La configurazione che l’assistenza psichiatrica nazionale ha assunto nelle ultime due decadi sulla spinta delle istanze della Riforma Psichiatrica appare ancora lontana, nella sua realizzazione e nelle prospettive a medio termine, dall’aver raggiunto un’efficienza adeguata ai bisogni di una società moderna.
Il superamento dell’istituzione manicomiale a favore di un modello di intervento prevalentemente extramurario, che ha suscitato l’interesse della Comunità Scientifica, ha costituito la tappa obbligata di un processo evolutivo segnato da fasi di notevole impulso alternate a battute di arresto.
Da alcuni anni ci si accosta finalmente con modalità pragmatiche agli esiti della riforma del 1978, ricercando nei dati delle diverse indagini (in particolare epidemiologiche) quella oggettività propria delle scienze della natura che in passato si era smarrita nel cono d’ombra di teorie rigidamente socio o psico-genetiche delle malattie mentali. Di fronte ai limiti statici del paradigma psicologistico (il fallimento del comprendere-spiegare di fronte all’enigma della processualità morbosa) e sociologistico (da solo insufficiente a fronteggiare una patologia dalle implicazioni sociali non prevalenti) si comincia finalmente ad affermare una modalità di intervento e di valutazione che, senza sottovalutare gli aspetti psicologici e sociologici recupera una dimensione biologica e medica.
Per anni i presupposti teorici, l’applicabilità e la validità della “legge 180” sono stati al centro di un acceso dibattito che solo recentemente, con il venir meno delle contrapposizioni ideologiche ed emotive, l’affermarsi di un approccio terapeutico integrato ai disturbi mentali e la disponibilità di alcuni dati relativi alla valutazione dell’efficienza-efficacia dei nuovi servizi psichiatrici, è divenuto più pacato ed obiettivo.
I dati sullo stato dell’assistenza psichiatrica in Italia
I dati disponibili provengono principalmente dalla ricerca svolta dall’Istituto Superiore di Medicina Sociale nel 1996, dal censimento condotto dal Ministero della Sanità a partire dal 1� Marzo 1998 sulle strutture psichiatriche attive sul territorio nazionale e dalla prima fase di una indagine affidata dallo stesso Ministero della Sanità all’Istituto Superiore di Sanità (Progetto PROGRES, 1998) sullo “stato dell’arte” della attuazione delle strutture psichiatriche in Italia successivamente alla Riforma, e risultano così riassumibili:
– i Centri di Salute Mentale risultano essere 695, pari ad 1,81 per 150.000 abitanti (il Progetto Obiettivo Tutela della Salute Mentale 1998-2000 (POTSM) (1) ,ne prevede 1 ogni 150.000 abitanti);
– i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC) ospedalieri risultano oltre 320, con un totale di 4.084 posti letto, pari a 0,007 per 1000 abitanti (il POTSM ne prevede 0,01 per 1000 abitanti; ne mancano quindi circa 1/3);
– le strutture residenziali risultano pari a 1.341, con 16.659 posti letto, pari a 0,29 per 1.000 abitanti (il POTSM ne prevede 0,1 per 1.000 abitanti, che possono diventare 0,2 per 1.000 in caso di pazienti ex-Ospedale Psichiatrico da ricollocare).
Per de Girolamo e Cozza (2) ,una valutazione di questi dati consente di concludere che l’assistenza psichiatrica italiana ha incrementato la propria dotazione di servizi (nel 1978 questi erano praticamente limitati ai 76 ospedali psichiatrici allora funzionanti e ad una piccola rete di dispensari per l’assistenza extra-ospedaliera). Questa dotazione, aumentata del 55% nel solo decennio 1984-1994, risulta vicina o eccede i parametri previsti nel POTSM, anche se disomogenea nella distribuzione geografica: lo squilibrio tra l’inerzia legislativa ed organizzativa osservabile in talune aree geografiche e l’attività presente in altre sembra determinare nello stato di applicazione della legge una configurazione da taluni (3) definita “… a macchia di leopardo”.
