Il cervello e il suo funzionamento possono essere descritti come una rete. Una rete, nella nostra concreta immagine visiva, è una struttura a due dimensioni costruita da nodi e collegamenti tra i nodi. Nella rete più semplice, ogni nodo è collegato con altri quattro nodi, ma indirettamente è collegato ad altri nodi della rete. Ogni intervento su un punto della rete influenza tutte le condizioni funzionali della rete stessa. D’altra parte l’eliminazione di un certo numero di nodi può anche non influenzare il funzionamento della rete, ma vi è un punto critico in cui essa si spezza.
Facciamo ora un piccolo passo in avanti e immaginiamo una rete, sempre bidimensionale ma dove ogni nodo non sia collegato solo a quattro nodi contigui, ma a molti altri nodi, al limite di tutti i nodi della rete. A questo punto, è evidente che ogni nodo può influenzare direttamente il funzionamento di tutti gli altri.
E immaginiamo a questo punto che la rete non sia bidimensionale, ma a tre dimensioni, che le connessioni siano sia orizzontali che verticali e che ogni nodo sia legato più o meno strettamente a molti altri nodi. Con legami più stretti ai nodi più vicini e legami più deboli ai nodi più lontani. Ma con fasci di legami che collegano gruppi di nodi ad altri gruppi di nodi, situati a distanza più grande.
Se pensiamo alla complessità di una rete di questo tipo, già una struttura con soli mille nodi diventa mal descrivibile nei suoi dettagli.
Ma andiamo un poco più oltre e immaginiamo che la forza dei legami tra un nodo e l’altro possa variare nel tempo in funzione di qualche intervento esterno. La struttura fisica della rete può anche non cambiare, ma sicuramente si modificano le sue caratteristiche funzionali. Ad esempio alcune parti della rete possono diventare più flessibili e più elastiche, altre parti assumono una maggiore rigidità altre ancora possono lacerarsi se troppo sollecitate. E un oggetto che cada nella rete può lasciare un’impronta più o meno profonda nella struttura.
E veniamo al cervello. Il cervello è una rete, o meglio un insieme di reti collegate tra di loro dove i nodi sono costituiti dai neuroni e i collegamenti sono rappresentati dalle loro diramazioni che si mettono in contatto con altri neuroni a più o meno grande distanza. Gran parte dei neuroni corticali hanno un numero maggiore di collegamenti (legami) con i neuroni più vicini. Altri hanno invece collegamenti selettivi con neuroni o con altre reti neuronali più lontane.
Stimando il numero delle cellule nervose del cervello umano, nella maniera approssimativa di 10 miliardi e calcolando una media di circa 1.000 dendriti per neurone, è facile rendersi conto che ci troviamo di fronte ad una rete neurale teorica di 10.000 miliardi di collegamenti. Di fatto, data la specializzazione di alcuni sistemi, questo numero teorico è in qualche misura inferiore, ma non vi è dubbio che la corteccia cerebrale “non specializzata” è una grande rete compattata in uno spazio ristretto di qualche centinaio di grammi di materia neuronale.
Ma la cosa più interessante e affascinante di questa rete è che la forza della connessione dei legami tra i neuroni può variare in modo continuo sotto l’influenza di stimoli interni o esterni di varia natura. La forza dei legami interneuronali è condizionata dal variabile numero delle sinapsi, dalla densità dei recettori per le sostanze chimiche che trasmettono gli impulsi nervosi e, a livello molecolare, da come il neurone muta le sue caratteristiche in funzione degli impulsi che riceve da altri nodi della rete. La cellula nervosa ha la possibilità infatti di mutare alcune sue caratteristiche in funzione degli stimoli che riceve dal complesso della rete. Come ogni cellula ha un nucleo. All’interno del nucleo vi è il codice genetico caratteristico e specifico di ogni individuo. Dal DNA di ogni cellula potrebbe quindi essere ricostruita una copia di ogni persona. Ma il DNA, ad esempio quello dei neuroni, esprime solo una piccola parte del suo codice, quella che è necessaria per dare caratteristiche specifiche ad ogni cellula. Ma se il neurone è sollecitato da altri neuroni della rete, la sua biochimica interna può modificarsi, il DNA del nucleo “esprimersi” in modo diverso e rafforzare o indebolire il suo sistema di connessioni. Ed ecco come un’esperienza di particolare intensità viene ad essere fissata nella rete con una variazione del modo di manifestarsi del suo DNA nel neurone. Possiamo definirla “un’impronta molecolare”.
