Parole chiave:
Bulimia nervosa • Fluoxetina • Depressione • Antidepressivi
Key words:
Bulimia nervosa • Fluoxetine • Depression antidepressants
Introduzione
L’analisi delle possibilit� di intervento farmacologico sul comportamento bulimico non pu� prescindere da una serie di considerazioni preliminari riguardanti obiettivi, finalit� e limiti di tale approccio terapeutico (Silverstone, 1993). In primo luogo � necessario ricordare come la condotta bulimica non possa essere valutata come un fenomeno isolato, ma debba essere quasi costantemente considerata nell’ambito di condizioni psicopatologiche pi� ampie. Nel caso della bulimia nervosa, nell’accezione nosografica attuale, le peculiarit� comportamentali e cliniche del disturbo e la sua associazione/alternanza con condotte anoressiche giustificano il suo inquadramento nell’entit� unitaria del disturbo alimentare psicogeno. Ci� rinvia direttamente all’estrema complessit� patogenetica del quadro morboso, certamente non definibile come una mera amplificazione della normale attitudine all’assunzione di cibo, ma come una condizione legata ad una profonda interdipendenza tra alterazione emotiva e comportamentale e implicazione psicobiologica.
Il riscontro della frequente copresenza di componenti depressive rinvia inoltre al modello di intervento terapeutico attivo sia sugli elementi affettivi che su quelli comportamentali (Kaye e Coll., 1986). N� si pu� d’altro lato sottovalutare il peso fondamentale dei fattori psicologici non solo, come si � detto, nella genesi del disturbo, ma anche nella sua influenza sulla risposta ai trattamenti. La questione metodologica del confronto tra modalit� di azione dei farmaci, impiegati nel controllo della bulimia, e modelli concettuali di riferimento dei meccanismi psicobiologici coinvolti non pu� quindi essere elusa.
Gli antidepressivi nella bulimia
La bulimia, disturbo della condotta alimentare (DCA) caratterizzato da abbuffate incontrollate (tipicamente realizzate in segreto o quando si � da soli), da condotte eliminatorie autoprovocate (come il vomito o l’abuso di lassativi) e da altri pattern comportamentali tesi a prevenire l’incremento ponderale, costituisce un problema di significativo impatto sociale sia per l’elevato tasso di prevalenza (almeno l’1,3% delle donne negli Stati Uniti ne � affetto), sia per il fatto che, se non viene trattata, si associa ad un aumento della morbilit� ed occasionalmente della mortalit� dei soggetti colpiti (Goldstein e Coll., 1995). Esiste ad esempio una sostanziale evidenza del legame tra disturbi affettivi e patologia della condotta alimentare, bench� la natura di tale relazione risulti ancora non chiara (Swift e Coll., 1986). Molti studi clinici hanno fatto rilevare che pazienti con anoressia o bulimia nervosa spesso manifestano segni e sintomi di depressione, mentre l’alto grado di comorbidit� affettiva nei disturbi alimentari ha spinto alcuni ricercatori a ritenere che i DCA possano rappresentare un’espressione atipica di un disturbo dell’umore cui le adolescenti sarebbero in modo particolare vulnerabili. D’altro canto � ben noto che il digiuno di per s� tende a produrre sintomi depressivi che tipicamente regrediscono dopo adeguata renutrizione. Sembra inoltre che i disturbi affettivi siano solo transitoriamente correlati alla bulimia nervosa, come dimostrato da studi di follow-up di soggetti bulimici, nei quali i sintomi depressivi scompaiono nonostante la significativa persistenza della patologia alimentare (Swift e Coll., 1986).
