Key words: Serotonin • Serotonin transporter • Serotonin receptors • Depressive disorders • Anxiety disorders • Obsessive-compulsive disorder • Panic disorder • Social phobia • Eating disorders • Psychoses
Correspondence: Dr. Donatella Marazziti, Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie, Università di Pisa, via Roma 67, I-56100 Pisa, Italy – Tel. +39 050 835412 – Fax +39 050 21581, E-mail: dmarazzi@psico.med.unipi.it
Sebbene scoperta circa 70 anni fa, la serotonina (5-HT) ed il sistema serotoninergico continuano a rappresentare uno degli argomenti più vivaci della ricerca neuroscientifica. Inoltre, l’approfondimento dei vari aspetti del funzionamento della 5-HT ha consentito di stabilire, allo stato delle conoscenze attuali, che essa rappresenta il neurotrasmettitore maggiormente coinvolto nella fisiopatologia di diversi disturbi neuropsichiatrici.
Scopo di questo articolo di review è di analizzare gli studi biologici che hanno evidenziato alterazioni del sistema serotoninergico nei vari disturbi psichiatrici. Verranno trattate le seguenti patologie: depressione, disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), disturbi d’ansia, disturbi del comportamento alimentare e psicosi.
Se le ipotesi iniziali sul coinvolgimento della 5-HT nelle varie patologie psichiatriche si basavano essenzialmente sul rilievo dell’aumento delle concentrazioni di questo neurotrasmettitore dopo somministrazione degli antidepressivi triciclici (TCA), effetto osservato in vitro, negli ultimi decenni si sono accumulate dati su alterazioni di parametri serotoninergici direttamente nei pazienti. Questo è avvenuto perché la definizione delle aree cliniche influenzate dal sistema serotoninergico è stata possibile grazie alle applicazioni delle conoscenze di neurofisiologia e neurofisiopatologia, basate su innovative tecniche di neuroimaging (RMN, PET, SPECT, binding recettoriale), elettrofisiologiche (microionoforesi), neurochimiche, come la misurazione delle attività enzimatiche, delle concentrazioni ematiche e liquorali di 5-HT, dei suoi precursori (triptofano, TRP) e cataboliti (acido 5-idrossi-indolacetico, 5-HIAA) in soggetti normali e in pazienti psichiatrici. Esistono evidenze che, tra i fattori che predispongono un individuo allo sviluppo della psicopatologia, giochino un ruolo fondamentale sia le alterazioni effettive dell’attività serotoninergica o di alcuni sottotipi recettoriali, sia quelle indirette che si verificano a carico di altri sistemi, ampiamente influenzati dalla 5-HT, come l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA). È stato, infatti, evidenziato sia con studi farmacologici che neuroanatomici che i neuroni contenenti 5-HT regolano l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e che i terminali nervosi contenenti 5-HT sinaptano con le cellule contenenti corticotropin-releasing hormone (CRH) nell’ipotalamo cosicché, sia direttamente che indirettamente, tutti gli agonisti serotoninergici possono aumentare il rilascio di ACTH, endorfina e cortisolo. Un altro ormone ipofisario che è regolato in parte dai neuroni serotoninergici è la prolattina: molti composti che aumentano la funzione serotoninergica incrementano, infatti, anche la secrezione di prolattina. Le sostanze impiegate per esplorare la funzionalità serotoninergica sono in genere di due tipi: quelli che incrementano la funzione serotoninergica cerebrale (fenfluramina, citalopram e precursori della 5-HT, come il TRP e il 5-idrossi-TRP) e quelli che intervengono direttamente sui recettori serotoninergici, come la m-clorofenilpiperazina (mCPP), un agonista di vari sottotipi recettoriali. Certamente queste tecniche di stimolo farmacologico sono criticabili per la bassa specificità dei composti impiegati, ma sono interessanti perché si tratta di stimoli dinamici che perturbano il sistema serotoninergico ed evocano una risposta quantificabile.
Sottolineare che la 5-HT è ampiamente coinvolta nella fisiopatologia di vari disturbi psichiatrici non significa tentare di spiegarne la complessità con il malfunzionamento di un solo o di pochi neurotrasmettitori, anche perché questa visione semplicistica è del tutto tramontata; non si può, comunque, disconoscere come la modulazione del sistema serotoninergico sia verosimilmente importante nella produzione di sintomi che, forse più che aspecifici, sono da collegarsi ad aspetti dimensionali. L’identificazione delle possibili dimensioni sottese dal sistema serotoninergico rappresenta una delle sfide più entusiasmanti della ricerca biologica futura in psichiatria.
Serotonina e depressione
D. Marazziti, E. Cerrai, L. Novelli, S. Spagnolli
Numerose osservazioni, a partire dai primi anni Sessanta, hanno messo in evidenza il possibile ruolo etiopatogenetico di alterazioni del sistema serotoninergico nella depressione, nel senso che una riduzione del suo funzionamento sembra scatenare alcuni sintomi depressivi sia nei controlli sani che in pazienti depressi in remissione (1)-(4), mentre, al contrario, sostanze che facilitano la trasmissione serotoninergica provocherebbero una elevazione del tono dell’umore (3) (4). Un’ipotesi, attualmente solo di interesse storico, attribuisce invece l’aumentata vulnerabilità per la depressione ad un incremento della funzione serotoninergica (5).
In effetti studi più recenti con tecniche di brain imaging sembrano dimostrare alterazioni della neurotrasmissione serotoninergica a livello di specifiche aree del SNC (nuclei del rafe mediale e sue proiezioni alla corteccia prefrontale) in pazienti depressi (6).
Studi metabolici
Numerosi studi riportati in letteratura sembrano documentare una ridotta disponibilità plasmatica dell’aminoacido L-TRP, precursore della 5-HT, in pazienti affetti da depressione maggiore rispetto ai controlli (7) e ciò sembrerebbe in relazione all’aumento del catabolismo di tale aminoacido, dovuto all’incremento dell’attività dell’enzima epatico TRP-pirrolasi (8). In tale senso la disponibilità di TRP a livello cerebrale potrebbe essere un fattore limitante la sintesi di 5-HT a livello neuronale. Altri studi hanno messo in luce che una riduzione di TRP nella dieta, associata ad ingestione di grandi quantità di aminoacidi che competono per gli stessi ligandi plasmatici, determinava un rapido e significativo peggioramento della sintomatologia depressiva in pazienti che avevano precedentemente risposto agli SSRI (9) (10). Secondo altri autori, la ridotta disponibilità plasmatici di TRP (misurata dal rapporto TRP/aminoacidi competitivi) in pazienti depressi risultava un fattore predittivo di migliore risposta agli SSRI.
Studi autoptici
A partire dalla fine degli anni ’60 sono stati pubblicati studi autoptici in suicidi, diagnosticati retrospettivamente come depressi, che hanno evidenziato una riduzione di 5-HT o di 5HIAA in alcun aree cerebrali.
Le moderne tecniche di binding hanno consentito di identificare almeno 17 sottotipi di recettori serotoninergici, distinti in 7 famiglie principali e i dati disponibili hanno consentito di rilevare alterazioni a carico dei recettori 5-HT2 e dei 5-HT1A che sembrerebbero aumentati. La densità del trasportatore della 5-HT sarebbe, invece, ridotta.
Studi liquorali
A partire dagli anni ottanta numerosi studi hanno evidenziato una significativa riduzione dei livelli di 5-HIAA nel liquor di pazienti depressi (11)-(13). In ricerche successive effettuate su un gruppo di pazienti bipolari e unipolari ospedalizzati sono state osservate ridotte concentrazioni liquorali di 5-HIAA solo nel primo gruppo, mentre tale dato non è emerso da altri studi, in cui tuttavia non erano presenti adeguati controlli. Secondo alcuni autori i livelli di 5-HIAA potrebbero servire come predittori di risposta alla terapia farmacologica; per esempio, bassi livelli di 5-HIAA sarebbero indicativi di buona risposta al 5-OH-TRP.