Complessivamente i posti letto psichiatrici sono oltre 26.000 e comprendono i posti-letto per acuti (SPDC, Cliniche Universitarie e Case di Cura) e quelli delle strutture residenziali ospedaliere; questi, raffrontati con i 78.538 posti-letto presenti negli Ospedali Psichiatrici italiani (pubblici e privati) nel 1978, mostra come nei 22 anni successivi alla emanazione della legge si sia registrata una riduzione dei 2/3 dei posti-letto disponibili, ma non l’azzeramento del bisogno di ricovero previsto dagli estensori della riforma.
Occorre poi osservare che i posti-letto per i pazienti acuti (10.083) si trovano solo per il 45% in strutture pubbliche, contro un 55% presenti in 65 case di cura private “accreditate”. Secondo i dati del Ministero della Sanità, nel 1997 erano presenti in Italia 319.988 posti-letto per tutte le specialità medico-chirurgiche (esclusa la psichiatria), dei quali l’84% in strutture pubbliche di vario tipo, e solo il 16% in case di cura private “accreditate”.
La situazione della psichiatria dunque è fortemente anomala rispetto al complesso del panorama sanitario, ed il forte impatto del privato sulla risposta alla domanda di ricovero sembra indicare una sostanziale insufficienza del sistema pubblico.
Questo rilievo sembra confermato da indicatori indiretti costituiti dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (O.P.G.) e dalle Carceri, che si trovano molto spesso a svolgere una funzione vicariante rispetto ai servizi psichiatrici territoriali.
Gli O.P.G. hanno mostrato, secondo i dati forniti dal Ministero di Grazia e Giustizia, un lento e costante decremento nel numero dei degenti dal 1978 al 1985 (4) .Negli ultimi 10 anni il numero medio delle presenze giornaliere sembra essersi stabilizzato intorno alle 1.100 unità (5) con discreto turn-over, ma con elevata tendenza al fenomeno della “revolving door”.
È significativo il rilievo che oltre il 60% dei pazienti dei sei O.P.G. presenti sul territorio nazionale risultano autori di reati di entità medio-lieve (oltraggio a pubblico ufficiale, maltrattamenti in famiglia, ubriachezza molesta, danneggiamenti- dati forniti dalla Direzione O.P.G. Montelupo Fiorentino, 1998) ed entrano nel circuito della Psichiatria Giudiziaria (dal quale spesso escono con grande difficoltà), dopo essere stati etichettati come ingestibili da parte dei Servizi Territoriali di provenienza. Secondo Cirignotta (5) ,il numero delle presenze potrebbe diminuire ove in modo omogeneo sul territorio nazionale si avesse un più elevato standard di efficienza e di intervento dei Servizi Territoriali di Salute Mentale.
Anche il carcere sta assumendo la connotazione di elemento sostitutivo alla assistenza psichiatrica territoriale assumendone funzioni vicarianti.
Le strutture carcerarie stanno infatti rivelandosi, come affermano Piro e Valitutti (6) , “…luoghi quasi obbligati, spesso preferenziali, di accoglimento e reclusione di persone con problemi psicopatologici”. Questi stessi Autori ritengono esemplificativa a questo proposito la situazione della Casa Circondariale Maschile “Nuovo Complesso” di Roma-Rebibbia, che ospita mediamente 1500 detenuti, con un transito annuale superiore alle 6000 presenze. Dai dati da loro stessi raccolti, risulta infatti che in questo Istituto si sono effettuate nel 1996 circa 200 consulenze psichiatriche mensili ad opera di psichiatri esterni ed 800 visite psichiatriche urgenti ad opera di specialisti di guardia che lavoravano quotidianamente nel Reparto Psichiatrico di degenza dell’Istituto, nel quale vengono effettuati mediamente circa 180 ricoveri all’anno. All’interno dello stesso Istituto circa 700 detenuti risultavano in terapia psicofarmacologica. Di questi, il 60% circa presentava una storia di affezioni psichiatriche con precedenti ricoveri in strutture pubbliche esterne, il 40% aveva una lunga storia di tossicodipendenza (6) .Spesso questi pazienti non erano seguiti dai servizi territoriali, e giungevano al reato e al carcere dopo una lunga storia di psicopatologia senza mai aver avuto contatti coi Dipartimenti di salute mentale del loro territorio. Questi dati, che possono essere estesi a molte situazioni penitenziarie italiane, sembrano giustificare l’affermazione di Cantele e Jannucci (7) secondo la quale “… il carcere può essere considerato un Ospedale Psichiatrico misconosciuto”.