Allo stato attuale delle conoscenze il dibattito sulla possibilit� che la patologia alimentare costituisca o meno un’espressione fenomenica atipica di una sottostante patologia affettiva rimane aperto. � certo, comunque, come il gruppo di Maser ha sottolineato (1995), che una vasta quota di dati psicopatologici, biologici, farmacologici e di familiarit� attribuisce alla depressione un ruolo significativo nell’ambito della patologia dell’alimentazione. Pope e collaboratori (1983) per primi hanno ipotizzato che la bulimia nervosa possa configurarsi come una variante del disturbo affettivo, rilevando una significativa correlazione tra miglioramento dei punteggi ottenuti alla scala di Hamilton per la depressione e riduzione delle abbuffate in soggetti trattati con imipramina. Altri due studi condotti da Horne e colleghi (1988) e da Hughes ed altri (1986), pur contraddicendo l’ipotesi che il miglioramento dei sintomi bulimici possa correlarsi ad un sottostante disturbo depressivo che va migliorando, rilevarono una parziale remissione della sintomatologia alimentare dopo trattamento con antidepressivi.
Uno studio di Wold (1991), esaminando la sintomatologia alimentare in 80 donne con disturbo depressivo maggiore, ha evidenziato la presenza di una triade sintomatologica, tradizionalmente nucleare nei DCA, probabilmente secondaria allo stato affettivo morboso: un disturbo della consapevolezza enterocettiva, una spinta alla bulimia ed un vissuto pervasivo di inadeguatezza. D’altra parte, Brotman e collaboratori (1984) hanno indicato che alcuni pazienti con bulimia esperiscono solo un effetto antiabbuffata con gli antidepressivi, mentre altri soggetti ne ricevono unicamente beneficio terapeutico per quanto riguarda il tono dell’umore.
In uno studio condotto su 139 pazienti ambulatoriali depressi maggiori valutati per la sintomatologia alimentare (autovalutazione mediante l’Eating Disorder inventory, EDI) prima e dopo trattamento antidepressivo con fluoxetina a 20 mg al d�, Fava e colleghi (1997) hanno riscontrato una relazione positiva statisticamente significativa tra gravit� della depressione e consapevolezza enterocettiva sia alla baseline che al termine del protocollo dopo 8 settimane, e tra gravit� della depressione e sottoscale EDI dell’inadeguatezza, della sfiducia interpersonale e della paura della maturit� alla fine del trattamento. Secondo gli autori alcuni dei sintomi peculiari dei disturbi alimentari potrebbero essere significativamente correlati alla gravit� della depressione o, inversamente, il decremento di determinate componenti della sintomatologia alimentare dopo trattamento antidepressivo risulterebbe connesso ai cambiamenti delle manifestazioni timiche.
In altri studi (Walsh e Coll., 1988; Kennedy e Coll., 1988), al contrario, non � stata ritrovata alcuna correlazione tra concomitante diagnosi di disturbo depressivo maggiore ed efficacia dei vari antidepressivi nel trattamento della bulimia nervosa.
Al di l�, comunque, della non univocit� dei dati della ricerca sui rapporti tra DCA e disturbi dell’umore, un’alta incidenza di depressione comorbosa � in generale rilevata nell’ambito dei disturbi dell’alimentazione ed in molti trial viene riportato un chiaro beneficio terapeutico dei farmaci antidepressivi nel trattamento dei pazienti con bulimia nervosa (Advokat e Kutlesic, 1995). Gli antidepressivi triciclici, gli inibitori delle monoaminossidasi e gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (TCA, MAOI e SSRI) risultano infatti efficaci nel ridurre gli episodi di binge eating e di eliminazione autoindotta associati alla bulimia. (Advokat e Kutlesic, 1995). Il loro meccanismo d’azione nei soggetti affetti da tale patologia non � stato ancora chiarito: la risposta terapeutica potrebbe discendere dall’azione antidepressiva, dall’effetto ansiolitico, dal miglioramento del discontrollo degli impulsi, da un effetto diretto sui comportamenti di ingestione del cibo o dalla combinazione di tutti questi processi insieme.
In sintesi risulta indubbio che l’effetto antidepressivo pu� non essere sufficiente a spiegare il miglioramento dei soggetti bulimici trattati con antidepressivi ed � improbabile che la bulimia nervosa costituisca semplicemente una variante affettiva in tutti i casi, anche se ci� potrebbe applicarsi realisticamente almeno ad un sottogruppo di soggetti affetti.