Abbiamo quindi una rete tridimensionale a configurazione variabile che permette di immagazzinare una quantità enorme di dati e di elaborarli. Ogni neurone con le sue connessioni, infatti, può contribuire a fissare un numero molto elevato di insiemi di informazioni. Le informazioni, infatti, non vengono fissate da singoli neuroni o da gruppi di essi ma da configurazioni di legami che interessano tutta o quasi tutta la rete. Ogni cellula nervosa diventa così il mediatore di migliaia di “impressioni” diverse sequenziali o contemporanee. Ad esempio pensiamo alla memorizzazione di immagini visive o di percezioni complesse. Solo una struttura di queste dimensioni e di questa complessità può fissare il film di una vita, con una sequenza interminabile di immagini “multimediali” ognuna delle quali lascia un’impronta tridimensionale nelle caratteristiche della rete. Sulla rete neuronale “girano” i programmi di gestione delle informazioni. In parte sono programmi già scritti fin dalla nascita che seguono vie prefissate nella rete neuronale. Ma in parte sono programmi che vengono attivati sulla base delle impronte neuronali successive che appaiono nella rete. Le impronte dunque possono in parte condizionare i programmi di funzionamento della rete stessa.
E c’è di più. C’è qualcosa che è caratteristica di ogni cervello con una corteccia sviluppata, ma che raggiunge la sua massima espressione nel cervello dell’uomo. La persistenza nel tempo e la capacità di influenzare il funzionamento della rete neurale di una “impronta” derivata dall’esperienza sono direttamente dipendenti dall’intensità dell’attivazione emotiva che ha accompagnato questa esperienza. Reti neurali specializzate e situate nella parte più profonda del cervello quando vengono stimolate attivano i loro collegamenti con la grande rete neurale diffusa della corteccia e influenzano l’intensità e la persistenza delle impronte su di essa. Il correlato di questa attivazione lo chiamiamo “emozioni”. Alta emozione (positiva o negativa) significa alta stabilità e persistenza dell’impronta nella rete e viceversa. Se una serie di esperienze collegate nel loro significato hanno costantemente la medesima connotazione emotiva, tutto il funzionamento della rete neurale ne viene influenzato in quanto quell’impronta diviene dominante. In alcuni casi può essere sufficiente un’unica impronta se la sua attivazione emotiva è stata particolarmente intensa e violenta. E quando un “fotogramma” neurale a tre dimensioni si illumina perché uno stimolo in qualche modo lo ha attivato anche le reti neurali che gestiscono le emozioni vengono attivate. Succede allora che un insieme indissolubile di percezioni, di pensieri e di emozioni emerge dal passato, entra nel presente e lo spazio-tempo si dissolve.
Ed ecco quindi come i vissuti e il comportamento di ogni essere umano vengono ad essere condizionati dall’accumularsi progressivo di impronte nella rete neurale. Le impronte si stratificano, si condizionano l’un l’altra, si sopprimono o si potenziano a vicenda e governano sulla nostra illusione di libertà. La risultante delle impronte neurali controlla ogni istante della vita di un uomo. A volte le impronte più persistenti, dove i collegamenti sinaptici di rete sono stati resi più stretti dalle emozioni e dove l’espressione genica del DNA si è più stabilmente modificata, sono i protagonisti più o meno mascherati della vita psichica o del comportamento. Altre volte sono la guida sicura di una vita. Altre volte ancora la distruggono senza scampo. Talvolta possono interferire con i programmi, fissati in modo apparentemente indelebile nella rete dalla programmazione genetica, della sopravvivenza individuale e della specie. Il nostro destino, mano a mano che la vita procede, viene ad essere scritto dall’espressione molecolare della doppia ellisse di qualche milione di cellule cerebrali.
Ma la rete neurale con le sue impronte può anche condizionare profondamente il funzionamento del corpo. Ad esempio, la morte di un genitore in età infantile condiziona la risposta degli ormoni dello stress nell’età adulta. E l’impronta indelebile di una grave perdita affettiva influenza il nostro principale sistema di difesa contro le malattie: il sistema immunitario. E alcuni muoiono prima che il tempo di vita loro concesso sia scaduto, apparentemente contro la loro volontà ma in realtà perché ciò ha voluto l’impronta della perdita nella loro rete neurale.
