nel riassorbimento di 5HT e NA hanno una certa efficacia, anche se minore di quella degli SSRI. I farmaci, invece a prevalente o selettiva azione sul riassorbimento della noradrenalina (reboxetina, desipramina) non hanno mostrato, contrariamente alla loro efficacia nella depressione, una azione terapeutica in questi disturbi. Ciò depone per meccanismi patogenetici almeno parzialmente distinti nell’ansia e nella depressione.
Per quanto riguarda l’ansia generalizzata, sia nella sua prospettiva categoriale che nella sua prospettiva dimensionale, le evidenze derivate dagli studi clinico-sperimentali appaiono parzialmente differenti. Fino ad oggi, le molecole che hanno una più solida documentazione di efficacia nell’ansia generalizzata sono imipramina, clomipramina e venlafaxina. Anche la moclobemide sembra avere un’efficacia documentata mentre esistono ancora pochi studi sull’efficacia degli SSRI.
Questi farmaci più attivi nell’ansia generalizzata hanno la caratteristica comune di essere molecole “a doppio attacco” con un’azione sia sulla 5HT che sulla NA.
In particolare, la venlafaxina ha un’azione sul riassorbimento di 5HT più netta ed immediata a bassi dosaggi, con un progressivo aumento dose-dipendente nel riassorbimento di NA.
Naturalmente queste osservazioni possono dipendere dal fatto che, fino ad oggi, vi è un numero maggiore di pubblicazioni sui farmaci a doppio attacco, come la venlafaxina, rispetto ai farmaci SSRI. Inoltre la particolare efficacia di venlafaxina nella terapia dell’ansia generalizzata può essere in parte legata alla farmacocinetica del prodotto nella forma a Rilascio Prolungato utilizzato negli studi pubblicati.
Fermo restando il concetto che, nella terapia di tutti i disturbi d’ansia, il meccanismo di azione primario è la regolarizzazione funzionale del sistema 5HT attraverso un’azione selettiva sulla sua sezione maggiormente compromessa (nucleo mediano o nucleo dorsale) può essere ipotizzata, nel caso dell’ansia, una possibile azione sinergica anche sul sistema NA. Una inibizione del riassorbimento di NA può, a livello del LC, potenziare la recuperata azione di controllo del sistema 5HT su di esso, potenziando o rendendo più rapida l’azione terapeutica.
Questa ipotesi necessita naturalmente di studi controllati che pongono a confronto molecole a doppio attacco dose-dipendente, come la venlafaxina, con molecole a doppio attacco non variabile, come l’imipramina, e con gli SSRI.
In ogni caso, è consigliabile che qualunque approccio clinico (e anche sperimentale) alla terapia dell’ansia generalizzata con farmaci AD avvenga su base dimensionale più che categoriale. Nel caso dell’ansia è infatti il peso relativo della dimensione Paura-Preoccupazione rispetto al peso della dimensione Tristezza-Colpa che deve guidare la scelta della molecola o dell’associazione di molecole. Anche in questa prospettiva, un farmaco come venlafaxina, con azione differenziata sui due neurotrasmettitori in rapporto ai dosaggi utilizzati, può mostrare interessanti prospettive.
Oltre a ciò, l’effetto “ansiolitico”, unito alla dimostrata efficacia nella terapia della depressione maggiore, conferisce alla venlafaxina RP un ruolo fondamentale nel trattamento del Disturbo Misto Ansioso-Depressivo, in considerazione della frequente presenza, nella pratica clinica, di quadri sintomatologici misti.
Tab. I. Nosografia dei disturbi d�ansia nei dsm.
Nosology of anxiety disorders in the DSM.
DSM-III 1980 | DSM-III-R 1987 |
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DSM- IV 1994 |
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Tab. II.
Criterio diagnostico “d” del dsm-iv per il Disturbo da Ansia Generalizzata.
DSM-IV diagnostic criterion D for Generalized Anxiety Disorder.