Alla luce dei rilievi sin qui esposti, anche se gli standard quantitativi previsti dal POTSM per quanto attiene le strutture residenziali possono dirsi raggiunti e talora superati, appare comunque lecito ritenere che questi standard risultino insufficienti ad assicurare una risposta adeguata al bisogno di strutture psichiatriche residenziali tuttora presente e forse in aumento.
Inoltre la crescita quantitativa di strutture e di personale spesso non è andata di pari passo con una crescita qualitativa (2) .Numerose ricerche hanno messo in evidenza che gli standard dei trattamenti farmacologici erogati nella attività di routine sono spesso insufficienti (eccessivo ricorso all’uso di neurolettici depot, grave ritardo nell’uso di antipsicotici atipici, trascurando la comorbidità) e i trattamenti psico-sociali più efficaci e vantaggiosi in termini di rapporto costi/benefici (es. i trattamenti psicoeducativi familiari o i trattamenti psicoterapici di tipo cognitivo-comportamentale) sono raramente impiegati in maniera corretta.
Impatto dei progressi della Clinica e della Psicofarmacologia sulla Riforma Psichiatrica
Un aspetto che ha assunto una rilevanza crescente nella applicazione della riforma e che tuttora passa sotto silenzio è costituito dall’impatto determinato dai progressi e delle innovazioni psicofarmacologiche sulla diagnosi, classificazione e prognosi dei disturbi psichiatrici maggiori, in virtù di una ritrovata attenzione per le terapie integrate a breve e lungo termine.
Grazie all’immissione di nuove tipologie di antidepressivi e di antipsicotici, si è assistito in questi ultimi anni ad un affinamento del potere discriminante delle diagnosi, che ha consentito di diversificare quadri psicopatologici in passato grossolanamente omologati in categorie nosografiche ipersemplificate, dai confini amplissimi e incerti.
Il processo di “dissezione farmacologica” delle psicosi, così come era avvenuto negli anni settanta nell’area delle nevrosi, ha determinato un radicale mutamento anche nella articolazione delle diverse diagnosi psichiatriche. In particolare, con l’aumentare delle conoscenze farmacoterapeutiche si è data la possibilità di registrare diagnosi multiple e si è conferito riconoscimento ufficiale al concetto di comorbidità. L’esperienza clinica, sostenuta dagli studi epidemiologici, ha evidenziato come la comorbidità sia oggi una realtà psicopatologica e clinica con notevoli ripercussioni sul trattamento. La maggiore attenzione rivolta alla comorbidità e la necessità di trattare in modo contestuale diversi disturbi psichiatrici associati, sia sincronicamente che diacronicamente, con farmaci specifici, sembra (laddove si è verificato) aver migliorato il decorso e gli esiti di numerosi pazienti che soltanto un decennio fa sembravano destinati alla cronicità e al deterioramento.
Sul versante della ricerca psicofarmacologica, la nuova categoria degli antipsicotici atipici (clozapina, olanzapina, quetiapina e risperidone), ha reso disponibile una classe di farmaci dotata rispetto ai tipici di maggiore incisività sia sulla sintomatologia positiva che su quella negativa della schizofrenia, di migliore tollerabilità (8) ,bassa incidenza di effetti extrapiramidali a breve e a lungo termine (8,10) ,di effetti stabilizzanti sull’umore (11) .La maggiore efficacia degli antipsicotici, oltre a tradursi in una sensibile riduzione dei tempi e del numero dei ricoveri, sembra riflettersi positivamente sulla compliance del paziente ai trattamenti psico-sociali e riabilitativi con più facile recupero dell’adattamento socio-ambientale e della qualità della vita.
Meltzer (8) ,sottolinea come la chiusura degli ospedali psichiatrici richieda in Italia la tempestiva applicazione di modelli operativi idonei a fronteggiare l’assenza di un contenitore per i casi psichiatrici gravi e “difficili”, e rileva l’insostituibile funzione degli antipsicotici atipici, che producono un netto miglioramento della qualità della vita a livello soggettivo e della qualità di relazione con il mondo esterno. Oltre a riportare un notevole miglioramento a sei mesi della qualità della vita ascrivibile alla remissione dei sintomi nei primi sei mesi, questo autore rileva a dodici mesi una migliore compliance associata ad una più estesa partecipazione al trattamento psicosociale, con conseguente ottimizzazione degli effetti a lungo termine della clozapina.