E le impronte nella rete neurale raccontano la storia di ognuno di noi, fin da quando, bambini, la nostra rete neurale è come la sabbia sulla riva del mare dopo il passaggio delle onde durante la notte. Poi, via via che il sole si alza le impronte si moltiplicano, si incrociano, si sovrappongono. Qualcuna affonda più profondamente nella sabbia, altre rimangono labili e in apparenza si cancellano.
La possibilità di lasciare impronte nella rete neurale varia con le varie fasi dello sviluppo cerebrale. La spiaggia sulla riva del mare non cambia il numero dei suoi granelli di sabbia. E i nodi della rete neurale non cambiano il loro numero dalla nascita fino alla vecchiaia. Ma come i granelli di sabbia cambiano la loro coesione in rapporto alle ore del giorno e alla posizione così cambia la forza dei legami in funzione degli anni della vita. Nei primi anni di vita dell’uomo tutto può essere impresso perché la sabbia è morbida e la rete ha un gran numero di connessioni. Poi, con l’adolescenza, il cervello si semplifica, la rete diventa più rigida e solo gli stimoli più intensi (quelli che generano più intense emozioni) lasciano un’impronta più stabile nella rete.
E quando la rete neurale ha raccolto tutte le impronte di una vita e la sua capacità di incidere nuove tracce sembra esaurirsi, la programmazione genetica comincia a cancellare ciò che la vita aveva scritto. I nodi della rete cominciano a morire, i legami si allentano perché esistono sempre meno dendriti su cui fissare nuove connessioni. E le impronte cominciano a svanire, prima le più recenti, poi le più antiche. E l’apparato delle emozioni attenua sempre di più la sua azione perché la rete neurale non è più in grado di fissare nuove impronte e il carico emotivo porterebbe alla sua rapida e completa disorganizzazione. E l’uomo assiste, impotente, allo spegnersi del suo cervello fino a quando le prime onde lunghe della marea prima della notte lavano la spiaggia che torna infine come quando ancora nessun piede l’aveva toccata.
Ma che accade quando un’esperienza o una sequenza di esperienze si accompagnano a un’attivazione violenta delle reti neurali situate alla base del cervello che sono la matrice delle emozioni? Accade che la rete neurale della corteccia incide nei suoi circuiti in modo indelebile il codice di questa esperienza. E questo codice può diventare dominante e in alcuni casi pervasivo e condizionante.
E alcune cose strane accadono nella mente di alcuni uomini, cose che solo uno stampo indelebile nella rete neurale può aiutarci a comprendere.
Una esperienza di guerra dove la morte ti ha solo sfiorato, ma ha ucciso i tuoi compagni e i tuoi amici più cari. Una catastrofe dove solo il caso ti ha permesso di sopravvivere in mezzo alla strage e alla distruzione. Un incidente sull’autostrada nella nebbia che ha ucciso e sfigurato chi era accanto a te. Una violenza sessuale di gruppo nella notte che ha insultato il tuo corpo e la tua mente. Ma anche essere rapito e tenuto prigioniero con la violenza e la minaccia di morte. O la tragica esperienza della prigionia di guerra o di un campo di concentramento. O la diagnosi certa ed improvvisa di una malattia che minaccia la vita tua o di chi a te è legato. Un’infinita serie di eventi dove la tua sopravvivenza è stata solo un caso mentre la morte ha colpito ciecamente chi ti era vicino.
Ma che dire delle perdite affettive, dei lutti improvvisi, degli improvvisi distacchi, degli imprevisti e definitivi abbandoni affettivi che interrompono la continuità della vita? Quante impronte che il caso ha lasciato nel nostro cervello e che hanno causato la necessità dei nostri comportamenti!
Nessuno è immune dalla conseguenze delle impronte stampate nella nostra rete neurale. Ma c’è chi ne soffre più duramente le conseguenze e non riesce più a liberarsi delle esperienze che la casualità ha inciso nella rete. Ed ecco che questa diventa la base di vissuti e comportamenti stereotipati e ripetitivi che limitano sempre di più la già scarsa libertà di ogni essere umano.
E l’impronta si inserisce, maligna, nei sogni proiettando ogni notte il medesimo angoscioso film accompagnato sempre dal medesimo cupo motivo musicale. Con l’unico sollievo di non ricordare sempre ciò che è avvenuto nella notte sognante. Ed ecco le esplosioni di ansia improvvisa quando uno stimolo casuale riattiva di colpo l’impronta rilevante. Ed ecco la catena infinita degli evitamenti di tutto ciò che risveglia i circuiti della rete neurale fissati nel cervello con un legame più forte di qualsiasi altra esperienza. Ed ecco le improvvise esplosioni di rabbia, l’attenuarsi degli affetti, il corpo che soffre, sotto l’effetto condizionante e pervasivo dell’impronta neurale, ormai dominante.