Più evidente, da questi studi liquorali, la relazione tra ridotti livelli di 5-HIAA e comportamento suicidario, dai quali emerge la possibilità di identificare soggetti ad elevato rischio di suicidio (14) (15). La relazione tra disfunzioni della 5-HT, riflessa dalle modificazioni liquorali del suo principale metabolita, ed auto- ed eteroaggressività è confermata da studi analoghi in pazienti non depressi che avevano effettuato un tentativo di suicidio, ed anche in soggetti che presentavano comportamenti violenti ed aggressivi nonché in pazienti con sindrome di Lesch-Nyhan (7) (16).
Studi piastrinici
Numerosi dati sembrano testimoniare che le piastrine ematiche rappresentano un affidabile modello periferico delle terminazioni nervose presinaptiche serotoninergiche. Hanno infatti in comune con i neuroni presinaptici serotoninergici caratteristiche anatomiche e funzionali, accumulano 5-HT attraverso un trasporto passivo e posseggono un uptake attivo identico a quello neuronale. Sono state pertanto ampiamente utilizzate in psichiatria biologica come strumento di ricerca per studiare alcune proprietà del sistema serotoninergico (17).
In molti studi è stata rilevata una riduzione della velocità massima (Vmax) del reuptake della 5-HT, che è una misura del numero delle proteine trasportatrici, in piastrine di pazienti depressi (18) (19) o una ridotta densità dei siti di legame per l’imipramina o la paroxetina triziata (20)-(23). Ricerche più recenti hanno confermato una riduzione della densità del trasportatore piastrinico per la 5-HT in pazienti depressi (24) ed hanno evidenziato che la riduzione dei siti di legame per la paroxetina triziata sulle piastrine è maggiore nei pazienti con disturbi dell’umore che avevano tentato il suicidio (25), in accordo con ipotesi precedenti (26) (27). Neuger (28) ha sottolineato come la riduzione del reuptake della 5-HT sia maggiore nelle piastrine di pazienti di sesso femminile il che potrebbe spiegare, secondo lo stesso autore, la maggiore vulnerabilità alla depressione delle donne.
Studi neuroendocrini
Alcuni studi hanno mostrato una ridotta risposta della PRL alla somministrazione di TRP e clomipramina e.v. in pazienti depressi (29) (30). Dato che la risposta a questo aminoacido nei soggetti sani può essere attenuata dalla somministrazione del pindololo, un antagonista del recettore 5HT1A, è stato ipotizzato che l’aumento di tale ormone sia mediato da questo recettore.
Viene inoltre riportato un aumento dei livelli plasmatici di cortisolo dopo somministrazione di 5-OH-TRP (19) (29), effetto probabilmente mediato dai recettori di tipo 5HT2, che potrebbero, quindi, trovarsi in una situazione di up-regulation nella depressione (31).
Utilizzando il test alla fenfluramina, sostanza che favorisce il rilascio della 5-HT e ne inibisce il reuptake, sono stati ottenuti risultati contrastanti e solo in un limitato numero di essi è stata osservata una risposta ridotta della PRL (32) (33). Altri studi hanno evidenziato che due sottogruppi di pazienti depressi, vale a dire quelli ricoverati con sintomi melanconici e quelli con tratti impulsivi e con storia di tentativi di suicidio (34) (35), mostrano un lieve aumento dei livelli di PRL.
Un antagonista del recettore 5HT2, la ritanserina, ha dimostrato bloccare l’incremento dei livelli di PRL in risposta alla somministrazione di d-fenfluramina, ad indicare che tale aumento è anche mediato dai recettori 5HT2 (36) (37).
Studi recettoriali
Recenti studi hanno evidenziato il ruolo degli autorecettori 5HT1A (somatodendridici) e 5HT1D/B dei terminali nervosi nel meccanismo dell’azione terapeutica degli SSRI (38). Studi post-mortem e sulle piastrine indicano, infatti, una loro down-regulation dopo trattamento cronico (2-4 settimane) con SSRI ma non dopo trattamento acuto (1-3 gg). In base a questi risultati sembrerebbe che l’azione degli SSRI sugli autorecettori si esplichi mediante la loro desensibilizzazione, evento che si verifica dopo 2-4 settimane dall’inizio della terapia, tempo che corrisponde alla latenza per l’azione clinica di questi farmaci. Con tecniche di microdialisi (39)-(41) in ratti svegli anestetizzati si è osservato che ad una singola somministrazione di SSRI seguiva uno scarso incremento della concentrazione extracellulare di 5-HT, ad eccezione dei nuclei del rafe dove l’aumento era più significativo; addirittura a bassi dosaggi di SSRI questo aumento si verificava solo nel rafe e non nella corteccia frontale. Questa blanda risposta potrebbe essere spiegata dal fatto che l’aumento di 5-HT andrebbe ad attivare gli autorecettori 5HT1A (molto concentrati nel rafe) con un’azione a feed-back negativo. In accordo a questo è l’osservazione che, somministrando prima degli SSRI un antagonista dei 5HT1A, come il pindololo, la diminuzione del rilascio viene inibita (42), ottenendo così gli stessi risultati di una stimolazione cronica con SSRI. Quindi il tempo necessario per la down-regulation dei 5HT1A e 5HT1D/B coinciderebbe con il tempo necessario per l’effetto terapeutico. Alcuni studi dimostrano che la combinazione SSRI-pindololo possa accelerare e incrementare la risposta antidepressiva (43) (44).
Rilevante anche il ruolo dei recettori 5HT2 post-sinaptici, che nei depressi sembrerebbero up-regolati, dal momento che gli SSRI sembrano ridurne la densità (45), risultato già evidenziato da Attar-Levy (46) dopo somministrazione cronica di TCA. Un ruolo importante, ma da verificare, sembra anche quello dei recettori 5HT1A postsinaptici.
Considerazioni conclusive
L’ipotesi di un ruolo della 5-HT nell’etiopatogenesi della depressione occupa un posto centrale da oltre 50 anni ed è suffragata da varie linee di ricerca che hanno utilizzato diversi approcci, quali gli studi autoptici, liquorali e piastrinici. Anche numerose indagini cliniche e neuroendocrine sono suggestive per un’alterazione del sistema serotoninergico nella patologia depressiva. È stato proposto che la diminuzione di attività o una minore stabilità del sistema serotoninergico possa rappresentare una sorta di fattore di vulnerabilità o predisposizione, verosimilmente su base genetica, associato ad un rischio maggiore di sviluppare la depressione. Su tale base di disfunzione serotoninergica, che svolgerebbe una funzione permissiva, potrebbero successivamente instaurarsi alterazioni dei altri sistemi neurotrasmettitoriali. È anche possibile come già detto, che l’alterazione serotoninergica non sia un fattore specifico per la depressione, come è dimostrato dall’associazione tra ridotti livelli liquorali di 5-HIAA e suicidio, indipendentemente dalla diagnosi, e riduzione del trasportatore della 5-HT in diverse patologie.
Serotonina e disturbo ossessivo-compulsivo e patologie correlate
D. Marazziti, S. Cortopassi, G. Ceraudo
Le prime osservazioni riguardanti l’implicazione della 5-HT nel DOC emersero dal confronto dell’efficacia della clomipramina, un TCA con azione selettiva di blocco del reuptake della 5-HT, nella riduzione dei sintomi ossessivi rispetto ad altri TCA privi di tale attività sul sistema serotoninergico quali la desipramina (47) (48). Inoltre, studi successivi mostrarono che pazienti affetti da DOC rispondevano in maniera esclusiva a tutti gli SSRI (fluvoxamina, fluoxetina, paroxetina, sertralina e citalopram (49)).