Farmacoterapia ed intervento psico-socio-riabilitativo risulterebbero quindi sinergici nel migliorare la compliance reciproca, così come evidenziato da Pietrini (12) ,che ha riscontrato una maggiore efficacia del trattamento combinato soprattutto sui sintomi negativi della schizofrenia. Si può concludere che in un’epoca contraddistinta dalla disponibilità di trattamenti farmacologici efficaci e relativamente ben tollerati, acquista rilievo un approccio terapeutico che preveda il combinarsi dell’intervento farmacologico con quello psicoterapeutico e socio riabilitativo.
Considerazioni generali
La valutazione degli effetti della Riforma del 1978 sull’assistenza psichiatrica Italiana è resa difficile e complessa dalla carenza di elementi di riferimento basati su dati empirici a livello nazionale. I dati disponibili concernono essenzialmente indicatori di struttura (quantità e qualità dei servizi, del personale e dell’organizzazione) ritenuti di limitata utilità rispetto agli indicatori di processo (quantità e qualità delle azioni agite dai curanti e dagli utenti) e a quelli di esito (stato di salute e soddisfazione degli utenti e delle famiglie) che utilizzino, oltre ai concetti clinico-diagnostici, quelli di disabilità sociale e di bisogno (utili parametri di esito e in parte di valutazione dell’intervento), più idonei alla nuova realtà assistenziale (13) .
Pur considerando le limitazioni che le sopracitate carenze metodologiche impongono alla attendibilità dei dati, il quadro che emerge dalla revisione della letteratura in tema di effetti della Riforma in Italia sembra delineare una assistenza psichiatrica ancora distante dagli obiettivi che la legge 180 intendeva perseguire: la psichiatria di “comunità” si trova in una fase di sviluppo appena accettabile in alcune isolate regioni dell’Italia, in una fase di sviluppo parziale o iniziale nelle altre.
Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari mantengono la loro funzione di “contenitori” di un numero limitato di pazienti, autori di reati di lieve e media gravità, oltre che di quelli autori di reati gravi che non superano però il 40% delle ammissioni, a testimonianza della incapacità da parte delle strutture territoriali di prevenire le manifestazioni più gravi dei malati mentali.
Le Carceri costituiscono a loro volta un contenitore di “patologia psichiatrica”, non assistita dai servizi territoriali, peraltro mancanti di una valida articolazione operativa con le strutture carcerarie. Da tutto questo è resa ineludibile la permanenza dei pazienti nei circuiti penitenziari.
Gli attuali Servizi di Diagnosi e Cura (destinati al trattamento dei pazienti acuti) se non per numero, per capacità recettiva, sono inadeguati alle necessità e ripropongono gli aspetti peggiori dei vecchi Ospedali Psichiatrici, come l’uso indiscriminato di farmaci neurolettici tipici, in specie dei depot, con tutte le conseguenze in termini di effetti collaterali a breve e lungo termine.
Ma l’anello veramente debole della organizzazione dei nuovi servizi, come si è notato, è costituito dalla mancanza di strutture intermedie per i vecchi e nuovi pazienti cronici; numerosi pazienti dimessi dall’Ospedale Psichiatrico o dai servizi di diagnosi e cura sono di conseguenza esclusi dall’assistenza psichiatrica o dirottati in strutture non adeguate (ospedali per anziani, case di cura private etc.). Il fatto che queste risultino in termini di numero e di posti letti più che doppie rispetto agli standard previsti dai Progetti Obiettivi 94-96 e 98-00 non costituisce un segnale confortante. Questi standard infatti risultano del tutto insufficienti a fronteggiare la domanda, mentre gli oltre 16600 posti letto in strutture residenziali, presenti sul territorio nazionale, sono spesso occupati per anni da pazienti che nell’intenzione degli estensori della riforma avrebbero dovuto essere riabilitati e reinseriti nel tessuto sociale in tempi medio-brevi.