A volte l’impronta neurale disorganizza profondamente i programmi che gestiscono l’ordinato funzionamento del cervello. Ed ecco i lampi accecanti ed improvvisi che turbano lo stato di coscienza anche nella veglia con immagini accompagnate da emozioni intense e violente che fanno rivivere il passato come se fosse presente. Ed ecco la dissociazione della coscienza con azioni automatiche fuori di ogni controllo della volontà. Ed ecco comparire le voci e le visioni vissute come realtà attuale anche se sono soltanto un comando imperioso dell’impronta neurale. Altre volte l’impronta agisce in modo più pervasivo e sottile. Come quando in una trasmissione telefonica prima limpida e chiara appare un disturbo di fondo, così nel cervello l’impronta agisce inserendo nel normale flusso dei pensieri le immagini ricorrenti dei vissuti del passato. E perdere la libertà del proprio pensiero è certamente peggio di perdere la libertà dei propri comportamenti.
Per alcuni uomini gli effetti di una impronta neurale persistente indotta da una esperienza traumatica sono devastanti e spezzano per sempre la continuità dell’esistere. Pensiamo per un istante ad una grande passione amorosa, ad un affetto profondo, ad una emozione totalizzante, ad un intenso rapporto di attaccamento interrotti bruscamente dagli eventi della vita. O pensiamo a quelli di noi che hanno avuto, per malattia o per incidente, una grave minaccia per la propria vita. O pensiamo anche a chi ha avuto un improvviso attacco di panico, senza alcun motivo apparente, ma scatenato da uno squilibrio improvviso dei suoi neurotrasmettitori cerebrali. Pensiamo a tutto quello che interrompe l’ordinato sovrapporsi e integrarsi delle impronte neurali nel nostro cervello.
C’è chi si illude di non avere nessuna impronta neurale dominante nel suo cervello. C’è chi sembra passare indenne attraverso tutte le esperienze della vita. C’è chi pensa follemente di essere un uomo libero perché ritiene di aver superato ogni esperienza e avere il controllo su tutte le sue impronte.
Ma nella notte sognante il passato riemerge e diventa presente vissuto in ogni essere umano. Spesso, nella piena lucidità della coscienza, una immagine improvvisa scatenata da uno stimolo irrilevante invade la mente. E il passato torna di nuovo presente perché un’impronta neurale ha preso per un istante il sopravvento.
Nella notte sognante e nei flashback della veglia il dominare di un’impronta cancella il significato del tempo. In qualche modo e per breve tempo ci da l’illusione dell’eternità. Purtroppo, le impronte neurali più stabilmente fissate sono quelle dove il “fissatore” naturale delle impronte ha agito in modo più incisivo e persistente. E le emozioni negative, purtroppo, nella vita dell’uomo sono sempre più potenti e più frequenti che non quelle positive.
A questo punto ci si può chiedere se le impronte che la vita ha lasciato sul nostro cervello possano essere selettivamente cancellate. Se questo fosse possibile, un nuovo scenario si aprirebbe per ogni uomo. Immaginiamo di poter agire solo su quell’impronta, o su quelle impronte che sono la causa dei nostri incubi ricorrenti, dei nostri flashback angosciosi, dei nostri assurdi evitamenti, dei pensieri continui ossessionanti ed invasivi. Immaginiamo di avere gli strumenti adatti a estirpare dalla rete quell’impronta che i meccanismi di compenso del cervello non sono riusciti almeno temporaneamente a coprire. Immaginiamo di poter eliminare per sempre quella traccia, nella corteccia del cervello, che scatena reazioni emotive ripetute e incontrollate. Chi mai non accetterebbe di avere a disposizione uno splendido catalogo delle sue impronte neurali e, come davanti agli scaffali di un supermarket, dire: “… questo lo prendo e questo invece lo rifiuto”?
Chi è ossessionato da un’impronta ha fatto sempre quello che poteva per liberarsene.