Altre prove del coinvolgimento della 5-HT provengono da studi sul liquido cerebrospinale dove è stato evidenziato che la risposta positiva alla clomipramina si associa a livelli più elevati dell’acido 5-HIAA (50), mentre concentrazioni più basse di tale metabolita si correlano a una maggiore gravità dei sintomi ossessivi (51).
Ulteriore conferma della centralità della 5-HT nel DOC deriva dallo studio di un altro marker indiretto, il trasportatore piastrinico della 5-HT che, come già detto, rappresenta un affidabile modello periferico del neurone presinaptico serotoninergico (52) (53). Tale proteina piastrinica è stata valutata attraverso la misurazione diretta del meccanismo di reuptake o la valutazione dei siti di legame marcati dall’imipramina triziata, composto che è stato successivamente sostituito dalla paroxetina triziata, che è risultata essere un ligando più specifico (54).
Numerosi studi hanno osservato come tale trasportatore risulti alterato nel senso di una ridotta funzionalità (55)-(57) nel DOC, e che tale ipofunzionalità si correla con la gravità della sintomatologia e con la risposta alla terapia farmacologica: pazienti che presentano un ridotto numero di tali proteine mostrano un punteggio più elevato alla Y-BOCS (scala di valutazione della frequenza e della gravità dei sintomi ossessivi) e sembrano rispondere meglio agli SSRI. Tale decremento è un marker stato dipendente: si normalizza, infatti, in seguito al miglioramento clinico. La funzionalità del trasportatore risulta minore in pazienti con DOC cronico rispetto a quelli con DOC episodico (58). Queste ed altre evidenze suggeriscono che pazienti con alterazioni più gravi del sistema serotoninergico siano quelli che rispondono meglio agli SSRI.
Le nozioni acquisite negli ultimi anni riguardo gli aspetti biologici del DOC permettono di formulare delle ipotesi eziopatogenetiche e di selezionare dei possibili geni candidati nel conferire suscettibilità per il DOC. In particolare è stato studiato il gene per il trasportatore della 5-HT (5-HTT); questa proteina è infatti coinvolta nella regolazione della quantità di 5-HT disponibile nel vallo sinaptico. A questo proposito, Di Bella et al. hanno eseguito uno screening mutazionale della sequenza codificante per il 5-HTT, che non ha evidenziato varianti polimorfiche associate con il DOC, ovvero, non sono state riscontrate mutazioni in grado di modificare la sequenza amminoacidica della proteina. È stata in seguito studiata la regione regolatoria di questo gene al fine di valutare la possibile alterazione della sua espressione in pazienti affetti da DOC. Tuttavia pochi sono gli studi che mostrano la presenza di alterazioni nella regione promotrice del gene per il trasportatore (5-HTTLPR) in pazienti con DOC. Risultati contrastanti emergono anche da studi relativi ai geni codificanti per i vari sottotipi recettoriali. Uno studio caso-controllo sembra escludere un ruolo per un polimorfismo funzionale del recettore 5-HT2C nello sviluppo del DOC, mentre risultati contrastanti si riscontrano per un polimorfismo funzionale nella regione regolatoria del gene per il recettore 5-HT2A. Infine, uno studio sull’autorecettore 5-HT1D ha mostrato un polimorfismo silente in un campione di 67 famiglie, rilevando un’associazione positiva con un rischio aumentato di sviluppare il DOC.
Studi recettoriali
Come già sottolineato, ancora controversa risulta l’identificazione del o dei sottotipi recettoriali serotoninergici implicati nel DOC. Un utile approccio per lo studio dei sottotipi recettoriali è rappresentato dai test di stimolo farmacologico, ovvero di metodiche volte a stimolare il sistema serotoninergico in modo da studiarne gli effetti clinici-comportamentali conseguenti. Gli studi partirono dall’osservazione che numerosi pazienti affetti da DOC mostravano un peggioramento dei sintomi ossessivi all’inizio della terapia farmacologica con clomipramina o SSRI. Questa evidenza fu interpretata come la prova di una condizione di ipersensibilità dei recettori serotoninergici postsinaptici. Tra le sostanze impiegate per riprodurre questo effetto ed identificare i recettori coinvolti, la m-CPP è la più usata. La m-CPP, metabolita del trazodone, si comporta da agonista serotoninergico con alta affinità per i recettori 5-HT1A, 1B/D, 2C e 3, da antagonista a livello dei recettori 5-HT2, è in grado di inibire il reuptake della 5-HT e spiazzare la paroxetina triziata dal trasportatore della 5-HT, con esacerbazione della sintomatologia ossessiva (studi recenti indicano che la dose minima efficace a produrre questo effetto è pari a 0,25 mg/kg). La riduzione della sintesi e del turnover della 5-HT sono effetti secondari alla stimolazione dei recettori postsinaptici; il ruolo di tali recettori è supportato anche dall’osservazione che il pre-trattamento con metergolina, antagonista serotoninergico, elimina tutti gli effetti indotti dalla m-CPP (59). Questi dati indicano la presenza di una ipersensibilità serotoninergica comportamentale e neuroendocrina in pazienti affetti da DOC. Viceversa la somministrazione di MK-212 (60), agonista serotoninergico con alta affinità per i recettori 5-HT1A-2C, non provoca effetti comportamentali in pazienti con DOC; a differenza di m-CPP MK-212 non ha affinità per i recettori 5-HT1B/D. Il ruolo di questi ultimi è stato indagato con il sumatriptano (agonista serotoninergico a questo livello) che sembra esacerbare la sintomatologia ossessiva come evidenziato da alcuni studi.
Tutti questi dati suggeriscono il coinvolgimento dei seguenti sottotipi recettoriali: 5-HT1A, 5-HT2A, 5-HT2C, 5-HT1B/D. Il primo di questi non sembra alterato nei pazienti con DOC data l’assenza di risposta all’ipsapirone (agonista del 5-HT1A) e l’inefficacia clinica del buspirone. Rimane tuttora incerto il ruolo dei 5-HT2A, 5-HT2C e 5-HT1B/D. Non si può neppure escludere il coinvolgimento dei 5-HT5A e 5-HT6, sui quali agiscono la clomipramina e gli SSRI, e quello dei 5-HT1F a livello dei quali il sumatriptano svolge attività agonista. Il ruolo dei 5-HT3 sembra da escludersi data l’inefficacia del pre-trattamento con ondansentron (61) (agonista serotoninergico con alta affinità per i 5-HT3) somministrato per antagonizzare gli effetti della m-CPP.
La clomipramina svolge la sua azione antiossessiva aumentando la responsività dei recettori postsinaptici di tipo 5-HT1A e desensibilizzando i 5-HT2C, gli SSRI (62) riducendo la responsività degli autorecettori 5-HT1A somatodendritici e dei terminali. Il netto incremento del rilascio della 5-HT risulta particolarmente evidente nella corteccia orbitofrontale dell’animale da esperimento, un’area primariamente coinvolta nel DOC, dopo 8 settimane di terapia, che corrisponde al tempo minimo in cui si può manifestare una risposta antiossessiva. Gli effetti della 5-HT a livello della corteccia orbitofrontale sono mediati dall’azione dei sottotipi 5-HT2. IL ruolo dei recettori 5-HT2 è supportato da osservazioni preliminari sugli effetti antiossessivi dell’allucinogeno psilocibina che ha proprietà agonista della 5-HT e dagli effetti benefici in casi di DOC resistente dei neurolettici atipici, come il risperidone, con profilo 5-HT2/D2.