Laddove la riforma è meglio applicata i posti letto disponibili in strutture residenziali superano di oltre otto volte gli standard previsti (es. Trento: 8.41 posti per 10.000 ab.), a testimonianza di un bisogno di strutture protette che il “nuovo corso” non sembra aver modificato.
Se nelle diverse componenti dei DSM la qualità delle cure dispensate è stata definita insoddisfacente e con distribuzione ineguale, “a macchia di leopardo”, la situazione non è migliore nelle diverse strutture residenziali, in alta percentuale private (2) .
In numerose residenze private, nonostante i costi elevati, il controllo da parte del DSM è assente o insufficiente. Il risultato è il frequente abbandono del paziente ospitato in strutture costose e distanti dalla famiglia ove la pratica psichiatrica è ben lontana dagli standard terapeutici e riabilitativi minimi accettabili.
È opportuno sottolineare ancora una volta l’impatto sulla attuazione della riforma determinato dai risultati della ricerca psicofarmacologica e clinica. L’ efficacia dei nuovi protocolli farmaco-terapeutici sulla sintomatologia, sul decorso e sugli esiti dei disturbi mentali, con effetti favorevoli sulla compliance alle terapie psico-sociali e riabilitative (14) e di conseguenza sui livelli di adattamento socio-ambientale, è oggi più elevata di quella mediamente consentita dai trattamenti convenzionali (8) .L’attuazione di detti protocolli proposti dalla ricerca clinica internazionale è però avvenuta in modo disomogeneo e spesso inadeguato. Questo aspetto, trascurato allorché si valuta lo stato di attuazione della riforma in Italia, è da considerarsi elemento basilare per una assistenza psichiatrica che sia adeguata alle esigenze dei malati e delle famiglie e in grado di contenere i costi in termini sia economici sia di sofferenze umane.
Infine, occorre soffermarsi sul livello formativo dello staff psichiatrico.
La prassi territoriale, negli anni immediatamente successivi alla riforma, ha avuto una fase di apprendimento artigianale, spesso precario e improvvisato, affidato alla iniziativa e al buon senso del singolo. Il farsi “navigatore per mari sconosciuti” per “divenire uomini sperimentatori …” (9) ,sull’onda di un approccio spontaneistico ai disturbi mentali, ha determinato, dopo i primi facili entusiasmi, stati d’animo di inadeguatezza quando non di nichilismo estremi negli psichiatri. La frustrante realtà della cronicità e della sua gestione difficile in un ambiente carente di strutture, ha evidenziato i limiti di un approccio “naive” ottimista e del ricorso a doti extra professionali e ha riproposto la necessità del ricorso a linee guida precodificate secondo il modello medico-scientifico.
Priorità nel processo di attuazione della riforma
Dopo oltre 20 anni, una legge può essere migliorata e corretta senza che se ne tradiscano i principi informatori, questo in specie per chi ha a cuore il mantenimento del terreno conquistato con la legge 180 del 1978.
Dal riconoscimento degli errori, sia in fase di progetto che di realizzazione, derivano le seguenti proposte volte a rafforzare i “punti di debolezza” della attuale normativa in tema di assistenza psichiatrica:
1. Attuazione di servizi e strutture dotati di personale con adeguata esperienza e preparazione clinica, sostenuta da una efficiente formazione continua, accessibili ed organizzati in rete così da facilitare le procedure di intervento.
I DSM dovranno essere caratterizzati da una omogeneità nei procedimenti clinici essenziali nel rispetto delle linee guida internazionali e di dispositivi di controllo sulla qualità dei servizi pubblici e privati. Dovranno essere realizzati reparti di breve, media e lungodegenza, servizi di emergenza psichiatrica con posti letto di osservazione, ambulatori specializzati per tipologie di disturbi e di trattamenti e per condizioni particolari quali quelle inerenti i pazienti ammessi e curati in strutture carcerarie, con le quali dovrà stabilirsi un rapporto diretto o mediato da apposite convenzioni.
2. Attuazione di servizi di emergenza collegati al Dipartimento di Emergenza-Urgenza ed al Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura
Questi servizi devono esercitare una funzione di filtro sulle urgenze ed effettuare interventi di Pronto Soccorso 24 ore su 24.