L�oggetto dell�ansia e della preoccupazione non è limitato alle manifestazioni di un altro disturbo in Asse I, come:
� avere un Attacco di Panico; � rimanere imbarazzati in pubblico (come nella Fobia Sociale); � essere contaminati (come nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo); � essere lontani da casa o dai familiari più stretti (come nel Disturbo da Ansia da Separazione); � aumentare di peso (come nell�Anoressia Nervosa); � presentare lamentele fisiche multiple (come nel Disturbo da Separazione); � presentare il timore di avere una grave malattia (come nell�Ipocondria). L�ansia e la preoccupazione non si manifestano esclusivamente durante il Disturbo Post Traumatico da Stress. |
Fig. 1. Le analisi fattoriali hanno mostrato come esistano nella comorbidità tra ansia e depressione due dimensioni psicopatologiche indipendenti che possono essere rappresentate, con peso relativo diverso in ogni condizione clinica. Esse sono la dimensione “tristezza-umore depresso” e la dimensione “paura-preoccupazione-somatizzazione”. La dominanza dell�una o dell�altra dimensione corrisponde alle categorie diagnostiche del disturbo depressivo maggiore e del disturbo d�ansia generalizzata. Il disturbo ansioso depressivo è caratterizzato dalla compresenza di entrambe le dimensioni in misura quasi equivalente. L�analisi dimensionale permette tuttavia un migliore inquadramento di ogni caso clinico a fini terapeutici rispetto alla tradizionale suddivisione di tipo categoriale.
Factorial analyses showed the existence of two independent psychopathological dimensions in comorbidity between anxiety and depression which may be present with different relative weights in any of these clinical conditions. These are the “sadness/depressed mood” dimension and the “fear/worry/somatisation dimension. The predominance of the one or the other corresponds to the diagnostic categories of major depressive disorder and generalized anxiety disorder. Mixed anxious depressive syndrome is characterised by the simultaneous presence of both dimensions to an almost equivalent extent. Dimensional analysis, however, permits to frame every clinical case for therapeutic purposes better than the traditional categorical subdivision.
Tab. III. Analisi fattoriale condotta su 254 pazienti affetti da disturbi dello spettro depressivo con PANSS e HAM-D. Factor analysis carried-out on 254 patients affected by depressive spectrum disorders through the PANSS and the HAM-D scales.
1 | 2 | 3 | 4 | |
N3 rapporto insuff. | ,907 | |||
N6 mancanza di spontaneità | ,898 | |||
N1 app. affettivo | ,894 | |||
N2 ritiro emozionale | ,866 | |||
G11 povertà attentiva | ,842 | |||
G7 rallentamento motorio | ,824 | |||
N7 pensiero stereotipo | ,819 | |||
G8 non cooperatività | ,792 | |||
G6 depressione | ,790 | |||
HAM-D8 rallentamento | ,789 | |||
N4 ritiro sociale | ,789 | |||
G13 disturbi della volontà | ,788 | |||
G16 ritiro sociale attivo | ,740 | |||
N5 diff. pensiero astratto | ,700 | |||
G12 perdita di giudizio | ,695 | |||
G5 manierismi | ,677 | |||
G15 preoccupazione | ,632 | |||
G9 contenuti pensiero insoliti | ,584 | ,476 | ||
G14 scarso controllo degli impulsi | ,576 | |||
G3 sentimenti di colpa | ,574 | |||
G10 disorientamento | ,496 | |||
HAM-D1 umore depresso | ,480 | |||
P1 deliri | ,858 | |||
P2 disorganizzazione concettuale | ,840 | |||
P3 comp. allucinatorio | ,804 | |||
HAM-D20 sintomi paranoidei | ,802 | |||
P4 eccitamento | ,781 | |||
P6 sospettosità | ,775 | |||
P5 grandiosità | ,708 | |||
P7 ostilità | ,413 | ,597 | ||
HAM-D19 depersonalizzazione | ,527 | |||
HAM-D2 sentimenti di colpa | ,493 | |||
HAM-D10 ansia psichica | ,770 | |||
G2 ansia | ,759 | |||
HAM-D9 agitazione | ,752 | |||
G1 preocc. somatica | ,723 | |||
G4 tensione | ,435 | ,682 | ||
HAM-D12 sintomi gastrointestinali | ,753 | |||
HAM-D16 perdita di peso | ,541 | |||
HAM-D11 ansia somatica | ,522 | ,525 | ||
HAM-D14 sintomi genitali | ,517 |
FATTORE 1 = Depressione (Umore depresso, rallentamento)
FATTORE 2 = Distacco della realtà (Ostilità, perdita dell�insinght)
FATTORE 3 = Ansia psichica (timore preoccupazione)
FATTORE 4 = Ansia somatica
(da R. Brugnoli, F. Pacitti, A. Iannitelli, P. Pancheri. Giornale Italiano di Psicopatologia, 4, 2000, in stampa)
Fig. 2. Concentrazioni plasmatiche medie di venlafaxina (A) e dell�O-desmetil-venlafaxina a Rilascio Prolungato (RP) (B) in 24 soggetti che assumevano dosi multiple di venlafaxina RP (capsule preparate a New York-NY e Puerto Rico-PR) e venlafaxina a rilascio immediato (IR) 39.