Studi sui secondi messaggeri
La ricerca attuale si è attualmente orientata sullo studio dei meccanismi di trasduzione intracellulari del trasportatore della 5-HT la cui attività è regolata dall’azione delle proteine chinasi A e C. La PKA (via finale comune dell’AMPc) attiva tale trasportatore (aumentando così il reuptake della 5-HT), mentre la PKC lo inibisce (63). Uno studio ha indagato l’effetto dell’attivazione della PKC sul reuptake della 5-HT in un gruppo di pazienti con DOC rispetto ad un gruppo di controllo: la velocità del reuptake diminuiva in modo significativo in entrambi i gruppi analizzati, ma il decremento della Vmax risultava più accentuato in pazienti affetti da DOC, indicando che in questi pazienti tale meccanismo è più attivo. Tale fenomeno potrebbe dipendere sia da un’iper-responsività del sistema di reuptake della 5-HT sia dall’iperattivazione della PKC. La iperattivazione della PKC (64) riflette l’aumentata produzione endogena del diacilglicerolo (DAG), originato dalla scissione operata dalla fosfolipasi C (PLC) sui fosfatidi di membrana come risultato dell’iperattività del fosfatidilinositolo (PI). La stimolazione della via del PI nel DOC si correla con il peggioramento dei sintomi ossessivi dopo somministrazione di m-CPP, agonista del recettore 5-HT2C, il quale risulta accoppiato con una proteina G che attiva la PLC. L’iperattività della via del PI provocherebbe pertanto un’alterazione del normale equilibrio esistente tra la via del PI e quella dell’AMPc. È stato dunque proposto di utilizzare (65) l’inositolo, precursore dei fosfatidi di membrana, nella terapia del DOC.
Da tutto ciò si deduce che il DOC potrebbe derivare da uno sbilanciamento tra le due principali vie di traduzione del segnale, l’AMPc e il PI, con una prevalenza del secondo e conseguentemente una iperattivazione della PKC.
Oltre ad agire sulla via del PI, gli SSRI e la clomipramina sembrano indurre “up-regulation” di fattori neurotrofici come il CREB e il BDNF. È altresì importante notare che CREB è substrato di entrambe PKC e PKA, e che gli agonisti del recettore 5-HT2C sembrano influenzare l’espressione di CREB e BDNF.
Studi neuroendocrini
Meritano un accenno gli studi di neuroendocrinologia nel DOC, studi che sono pochi anche se congruenti. Alcuni ricercatori hanno valutato le concentrazioni plasmatiche dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH) dopo stimolo con CRF, evidenziando che pazienti con DOC mostravano livelli di ACTH più bassi rispetto ai controlli sani, senza nessuna differenza nel cortisolo basale o dopo stimolazione. In seguito all’evidenza che la somministrazione di CRF aumenta i comportamenti stereotipati nell’animale, sono state misurate le concentrazioni liquorali di CRF in pazienti con DOC, osservandone un loro aumento che correlava negativamente con la gravità della sintomatologia e che si normalizzava dopo trattamento con clomipramina, al contrario di pazienti affetti da panico o ansia generalizzata non distinguibili dai soggetti sani. Sembra, inoltre, che l’aumento delle concentrazioni liquorali di ACTH sia riscontrabile in pazienti affetti sia da DOC sia da sindrome di Gilles de la Tourette, una patologia che fa parte del cosiddetto spettro ossessivo-compulsivo.
Anche il GH e la PRL potrebbero essere coinvolti nella genesi del DOC data la riduzione dei loro livelli dopo stimolo con m-CPP ed il loro aumento dopo somministrazione con TRP.
Disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo
Il sistema serotoninergico è chiamato in causa anche per tutte le patologie appartenenti allo spettro ossessivo-compulsivo. Alla base della sindrome di Gilles de la Tourette sembra esserci un coinvolgimento del recettore 5-HT2A oltre al sistema dopaminergico. Studi post-mortem condotti su cervelli di pazienti affetti da sindrome di Gilles de la Tourette hanno individuato bassi livelli di 5-HT e 5HIAA nel tronco encefalico, bassi livelli di glutammato a livello del globo pallido, e bassi livelli di c-AMP a livello corticale. I livelli di TRP nel liquor sarebbero ridotti anche nel liquor, inoltre la concentrazione di TRP nel liquor sarebbero inversamente correlate alla gravità dei tic. Inoltre, benché gli SSRI in monoterapia non siano completamente capaci di ridurre la sintomatologia ticcosa, si è osservato che riescono ad attenuare la sintomatologia ossessivo-compulsiva. Hollander et al. (66) hanno dimostrato l’efficacia degli SSRI in vari altri disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo. Gli stessi autori hanno anche ipotizzato che la compulsività si associerebbe a iperfrontalità e ipersensitività serotoninergica, mentre l’impulsività si associerebbe a iperfrontalità e livelli serotoninergici ridotti a livello presinaptico. È stato infine condotto uno studio su piastrine di pazienti affetti dai vari disturbi dello spettro, che ha evidenziato una riduzione di attività del trasportatore della 5-HT indistinguibile da quella osservata nei pazienti affetti da DOC (67).
Considerazioni conclusive
Sebbene esistano numerosi dati suggestivi della centralità del ruolo del sistema serotoninergico nel DOC, resta ancora da stabilire se esso sia in stretta correlazione all’eziologia primaria del disturbo o piuttosto alla gravità o alla specificità della risposta farmacologica.
Serotonina e ansia
L’ansia è definibile come uno stato di inquietudine, un’attesa timorosa di eventi negativi, infausti, ma, mentre la paura è un’emozione che origina da una minaccia reale, l’ansia è priva di un oggetto o di un evento scatenante definito, configurandosi come una risposta ad un pericolo indefinito, vago, verso il quale l’individuo percepisce un sentimento di inadeguatezza. È quindi una risposta emotiva fisiologica, in quanto determina un aumento della vigilanza e dell’attenzione al fine di affrontare al meglio situazioni di stress; se però si manifesta in assenza di fattori scatenanti o si protrae nel tempo o si rivela controproducente ed interferisce con il funzionamento globale dell’individuo, diviene patologica. La varietà delle risposta coinvolti in questi disturbi (emozionali, neuroendocrine e cognitive) indica che i meccanismi cerebrali responsabili sono molteplici e complessi.
Circa 40 anni fa, Donald Klein osservò che l’imipramina era efficace nel bloccare gli attacchi di panico e suggerì che la risposta farmacologica poteva costituire un metodo utile per delimitare una sindrome psichiatrica: tale lavoro può essere considerato il primo esperimento in era psicofarmacologica della ricerca sul disturbo di panico (DP).
Da allora si sono accumulati numerosi dati riguardanti i meccanismi cerebrali che regolano la vigilanza, la paura ed il panico.