3. Attuazione di un collegamento stabile con centri di eccellenza universitari, ospedalieri, o con altri istituti di ricerca
Questi dovranno essere scelti sulla base di speciali competenze ed esperienza in settori della ricerca psichiatrica nella aree della diagnostica e della terapia a breve e lungo termine.
4. Riproposizione di un modello di Psichiatria medica integrato con quello socio e psicoterapico con particolare attenzione alla specificità dei ruoli professionali
Non è infatti accettabile il ritardo nella applicazione di un modello clinico scientifico con la sua recente evoluzione e che va integrato con l’approccio psico-sociale (Modello multintegrato bio-psico-sociale). Questo processo di integrazione potrà salvaguardare la specificità dei ruoli professionali, senza la confusione oggi determinata dalla intercambiabilità delle diverse figure professionali e delle rispettive responsabilità
5. Tempestiva applicazione dei progressi in termini di diagnosi e terapia
Il bando e lo stigma che colpisce la terapia elettroconvulsivante da un lato, dall’altro il ritardo nella introduzione dei nuovi antipsicotici, le procedure diagnostiche vaghe e maldefinite, la scarsa attenzione rivolta ai procedimenti diagnostici, costituiscono lacune gravi non più accettabili in un sistema sanitario moderno. Il problema è acuito dal fatto che le strutture riabilitative per la cosiddetta nuova cronicità presentano forte valenza psico-sociale con apporto limitato di medici ed infermieri: la de-medicalizzazione di queste strutture non consente di applicare tempestivamente le continue innovazioni riguardanti le diverse strategie di intervento proposte dalla ricerca orientata in campo psichiatrico.
6. Elaborazione ed applicazione di congrui indicatori di esito
Una valutazione di esito metodologicamente corretta deve essere attuata con indicatori specifici e sensibili di soddisfazione dell’utenza e delle famiglie, dell’adattamento o della disabilità sociale, della compliance al trattamento, della remissione della sintomatologia.
7. Superamento della impostazione assistenzialistica
La psichiatria deve affrancarsi dalla condizione di ammortizzatore sociale conseguente all’eccessivo sbilanciamento verso una impostazione socio-assistenziale, condizione che, determinata in larga misura dalla de-medicalizzazione della psichiatria stessa, deve tornare ai suoi naturali depositari (i servizi sociali).
La psichiatria potrà così recuperare la propria prerogativa di disciplina medica in grado di fornire un importante contributo alla salute individuale e collettiva.
8. Applicazione di una medicina “Evidence Based”
La applicazione della “Evidence based medicine” nel campo della salute mentale rappresenta per la psichiatria un valido strumento di lavoro, ma deve arricchirsi di dati provenienti dal mondo della attività clinica ordinaria, cioè dai servizi di salute mentale, in tutta la loro polivalenza professionale e allocativa, territoriale, ospedaliera, riabilitativa. Per ottenere questi risultati è necessario modificare il metodo di approccio alla clinica degli stessi servizi mediante interventi di formazione e aggiornamento in linea con quanto la comunità scientifica internazionale produce nella ricerca di base e applicata.
9. Integrazione tra SERT e DSM nell’area della “Doppia Diagnosi”:
L’area della “doppia diagnosi”, e in particolare la vasta area in cui la psicopatologia è prodotta, scatenata, complicata e cronicizzata dall’uso di sostanze, è rappresentata da una categoria di pazienti adolescenti e giovani adulti in genere resistente e non “compliant” ai trattamenti nella quale risultano più evidenti la compromissione funzionale e i comportamenti antisociali con i più gravi atti di violenza. Manca a tutt’oggi una integrazione tra SERT ed altri settori del DSM, mentre parenti e familiari assistono ad un continuo scarico di responsabilità tra team di operatori sanitari.
10. Potenziamento delle attività di intervento psichiatrico sugli adolescenti
È gravemente carente anche l’assistenza psichiatrica che dovrebbe rivolgersi agli adolescenti con tempestivi interventi terapeutici, riabilitativi e preventivi, che deve essere inevitabilmente potenziata, vista la frequenza con cui i disturbi mentali esordiscono in età infantile e adolescenziale e considerata la necessità di trattamenti adottati tempestivamente.
Ringraziamenti: ai proff. Giovanni Battista Cassano e Giovanni de Girolamo per i preziosi consigli forniti nel corso della elaborazione del lavoro.
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