Il ruolo della fluoxetina nel trattamento della bulimia nervosa nasce dal rilievo sperimentale e clinico che i farmaci antidepressivi attivi sulla serotonina diminuiscono la tendenza alle abbuffate nei pazienti bulimici. Tale osservazione d’altro canto ha reso sempre pi� valida l’ipotesi che un’anomala funzione del sistema di neurotrasmissione serotoninergica contribuisca a determinare l’insorgenza delle componenti psicopatologiche del disturbo ed a mantenerle nel tempo. Per testare questa ipotesi la ricerca farmacologica ha approntato protocolli di confronto tra controlli sani e soggetti ammalati per quanto riguarda la funzione serotoninergica. Jimerson e Coll. (1997) ad esempio hanno analizzato pattern di risposta neuroendocrina in 15 donne bulimiche normopeso, non ospedalizzate e in assenza di trattamento farmacologico ed in 14 soggetti sani di sesso femminile paragonabili per et� e caratteristiche socio-demografiche. I parametri comportamentali valutati comprendevano sintomi della condotta alimentare, depressione e ansia, mentre i pattern di risposta serotoninergica erano testati misurando l’incremento della prolattina dopo somministrazione di d,l-fenfluramina. I risultati hanno evidenziato che le pazienti bulimiche presentavano concentrazioni di prolattina significativamente inferiori rispetto ai controlli e che la frequenza degli episodi di abbuffata durante le 4 settimane precedenti allo studio mostrava in modo significativo una correlazione inversa con la secrezione di prolattina serotonina-stimolata. Come hanno rilevato alcuni autori (Jimerson e Coll., 1992) un’elevata frequenza delle crisi di abbuffata si associa con bassi livelli di metaboliti della 5-HT nel liquido cefalorachidiano; inoltre � stato dimostrato che sostanze che incrementano il rilascio sinaptico e/o bloccano la ricaptazione della serotonina costituiscono efficaci strumenti di trattamento farmacologico della bulimia nervosa (Walsh, 1991).
Gli studi clinici sulla fluoxetina nella bulimia
In letteratura sono reperibili tre ampi trial clinici in doppio-cieco randomizzato a gruppi paralleli, placebo-controllati sull’efficacia della fluoxetina nel trattamento della bulimia (Goldstein e Coll., 1995; Levine e Coll., 1992; Wheadon e Coll., 1991). Nel lavoro di Wheadon e collaboratori (1991) 398 soggetti con diagnosi di bulimia nervosa sono stati trattati con fluoxetina a 60 mg al d� o con placebo per un periodo di 16 settimane. I risultati di questo studio hanno rivelato che i pazienti del gruppo in fluoxetina esperivano una riduzione del 50% sia degli episodi di vomito che delle abbuffate, significativamente maggiore del decremento osservato nei soggetti trattati con placebo (del 18 e 25% del vomito e delle abbuffate rispettivamente); l’11% dei pazienti in fluoxetina ed il 6% di quelli in placebo avevano interrotto precocemente il trattamento a causa dell’insorgenza di eventi avversi, ma non vi erano differenze significative tra i due gruppi. Nel secondo studio placebo-controllato (Levine e Coll., 1992) 382 donne che assumevano placebo o fluoxetina a 60 o 20 mg al giorno sono state seguite per 8 settimane. La fluoxetina a 60 mg � risultata significativamente superiore al placebo nel ridurre sia il vomito che le abbuffate, mentre il dosaggio di 20 mg era pi� efficace del placebo nell’abbassare la frequenza del vomito, ma non delle abbuffate. Inoltre caratteristiche psicopatologiche associate alla bulimia, quali depressione, craving per i carboidrati e attitudini psicologiche (distorsioni cognitive e atteggiamenti psicologici riguardanti la forma ed il peso corporeo) e comportamenti alimentari morbosi (pi� o meno specifici) sono apparsi migliorati in modo significativo nei soggetti in terapia con la fluoxetina. Gli eventi avversi hanno condotto alla discontinuazione del trattamento