Recentemente, l’ipotesi neuroanatomica del DP, è stata rivista alla luce delle nuove acquisizioni ottenute dalla ricerca preclinica nel settore della neurobiologia dei meccanismi di ansia, paura ed evitamento e dalle evidenze cliniche dell’efficacia terapeutica degli SSRI. Risulta chiaro che l’attacco di panico rappresenta una risposta comune a varie cause ed è abbastanza simile alle conseguenze fisiologiche e comportamentali che si osservano negli animali da esperimento in seguito a stimoli condizionati dalla paura. Queste risposte sono verosimilmente mediate da specifici circuiti cerebrali che coinvolgono primariamente l’amigdala e le sue proiezioni all’ippocampo, alla corteccia prefrontale, all’ipotalamo ed al tronco encefalico. Il DP risulterebbe dall’interazione tra fattori ereditari, rappresentati da una particolare vulnerabilità alle reazioni di paura ed all’ansia sottese da una specifica sensibilità dei circuiti sopramenzionati, ed eventi di vita stressanti, come alterazioni dell’attaccamento emozionale ai genitori o caregiver per perdita, o traumi in età adulta che coinvolgono l’attaccamento e la separazione. Si è così modificata l’ipotesi tronco-encefalica del DP a vantaggio delle strutture limbiche, in particolar modo dell’amigdala che risulta essere il centro integratore delle emozioni primordiali su cui convergono stimoli sia sensoriali che cognitivi e che può sequestrare, cioè comandare gran parte del cervello nell’elaborazione di risposte integrate quali quelle ansiose. La centralità dell’amigdala e delle strutture limbiche ha anche permesso di delineare, anche se esistono ancora molto controversie a proposito, il ruolo della modulazione serotoninergica nell’ansia, dato che la 5-HT e gli SSRI possono agire a vari livelli nell’attenuazione delle risposte ansiose: oltre all’amigdala ed al rafe, le aree corticali, il grigio periacquaduttale, l’ippocampo.
Serotonina e disturbo di panico
D. Marazziti, A. Baldini, C. Bianchi, F. Golia, C. Taponecco
L’ipotesi di una disfunzione serotoninergica nel DP è essenzialmente derivata da studi clinici, nei quali è emersa l’efficacia terapeutica della clomipramina, un farmaco triciclico particolarmente attivo come inibitore del reuptake della 5-HT (46)-(48), ma, soprattutto in quest’ultimo decennio, degli SSRI che si devono attualmente considerare i farmaci di prima scelta nel DP. Spesso la somministrazione di SSRI provoca un peggioramento iniziale della sintomatologia: questo è stato interpretato sulla base della possibile esistenza di una condizione di ipersensibilità recettoriale nei pazienti con DP: queste osservazioni sono altresì suffragate dalle proprietà ansiogeniche di agonisti serotoninergici quali la m-CPP che non provoca alcun effetto in volontari sani.
Le somiglianze strutturali e funzionali tra piastrine e neuroni serotoninergici costituiscono la base per l’ampia utilizzazione delle piastrine ematiche come strumento di indagine del sistema serotoninergico. Sono state inoltre riportate alterazioni a carico del trasportatore piastrinico della 5-HT in pazienti con DP con e senza agorafobia che da DP con o senza agorafobia (54). Più di recente il sistema serotoninergico è stato indagato con tecniche di brain imaging.
Studi neuroendocrini
Nei primi studi con TRP e con 5-OHTRP i pazienti con DP non hanno mostrato alterazioni neuroendocrine significative, mentre dal punto di vista clinico presentavano una riduzione dei livelli di ansia. In un altro studio, l’infusione di 5-OHTRP nel gruppo dei pazienti con DP e nel gruppo di controlli sani ha indotto un aumento dei livelli plasmatici di cortisolo; allo stesso modo è stato rilevato un aumento dei livelli plasmatici di melatonina, il che ha suggerito che la sintesi di questa possa essere influenzata da un aumento della disponibilità di 5-HT (68).
Ulteriori indagini hanno dimostrato come il trattamento con m-CPP sia associato ad un aumento significativo del release di cortisolo, suggerendo una correlazione tra l’aumento di quest’ultimo ed i livelli clinici di ansia (69). L’utilizzo di due differenti antagonisti serotoninergici, la metisergide e la metergolina, permette di bloccare gli effetti sia comportamentali che ormonali di risposta alla somministrazione di m-CPP. Alcuni autori hanno rilevato come la metergolina in particolare possa inibire in modo significativo l’azione facilitante di rilascio del cortisolo da parte della mCPP (70).
L’ipotesi di una condizione di ipersecrezione di cortisolo in pazienti con DP è stata avvalorata da studi condotti con il test di soppressione al desametasone nel corso dei quali sono stati riscontrati livelli significativamente differenti nella concentrazione di questo ormone pre- e post-somministrazione contrariamente alla risposta ottenuta in soggetti sani (71).
Studi con fenfluramina hanno riportato nei pazienti con DP aumenti significativamente maggiori dei livelli di PRL e cortisolo rispetto a pazienti depressi o controlli sani (72). Uno studio più recente ha confermato l’aumento dei livelli di PRL conseguente alla somministrazione di una singola dose di fenfluramina nei pazienti con DP rispetto ai controlli (73).
Studi piastrinici
Alcuni studi hanno sottolineato come il trasportatore della 5-HT risulti fondamentalmente alterato nel senso di una ridotta funzionalità in pazienti con DP. A dimostrazione di ciò è stato valutato il legame della (3)H-paroxetina in piastrine di pazienti “drug-free” affetti da DP con e senza agorafobia e i risultati hanno evidenziato un minor numero di siti marcati rispetto ai controlli. Inoltre, la ridotta funzionalità del trasportatore sembra un marker stato-dipendente, in quanto tende a normalizzarsi con il miglioramento clinico (74). Alcune ricerche sulla regolazione dei meccanismi di trasduzione intracellulare del segnale nervoso stanno prospettando un quadro complesso del funzionamento del trasportatore della 5-HT che coinvolge il suo stato di fosforilazione dipendente dall’attività delle proteine chinasi A e C; la proteina chinasi A è la via finale comune della cascata dell’AMPc e la sua azione consiste nell’attivare il trasportatore, mentre la proteina chinasi C svolge un’azione opposta (75): pertanto è stato ipotizzato che le modificazioni riportate a carico del trasportatore della 5-HT nei vari disturbi psichiatrici potrebbero dipendere dai cambiamenti del suo stato di fosforilazione indotto dalle chinasi A e C. Esistono evidenze preliminari che nel DP il primo sistema sia ipofunzionante. A conferma di questi dati sono stati effettuati studi piastrinici comparativi condotti su campioni di pazienti affetti da DP “drug-free” e dopo trattamento specifico rispetto a gruppi di controllo. I livelli di AMPc piastrinico risultavano significativamente più bassi nei soggetti con panico rispetto al gruppo di controllo. Tale alterazione sembrava regredire dopo trattamento farmacologico specifico (76).
È stato poi osservato che il lattato stimola il reuptake piastrinico di 5-HT e si è ipotizzato che possa indurre attacchi di panico attraverso interferenza con le vie serotoninergiche che inibiscono il “firing” del LC.
Importanti sono considerati i rapporti, i cosiddetti “cross-talks” tra il sistema serotoninergico e quello noradrenergico nella genesi del DP di cui esistono anche evidenze cliniche: è stato, infatti, osservato che la fluoxetina riduce i livelli di MHPG, il principale metabolita della NA parallelamente al miglioramento clinico e che gli SSRI riducono sia i metaboliti delle 5-HT che della NA in pazienti con DP (55) (56).
Studi di neuroimaging
Studi recenti di neuroimaging (PET) hanno indagato il ruolo del polimorfismo genetico del trasportatore della 5-HT nei disturbi d’ansia. In particolare è stato riscontrato che individui con una o due copie dell’allele corto della regione promoter del gene per il trasportatore mostrano più elevati livelli di ansia di tratto e di stato e un’aumentata risposta amigdaloidea a stimoli ansiogeni rispetto a soggetti omozigoti per l’allele lungo, stando ad indicare una correlazione sia con l’eccitabilità dell’amigdala sia con la gravità dei sintomi ansiosi (77).
Come già detto, l’amigdala gioca un ruolo fondamentale nelle risposte di paura condizionata e non (78) (79). Alcuni studi di neuroimaging dimostrano un’attivazione anomala dell’amigdala in pazienti con fobia sociale dopo esposizione a stimoli paurosi che si normalizza dopo trattamento con SSRI: ciò potrebbe in parte spiegare l’efficacia terapeutica di questi farmaci nei suddetti disturbi (80) (81).