Mean plasma concentrations of venlafaxine (upper panel) and O-desmethyl-venlafaxine (lower panel) in 24 subjects receiving multiple doses of venlafaxine-extended release (XR) and immediate release venlafaxine (IR) NY = New York, PR = Puerto Rico 39.
Le analisi fattoriali, condotte sulla base di strumenti di valutazioni diverse (HAM-D, MMPI, SVARAD) su gruppi diversi di pazienti affetti da disturbi dello spettro depressivo, hanno messo concordemente in evidenza l�esistenza di una dimensione ansia-paura-somatizzazione indipendente dalle altre dimensioni psicopatologiche presenti nella depressione. In rapporto allo strumento usato alcune analisi hanno permesso di identificare, nell�ambito dell�ansia, una dimensione di ansia “psichica” ed una dimensione di ansia “somatica”. Factorial analyses, carried-out on the basis of various assessment tools (HAM-D, MMPI, SVARAD) on various patient groups affected by depressive spectrum disorders, consistently showed the existence of an anxiety-fear-somatisation dimension which was independent from other psychopathological dimensions present in depression. According to the assessment tool used, some analyses allowed to identify, two anxiety dimensions, a “psychic” and a “somatic” one. |
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Fig. 4. Confronto vs paroxetina. Punteggi medi corretti dell�item HAM-D “ansia psichica” in pazienti con ansia associata a depressione, in uno studio in doppio cieco della durata di 8 settimane. Comparison versus paroxetine. Corrected means of the HAM-D “psychic anxiety” item in patients with anxiety associated to depression in an 8-week, double-blind study.
Fig. 5. Risultati di uno studio in doppio cieco, condotto su pazienti affetti da Disturbo d�Ansia Generalizzato non associato a depressione, trattati per 28 settimane con venlafaxina RP o placebo. Results of a double-blind study, carried-out on non-depressed patients affected by Generalized Anxiety Disorder, treated for 28 weeks with venlafaxine XR or placebo.
Fig. 6. Schema delle interazioni neurotrasmettitoriali e neurorecettoriali nei disturbi d�ansia e nei disturbi depressivi. Il sistema inibitorio GABA controlla in modo locale e diffuso l�attività degli altri sistemi, ma il ruolo regolatorio centrale è assunto dal sistema della serotonina. Il sistema 5HT controlla l�attività tonica diffusa dei sistemi DA e NA. Tutti i sistemi neurotrasmetitoriali, tuttavia interagiscono reciprocamente influenzandosi a vicenda. I farmaci usati per la terapia dell�ansia e della depressione interagiscono a vari livelli e con varia potenza sulle varie componenti del sistema. Pattern of neurotransmitter and neuroreceptor interactions in anxiety and depressive disorders. The inhibitory GABAergic system locally and diffusely controls the activity of other systems, but the central regulatory role is undertaken by the serotonergic system. This controls the diffuse tonic activity of dopaminergic and noradrenergic systems. All neurotransmitter systems, however, mutually interact affecting the function of one another. Drugs used to treat anxiety and depression interact at various levels and with varying potency on the various components of the system.
Fig. 7. Modello interpretativo della disfunzione 5HT nell�ansia e nella depressione e dei punti differenziati di attacco dei farmaci “antidepressivi”. Le disfunzioni del nucleo mediano del rafe sono prevalentemente responsabili dei disturbi dello spettro d�ansia, mentre le disfunzioni del nucleo dorsale sono prevalentemente alla base dei disturbi di tipo depressivo. In entrambi i casi il sistema NA agisce da servo sistema della disfunzione 5HT determinandone le caratteristiche sintomatologiche. I farmaci AD agiscono sulla sezione del sistema 5HT prevalentemente compromessa regolarizzandone la funzione. Il modello spiega anche la coesistenza, con peso differenziato, della dimensione-ansia e della dimensione-depressione (Deakin 106, modificata). Interpretive model of 5-HT dysfunction in anxiety and depression and the different anchoring points of “antidepressant” drugs. Dysfunction of the median raphe nucleus is mainly responsible of anxiety spectrum disorders, whereas dorsal raphe nucleus dysfunction is mainly involved in depressive spectrum disorders. In both cases, the noradrenergic system acts as a a brake of 5-HT dysfunction, determining its symptomatological features. Antidepressant drugs are active within the 5-HT section which is most impaired, regulating its function. This model also explains the coexistence of variable proportions of both the anxiety and the depression dimensions (modified from Deakin [106]).
Fig. 8. Schema delle interazioni tra sistema 5HT e sistema NA. Serotonin-noradrenaline interaction in the central nervous system.
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