Di fatto l’uomo nella sua breve storia ha tentato di fare di tutto per liberarsi delle impronte parassite, causa del suo soffrire. Ha provato a disorganizzare la rete con l’alcool, con le droghe, con i farmaci. Ma le connessioni neurali hanno resistito. La rete sotto gli stimoli chimici si disorganizza temporaneamente ma appena la sostanza chimica è eliminata o neutralizzata dalle difese del corpo la rete con tutte le sue connessioni e con le sue stabili impronte riprende la sua configurazione iniziale.
Talvolta ha tentato di generare nel suo cervello nuove impronte che potessero sovrapporsi e cancellare quelle che la vita aveva inciso nella sua rete neurale. E ha cercato emozioni violente ed intense in droghe psicostimolanti, in sfide impossibili, nella ricerca del rischio, nel brivido ineffabile di uccidere altri esseri umani o di uccidere se stesso. E ancora una volta ha fallito.
E quando un giorno è stata inventata la psicoterapia si è illuso che questa magica disciplina potesse scavare nella sua rete neurale, per scoprire e dissezionare le impronte che erano la causa della sua sofferenza e neutralizzarne la funesta influenza. Ma, di nuovo, questo tentativo è servito solo a ridurre la sofferenza ma non a cancellarne le cause.
E allora? Non c’è scampo, non c’è speranza di liberarci delle impronte nel nostro cervello quando la sofferenza che ci causano è tale da farci desiderare la morte? In fondo, anche un malato terminale, divorato da un cancro inoperabile, spera fino all’ultimo che la medicina scopra un rimedio efficace finché è ancora in vita. E perché mai chi è tormentato da una impronta neurale inevitabile non dovrebbe sperare che un rimedio efficace sia a portata di mano?
Blade Runner è diventato uno dei maggiori cult-movie di tutti i tempi. Per vari motivi. Ma uno dei temi dominanti è quello di poter controllare la rete neurale inserendo una sequenza di impronte che danno l’illusione del ricordo di una vita mai vissuta. Rachel, modello perfezionato (Nexus 7) di androide non ha più differenze rispetto ad un essere umano fin dal momento in cui il suo cervello non è più una spiaggia lavata dal mare come avviene in un neonato ma diventa la registrazione fedele di una vita mai vissuta realmente.
Questa è solo un’anticipazione sognante di un futuro molto vicino. Ma già oggi è possibile “vedere nel cervello” vivente i mutamenti di stato funzionale nella complessa configurazione di aree e di nuclei cerebrali in funzione del cangiante variare dei pensieri e delle emozioni. Domani sarà possibile “navigare” nella rete neurale del proprio cervello come oggi navighiamo sulla ormai familiare rete del WEB.
Proviamo ad immaginare di essere seduti davanti ad uno schermo dove, aiutati da un potente motore di ricerca, navighiamo nella rete neurale del nostro stesso cervello addentrandoci nella infinita foresta di tutte le esperienze della vita. E immaginiamo di poter “cliccare” sui codici che richiamano l’una o l’altra delle impronte che l’esperienza ha scolpito nella nostre esistenze. E immaginiamo di poter premere con gioia infinita il tasto DELETE per tutte le configurazioni di rete che sono causa della nostra sofferenza mentale. Ma quando avremo cancellato quelle impronte che ci sono sembrate la causa della nostra sofferenza, continueremo a navigare sul nostro WEB cerebrale, cercando quelle impronte che ci sembrano all’origine di tante sofferenze minori della nostra vita quotidiana. E la tentazione di cancellare anche quelle diventerà irresistibile.
Ma mano a mano che navigheremo nel WEB del nostro cervello, esercitando il nostro potere di “cancellazione selettiva” la rete cambierà sempre più la sua configurazione generale. Alcune connessioni si indeboliranno, altre si potenzieranno per compenso e tutte le impronte in qualche modo cambieranno più o meno profondamente.
E se questa operazione avesse successo potremmo forse pensare, per la prima volta, di aver fatto un primo passo verso la liberazione dalla schiavitù che ci impone il nostro cervello.
Ma questa sarà una nuova espressione dell’eterna illusione. Perché quando, col nostro mouse o con il nostro touch-screen, saremo sul punto di premere per la prima volta il mitico tasto DELETE, un circuito neurale di protezione della rete, finora silente, si attiverà e chiederà una parola chiave per attivare il programma di cancellazione dei ricordi.
La parola chiave si chiama: “IDENTITÀ PERDUTA”. E il nostro dito esiterà a lungo prima di digitare questa parola e di cliccare sul comando fatale.
E forse fuggiremo via dallo schermo. Se saremo ancora in tempo.