Serotonina e disturbo d’ansia generalizzata (GAD)
Rispetto al DP e all’agorafobia non esistono studi biologici volti ad esplorare il sistema serotoninergico. Le uniche evidenze derivano da studi clinici controllati con farmaci serotoninergici (82)-(90).
Serotonina e fobia sociale (FS)
D. Marazziti, F. Raimondi, C. Bolognese, M. Liberti
Studi di stimolo neuroendocrino
Nella FS sono stati impiegati principalmente due composti nei test di stimolo neuroendocrino: la fenfluramina e il citalopram i cui effetti sul sistema serotoninergico sono stati misurati sulla base delle variazioni degli ormoni cortisolo e PRL. Con la fenfluramina si osserva un aumento dei livelli plasmatici di cortisolo significativamente maggiore nei pazienti rispetto ai soggetti di controllo, mentre la PRL rimane invariata. Questi dati sono stati interpretati come l’evidenza di una supersensitività dei recettori serotoninergici post-sinaptici, ma richiedono ulteriori conferme (91) (92). In un studio più recente come sonda farmacologica è stato utilizzato il citalopram e non sono state evidenziate significative differenze di risposta tra pazienti con FS e controlli (93).
Elevati livelli di cortisolo plasmatico sono stati osservati anche dopo somministrazione acuta di ligandi selettivi per il recettore 5HT1A, come l’ipsapirone e il gepirone, ma gli studi nei pazienti con FS non hanno rilevato differenze con i controlli (94)-(96).
Una conferma aggiuntiva del coinvolgimento serotoninergico nella FS può derivare dall’uso di composti più o meno selettivi per alcuni sottotipi di recettori serotoninergici: per esempio il buspirone, un agonista del recettore 5-HT1A, e l’ondansetron, un antagonista del recettore 5-HT3, normalmente usato come anti-emetico, sembrano migliorare i sintomi social-fobici (97)-(99).
Studi clinici
I dati più robusti sul ruolo della 5-HT nella FS derivano, anche per quanto dubbi, dagli studi clinici volti a valutare l’efficacia degli SSRI, attualmente considerati i farmaci di prima scelta per efficacia e tollerabilità (100)-(125).
Considerazioni conclusive
Il ruolo dei nuclei del rafe e del sistema serotoninergico nell’etiopatogenesi dell’ansia sono controversi, dal momento che sia l’aumento che la diminuzione dell’attività di tale sistema provocano ansia nei test comportamentali effettuati su animali di laboratorio (43). Tuttavia, i dati anatomici indicano la presenza di terminali serotoninergici, a partenza dai nuclei del rafe, che innervano il LC, l’amigdala, l’ippocampo e l’ipotalamo, strutture che svolgono un ruolo importante nella genesi dell’ansia. Dati sperimentali relativi ai nuclei amigdaloidei ed evidenze cliniche sull’efficacia terapeutica degli SSRI hanno indubbiamente rinforzato l’ipotesi che il sistema serotoninergico sia coinvolto a vari livelli nelle manifestazioni d’ansia. Alterazioni a carico del sistema serotoninergico potrebbero svolgere un ruolo “permissivo” che favorirebbero l’emergenza di risposte ansiose.
Serotonina e disturbi del comportamento alimentare
D. Marazziti, P. Iazzetta, V. Menniti, L. Rossi
L’eziopatogenesi di anoressia nervosa e bulimia nervosa è attualmente oggetto di studio e dibattito; come per altri disturbi psichiatrici si prospetta un modello etiologico multifattoriale secondo il paradigma diatesi-stress secondo il quale una vulnerabilità genetica predisporrebbe allo sviluppo del disturbo in presenza di fattori stressanti esogeni specifici ed aspecifici. Tra i fattori biologici un particolare rilevo è stato attribuito dalla ricerca alla neurotrasmissione serotoninergica. Questa linea è stata perseguita a partire dalla constatazione che, con un’ampia gamma di meccanismi fisiologici e comportamenti organizzati come la regolazione della temperatura, il comportamento sessuale, la risposta a stimoli dolorosi o stressanti, l’aggressività, anche l’appetito, bilancio calorico e ricerca di cibo sono soggetti ad una regolazione centrale serotoninergica. In particolare la 5-HT è stata individuata come inibitore generalizzato del comportamento e modulatore dell’output motorio. Le teorie iniziali avevano postulato un ruolo di generico soppressore dell’arousal rispetto agli stimoli esterni, con un’azione opposta all’adrenalina, che fu individuata come agente stimolante dell’arousal stesso. Questa azione inibitoria si espleta anche a livello del comportamento alimentare; in tal senso molti studi sembrano suggerire che la 5-HT possa costituire un segnale fisiologico di sazietà (126). La stimolazione dei recettori 5-HT determina un effetto specifico sulla composizione del pasto rispetto ai più importanti macronutrienti, riducendo l’apporto relativo di carboidrati. Viene proposto un modello complesso in cui sono coinvolti anche ormoni circolanti e glucosio, con un meccanismo a feedback: l’ingestione di carboidrati aumenta la sintesi ed il rilascio di serotonina ipotalamica, che a sua volta riduce la quantità di pasti ricchi in carboidrati. Gli ormoni, che includono insulina, corticosteroidi e leptina, hanno impatto sulla funzione serotoninergica. Il modello suggerisce che la 5-HT eserciti il maggior effetto sull’appetito all’inizio del naturale ciclo della nutrizione, quando i carboidrati sono normalmente preferiti (127). In modelli animali vari agonisti serotoninergici (fenfluramina, fluoxetina, sertralina), agendo con meccanismi diversi a seconda del recettore coinvolto, determinano riduzione dell’appetito; la stimolazione dei sottotipi 5-HT1B e 5-HT2C sarebbe coinvolti primariamente nella regolazione della quantità calorica complessiva del singolo pasto (meal size). Invece la stimolazione del 5-HT2A agirebbe riducendo la normale frequenza dei pasti (eating rate). L’attivazione di entrambi i sottotipi sarebbe comunque necessaria per ottenere la completa sazietà. Farmaci agonisti dei 5-HT1A, al contrario dei 5-HT2 e 5-HT3, aumentano l’appetito, probabilmente riducendo il tono serotoninergico a livello del SNC (128) (129). Quindi tra i recettori 5-HT1 il sottotipo A media una risposta iperfagica, mentre isottotipi 5 HT1B e 5HT1C sono specificatamente coinvolti nell’evocare una risposta ipofagica. A proposito dei siti di azione della 5-HT, si è constatato come la somministrazione periferica di 5-HT diminuisca nel ratto l’introduzione di cibo in modo selettivo, suggerendo un contributo dei siti periferici serotoninergici nell’introito alimentare. Tuttavia, l’infusione diretta di agonisti serotoninergici a livello ipotalamico determina una riduzione dell’introito calorico con efficacia maggiore rispetto all’infusione nel circolo periferico ed anche a quella intraventricolare (130)-(132). In questi lavori sperimentali si individuano anche le specifiche aree ipotalamiche coinvolte nella regolazione dell’alimentazione che sono localizzate a livello mediale: i nuclei paraventricolare (PVN), ventromediale (VMN) e soprachiasmatico (SCN) dell’ipotalamo. Proprio a livello del PVN si estrinseca anche un’azione complessa sul controllo metabolico, che potrebbe avere un ruolo chiave nei disturbi dell’alimentazione (133). In particolar modo si verificherebbe aumento dell’ossidazione lipidica e riduzione dell’ossidazione dei carboidrati (134). Inoltre si avrebbe un incremento dei livelli ematici di glucosio e corticosterone (135). Il profilo dei sottotipi recettoriali nei nuclei ipotalamici coinvolti, come dimostrato da studi autoradiografici e di