in meno del 5% dei pazienti in studio, senza differenze significative tra i due gruppi messi a confronto. In un ampliamento successivo di questo protocollo, i soggetti che avevano risposto alla fluoxetina sono entrati in una fase di sospensione del farmaco della durata di 4 settimane, seguita da un secondo periodo di trattamento mascherato della durata di 44 settimane (Wood, 1993). I sintomi bulimici ripresentatisi durante il periodo di sospensione del farmaco, di nuovo si sono attenuati dopo che il trattamento con fluoxetina era stato ripristinato. L’analisi della natura e frequenza del cambiamento negli atteggiamenti psicologici alterati (relativi alla forma ed al peso) tra le 382 pazienti partecipanti a questo trial ha fatto riscontrare che il trattamento con fluoxetina aveva un effetto significativo su parametri clinicamente rilevanti, sia a livello attitudinale (distorsioni cognitive dei vissuti somatici), che comportamentale (parametri tradizionali di riferimento per valutare l’esito di un trattamento: tasso di condotte eliminatorie e abbuffate) (Goldbloom e Olmsted, 1993). Il terzo ampio trial placebo-controllato in 225 soggetti con bulimia ha mostrato che il trattamento con fluoxetina a 60 mg al d� determinava una riduzione significativamente maggiore del numero di episodi settimanali di vomito e binge eating rispetto a quello a base di placebo nell’arco di 16 settimane di trattamento. Una quota pi� numerosa di soggetti in placebo rispetto a quelli in fluoxetina ha interrotto lo studio per mancanza di efficacia, ma il livello di discontinuazione causata dalla comparsa di eventi avversi era simile nei due gruppi. I pazienti in terapia con fluoxetina inoltre presentavano un miglioramento alle sottoscale “bulimia” e “spinta alla magrezza” della EDI significativamente superiore, se paragonati ai soggetti in placebo. Il beneficio terapeutico della fluoxetina era anche dimostrato da punteggi medi inferiori in modo statisticamente significativo del Clinical Global Impression (CGI) e Patient Global Impression (PGI) per i soggetti trattati con il farmaco attivo rispetto a quelli trattati con placebo. Se da un lato il mancato rilievo di differenze statisticamente significative tra i due gruppi, ai punteggi di fine studio totalizzati con la Scala di Hamilton per la Depressione a 21 item (HRSD-21), sono spiegati dai livelli nel range non depressivo alla baseline in entrambe le categorie di trattamento, dall’altro il grado pi� elevato di depressione riscontrato dopo l’inizio della terapia nei soggetti in placebo suggeriva, secondo gli autori, che la fluoxetina potrebbe possedere un effetto di stabilizzazione dell’umore nei pazienti con bulimia nervosa. Inoltre la moderata perdita di peso nei soggetti in terapia con fluoxetina rispetto al gruppo in placebo rimandava ad un potenziale vantaggio della fluoxetina a confronto dei TCA che spesso inducono incremento ponderale nei pazienti trattati per depressione maggiore: l’effetto stabilizzatore del peso corporeo da parte dell’SSRI aumenterebbe la compliance al trattamento soprattutto laddove la preoccupazione ossessiva di ingrassare costituisce un elemento psicopatologico importante per questa tipologia di pazienti. I risultati di questo studio sono in accordo con i rilievi di altri due trial in doppio-cieco randomizzato controllato sull’efficacia e tollerabilit� della fluoxetina nella bulimia nervosa (Fichter e Coll., 1991; Fluoxetine Bulimia Nervosa Collaborative Study Group, 1992). Nel primo gli autori hanno confrontato fluoxetina a 60 mg al giorno e placebo in 40 soggetti, reclutati contemporaneamente in un programma di psicoterapia comportamentale intensiva, per un periodo di 35 giorni. Sebbene i dati del trial non abbiano dimostrato una differenza tra i trattamenti statisticamente significativa, vi