binding, in animali da laboratorio sarebbe caratterizzato da una relativa bassa densità di 5-HT1A ed una relativa elevata densità di 5-HT1C e 5-HT1B (136) (137). Mentre studi sull’uomo hanno rivelato analogie con i ratti per quanto concerne l’azione anoressizzante della 5-HT, non sono stati individuati nell’ipotalamo umano recettori 5-HT1B suggerendo che il loro ruolo sia rivestito dai 5-HT1C o 5-HT1D, che mostrano caratteristiche analoghe (138). Altri studi, che confortano il ruolo di questi sottotipi recettoriali nella regolazione dell’appetito, hanno preso in considerazione topi con mutazioni coinvolgenti i 5-HT1C, i quali in età adulta divengono obesi (139) (140). L’aumento di peso era preceduto, in questi animali, da un incremento del numero dei pasti e del meal size, dimostrando la primaria importanza dei comportamenti alimentari nella genesi dell’obesità. Questo pattern alimentare era chiaramente poco responsivo alla somministrazione di fenfluramina, coerentemente con la disfunzione recettoriale. In un altro lavoro il comportamento anoressico di un altro ceppo di topi mutanti è stato attribuito ad una innervazione serotoninergica iperattiva a livello dell’ipotalamo mediale (141). Queste evidenze sul ruolo della 5-HT nella regolazione fisiologica del comportamento alimentare hanno portato ad investigare il ruolo di questo neurotrasmettitore negli specifici disturbi. In particolare Kaye e Weltzin hanno evidenziato un aumentato livello di acido 5-idrossi-indolacetico (5-HIAA), teoricamente connesso ad un’iperattività serotoninergica, messa in relazione con le alterazioni dell’appetito ed i tratti ossessivi tipici del comportamento di questi pazienti (142). È stato evidenziato un particolare pattern personologico comune alle anoressiche e caratterizzato da alcuni tratti come inibizione comportamentale, accondiscendenza, elevato evitamento del pericolo (harm avoidance), ossessività. Tali dimensioni psicopatologiche vengono correlate con una disfunzione serotoninergica che potrebbe rappresentare la diatesi biologica anche dello stesso disturbo del comportamento alimentare. Questi aspetti risultano tratto-dipendenti e spesso precedono la malattia e seguono alla sua remissione e al recupero di un peso normale. In queste pazienti numerosi studi evidenziano un aumento dei livelli di 5-HIAA nel liquido cefalo-rachidiano che pare essere associato al persistere dei tratti personologici descritti. Viceversa, bassi livelli di 5-HIAA sono correlati a dimensioni come impulsività e aggressività, più rare nelle anoressiche e che anzi rappresentano il contrario delle caratteristiche prima evidenziate (143). Più recentemente si è tentato di specificare le alterazioni serotoninergiche eziologicamente correlate al disturbo. Numerosi studi hanno dimostrato, tra i diversi fattori di rischio coinvolti nella genesi dei disturbi della condotta alimentare, l’importanza della familiarità, con una percentuale di malati, tra i figli di genitori affetti, stimata tra il 50 e il 70%. Alcuni lavori hanno quindi indagato la suscettibilità genetica ai disturbi del comportamento alimentare (anoressia nervosa e bulimia nervosa) nell’uomo (144). Tuttavia pochi di essi si sono focalizzati sui geni candidati a codificare proteine potenzialmente coinvolte nella patogenesi di questi disturbi. Ad esempio, Collier et al. hanno riportato un’associazione tra un polimorfismo nella regione promoter del gene 5 HT2A, regione nota come 1438G/A, e la predisposizione familiare alla anoressia nervosa (145). Anche se due differenti gruppi non sono riusciti a replicare questi dati (146) (147). Recentemente un gruppo di ricercatori italiani ha invece evidenziato il coinvolgimento di questo polimorfismo genico sia nell’anoressia nervosa restricting e binge/purging (148) sia, con diverse modalità, nella bulimia nervosa (149). Questi lavori evidenziano una correlazione statisticamente significativa tra varianti della regione promoter polimorfica del recettore 5-HT2A e anoressia nervosa tipo restricting. Tale correlazione non si evidenzia invece nella bulimia. Complessivamente queste ricerche hanno enfatizzato la necessità di sottotipizzare accuratamente, da un punto di vista clinico, i disturbi della condotta alimentare negli studi genetici. Come in altri disturbi di interesse psichiatrico la ricerca si è rivolta, negli ultimi anni, al ruolo del trasportatore della 5-HT, che media il re-uptake sinaptico del neurotrasmettitore. Il trasportatore della 5-HT (5-HTT), codificato dal gene SLC6A4, può avere anche un importante ruolo nei disturbi dell’alimentazione vista la sua diminuita disponibilità nei pazienti con bulimia nervosa e binge eating disorder. La regione promoter contiene un polimorfismo funzionale inserzione/delezione con due alleli comuni chiamati allele short (S) e long (L). La frequenza dell’allele SLC6A4 (S) è stato valutato in quattro diversi campioni di pazienti affetti da anoressia nervosa, ma ha dato risultati discrepanti. Da uno studio di meta-analisi si è evidenziato che la presenza dell’allele (S) rappresenta un moderato, ma significativo fattore di rischio che incrementa la probabilità di ammalare di anoressia nervosa (odds ratio = 1,38, 95% intervallo di confidenza 1,16-1,72). I disturbi della condotta alimentare sono trattati usando diversi tipi di psicoterapia e farmacoterapia a base di antidepressivi, e a tal riguardo si registra una prevalente prescrizione di SSRI. La prevalenza della mancata risposta e la presenza di un polimorfismo genico funzionale nella regione di SLCA4, enfatizza la potenziale utilità della prescrizione di SSRIs, nel trattamento di pazienti con anoressia nervosa dopo recupero ponderale. La tipizzazione genica dunque dell’SLC6A4 potrebbe permettere ai medici di individuare nuove strategie terapeutiche centrate sui meccanismi selettivi di ricaptazione della 5-HT (150).
Considerazioni conclusive
Il ruolo della 5-HT nei disturbi del comportamento alimentare, patologia complessa a genesi multifattoriale, si estrinseca più che a livello etiologico e fisiopatologico, come un fattore aspecifico che può conferire una particolare vulnerabilità a condotte che coinvolgono alterazione dei meccanismi di controllo nell’assunzione del cibo.
Serotonina e psicosi
D. Marazziti, P. Iazzetta, L. Rossi
La psicosi viene definita come una sindrome in cui si ha una compromissione del giudizio di realtà caratterizzata in primis da deliri ed allucinazioni. Con particolare riferimento alla schizofrenia queste manifestazioni vengono definite come sintomi positivi (o più recentemente come dimensione psicopatologica della “distorsione di realtà”), mentre in senso lato vengono considerati come psicotici anche sintomi come ritiro sociale, appiattimento affettivo, abulia definiti come sintomi negativi o dimensione “impoverimento”.
Nel corso degli anni è stata raccolta una grande mole di dati riguardo al coinvolgimento della 5-HT nella genesi dei sintomi delle dimensioni psicopatologiche considerate cruciali nelle psicosi. Principalmente gli studi hanno seguito tre linee di evidenza: 1) azione psicotomimetica di molecole con meccanismo d’azione serotoninergico; 2) alterazione del metabolismo serotoninergico in pazienti psicotici (studi sul liquor, sulle piastrine e post-mortem; 3) azione di farmaci con meccanismo serotoninergico nel ridurre sintomi psicotici spontanei o indotti.
La constatazione degli effetti psicotomimetici della dietilamide dell’acido lisergico (LSD), descritti per la prima volta da Hoffmann nel 1954, dette inizio all’indagine sul ruolo della 5-HT nella genesi delle psicosi. La formulazione iniziale dell’ipotesi serotoninergica puntava sul deficit neurotrasmettitoriale, partendo dalla considerazione che l’LSD agisce principalmente come antagonista serotoninergico (151), espletando quest’azione indirettamente, tramite stimolazione degli autorecettori 5-HT1A, che presentano particolare densità a livello dei nuclei del rafe mediale (152)-(154). Negli anni successivi fu constatato che il bromo-LSD, dotato di sola attività antagonista, non dimostrava effetti psicotomimetici in volontari sani e, al contrario, fu dimostrata un’eccellente correlazione tra l’affinità per il recettore 5-HT2A di numerose molecole ed il loro effetto allucinogeno nell’uomo (155). Questi dati portarono alla riformulazione della teoria iniziale, focalizzandosi viceversa su un possibile ipertono serotoninergico. I principali composti dotati di attività allucinogena nell’uomo sono compresi in tre classi: le feniletilamine (mescalina), le indolamine (LSD, psilocibina) e gli antagonisti NMDA (PCP, ketamina). Per quanto riguarda le prime due classi è stato da tempo evidenziato un meccanismo d’azione comune (156) (157), mentre il ruolo delle molecole ketamina-simili è rimasto a lungo più controverso. Tuttavia, negli ultimi anni un crescente numero di studi ha evidenziato un’azione sulla 5-HT da parte dei bloccanti NMDA: un aumento dei livelli cerebrali di 5-HT è stato dimostrato con tecniche di microdialisi da Martin (158), mentre Lindefors et al. hanno evidenziato un aumento dei metabolici liquorali (159). Gli effetti psicotomimetici della ketamina sono diminuiti dalla somministrazione di antagonisti serotoninergici: tutte le principali molecole con azione psicotogenica riconoscono quindi un meccanismo finale serotoninergico (160) (161).
Molti lavori hanno evidenziato poi un incremento della concentrazione piastrinica ed ematica della 5-HT in pazienti schizofrenici (162) (163) oppure un incremento del 5HIAA nel liquor di pazienti schizofrenici (164) (165). Altri studi, viceversa, hanno rilevato un decremento dei livelli di 5-HIAA in pazienti psicotici (166) (167). Dopo l’introduzione dello studio delle piastrine per analizzare l’azione dei neurotrasmettitori, anche questa metodica è stata applicata per misurare i livelli di 5-HT in pazienti psicotici, ma anche in questo caso i risultati emersi sono contrastanti (168).
Un’altra linea di evidenza del coinvolgimento serotoninergico deriva dagli studi post-mortem. A tale proposito, anche se in letteratura esistono dati contrastanti, esistono risultati piuttosto solidi sull’aumento di 5-HT e metabolici a livello dei gangli basali di soggetti che erano stati affetti da psicosi croniche (169) (170). Un altro studio post-mortem, condotto da Mita et al., ha invece evidenziato un aumento dei recettori dopaminergici a livello del nucleo caudato e un decremento di quelli serotoninergici a livello della cortex prefrontale (171).
Sono anche stati condotti anche studi di stimoli con farmaci attivi sui recettori serotoninergici, come la mCPP. Questa molecola in volontari sani produce incremento dei livelli plasmatici di cortisolo, PRL ed ormone della crescita, aumento della temperatura corporea ed anche elevazione dei livelli d’ansia, ma non sintomi psicotici, mentre l’infusione periferica di questa molecola in pazienti schizofrenici produce esacerbazione di deliri ed allucinazioni ed una risposta ansiosa più intensa e protratta (172) (173). È stato anche constatato come alcuni specifici recettori possano essere maggiormente coinvolti nella patogenesi dei sintomi psicotici, in particolare i sottotipi 5-HT2A e 5-HT3, come evidenzia ad esempio l’efficacia antipsicotica di molecole ad azione antagonista sui 5-HT3, come l’ondansetron (172). Il ritanserin, farmaco ad azione antagonista sul sottotipo recettoriale 5-HT2, ha dimostrato in alcuni trial clinici efficacia sui sintomi positivi e negativi di pazienti con psicosi acuta (173).
La più solida evidenza farmacologica del ruolo della 5-HT deriva, tuttavia, dall’impiego degli antipsicotici atipici. L’atipicità viene definita come assenza di effetti collaterali “classici” dei neurolettici, come iperprolattinemia, effetti extrapiramidali e dall’azione sui sintomi negativi. Numerosi studi hanno indagato le ragioni di questa atipicità, prima valutando in vitro il profilo recettoriale dei farmaci.
La prima osservazione è legata agli studi sulla clozapina (174) (175), la cui farmacodinamica comprende un importante meccanismo d’azione a livello dei recettori 5-HT2, che diede nuovo impulso alla ricerca dopo anni in cui l’interesse per l’ipotesi serotoninergica delle psicosi era andato scemando, probabilmente anche in relazione all’abbandono di studi con allucinogeni nell’uomo. È stato riscontrato, per quanto concerne gli antipsicotici atipici, come l’affinità per i recettori 5-HT2 sia da dieci a venti volte superiore rispetto all’affinità dei D2. Negli anni ’90 questo particolare profilo farmacodinamico è stato esplorato anche in vivo, valutando l’occupazione recettoriale con tecniche di brain imaging (176)-(178). Questi studi hanno tutti confermato un elevato rapporto di occupazione 5-HT2/D2 per gli antipsicotici atipici, pur non concordando sui rapporti specifici per ciascun farmaco, probabilmente anche in relazione alla differenza delle specifiche tecniche utilizzate. L’azione sui sintomi negativi appare in qualche modo correlata ad una componente di blocco serotoninergico, verosimilmente sui recettori 5-HT2A. Tuttavia nessun lavoro ha dato evidenze su un ruolo unico della serotonina nel determinismo della sintomatologia negativa, un’interessante ipotesi di lavoro ha ipotizzato due diversi momenti patogenetici: un generale incremento della funzione serotoninergica, corresponsabile della genesi dei sintomi positivi, un deficit localizzato a livello prefrontale come corresponsabile dei sintomi negativi. In tal senso gli antipsicotici atipici agirebbero come modulatori espletando la loro efficacia su entrambe le dimensioni psicopatologiche.
Gli studi più recenti si sono focalizzati sui recettori serotoninergici più recentemente clonati, come il tipo 5-HT6 ed il tipo 5-HT7 (179).
Molti antipsicotici sia tipici che atipici, cimentati in vitro con colture cellulari transfettate con il gene che codifica nel ratto per i recettori 5-HT6 e 5HT7, possiedono affinità per questi recettori (180). Lo studio del polimorfismo per i geni codificanti questi recettori è stato effettuato confrontando soggetti sani, pazienti schizofrenici e pazienti bipolari con manifestazioni psicotiche (181)-(183), ma i dati emersi non sono dirimenti per quanto concerne un possibile coinvolgimento dei 5-HT6 e 5-HT7 nelle psicosi.
Considerazioni conclusive
Nonostante la messe di studi scientifici prodotti su questo argomento, il ruolo della 5-HT nella genesi e mantenimento delle psicosi risulta quindi ancora controverso. Un importante limite, ma anche un interessante prospettiva per il futuro, è dato dalla mancanza di studi che utilizzino farmaci specifici e selettivi per sottotipi di recettori 5-HT da impiegare possibilmente come ligandi tramite tecniche di imaging avanzate (PET e SPECT) per indagare il ruolo della 5-HT a vario livello nel SNC nel determinare una serie di alterazioni comunque complesse e multifattoriali (184).
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