era comunque una tendenza tra i pazienti in fluoxetina a presentare un pi� marcato miglioramento clinico (cambiamento del profilo EDI e della frequenza delle abbuffate) rispetto ai soggetti in placebo. Il Fluoxetine Bulimia Nervosa Collaborative Study Group (1992) ha studiato 382 donne affette da bulimia trattate con fluoxetina a 20 o 60 mg/die e placebo per un periodo di 8 settimane. Il dosaggio di 60 mg risultava superiore al placebo in modo significativo gi� a partire dalla prima settimana di terapia e appariva pi� efficace rispetto a quello di 20 mg nel ridurre il numero di episodi settimanali sia di vomito che di abbuffata; il dosaggio inferiore di fluoxetina si rivelava superiore al placebo nell’attenuare la frequenza per settimana delle crisi di vomito soltanto. Il gruppo di pazienti in fluoxetina a 60 mg mostrava inoltre una risposta migliore per quanto riguardava la depressione, il craving per i carboidrati ed i comportamenti alimentari patologici valutati mediante la EDI e l’Eating Attitudes Test (EAT). Le percentuali di interruzione del trattamento per l’insorgenza di eventi avversi erano in generale modeste: 6,2% per il placebo, 3,1% per la fluoxetina a 20 mg e 8,5% per la fluoxetina a 60 mg, e pochi pazienti sospendevano la terapia per un qualsiasi singolo evento avverso. Il peso corporeo diminuiva di 1,7 Kg con fluoxetina a 60 mg e di 0,7 Kg con il dosaggio di 20 mg, mentre nei soggetti in placebo si registrava un incremento ponderale di 0,1 Kg. Anche Bretz e altri (1993) in uno studio ristretto placebo-controllato della fluoxetina in 30 pazienti affetti da bulimia, trattati per 16 settimane, hanno rilevato che la frequenza delle abbuffate e delle condotte di eliminazione decresceva significativamente di pi� nel gruppo trattato con fluoxetina che in quello con placebo. La media degli episodi di abbuffata-eliminazione diminuiva da almeno una volta al giorno a solo due volte alla settimana. La conferma della superiorit� della fluoxetina a 60 mg al giorno rispetto al placebo nella bulimia nervosa viene anche da un trial della durata di 6 settimane condotto dal gruppo di Freeman su 40 soggetti che ha evidenziato a fine protocollo un decremento del 51% degli episodi di binge eating con il farmaco attivo e del 17% con placebo (Mitchell e Coll., 1993). I risultati di questi studi dimostrano l’efficacia della fluoxetina nel trattamento della bulimia e forse come temporanea terapia aggiuntiva in casi selezionati di obesit�. La bassa percentuale di effetti avversi clinicamente significativi associata all’utilizzo di fluoxetina fa di questo farmaco un agente di grande interesse nella cura dei disturbi della condotta alimentare; ci� risulta rinforzato dalla sua agevole modalit� di somministrazione (una volta al giorno) e dalla sua sicurezza in condizioni di sovradosaggio. La netta superiorit� della fluoxetina rispetto ad altri farmaci nel trattamento della bulimia ha condotto alla sua approvazione da parte della Food and Drug Administration (FDA) come terapia specifica di questo disturbo (Stokes e Holtz, 1997).
Discussione
La maggior parte degli studi condotti sugli antidepressivi e in particolare sulla fluoxetina nella bulimia nervosa sollevano, tuttavia, una serie di questioni teoriche e mostrano limiti metodologici tali da rendere i risultati non sempre generalizzabili e conclusivi. In primo luogo la consistenza numerica dei campioni valutati spesso non � ampia e l’eterogeneit� delle dimensioni dei gruppi diagnostici e degli eventuali sottotipi sintomatologici (antecedenti di anoressia, vomito autoindotto, abuso di lassativi, livello ponderale) non consente il pi� delle volte una chiara definizione dei fattori predittivi di risposta al trattamento (Mitchell e Coll., 1993). La carenza di trial multicentrici che in modo peculiare potrebbero permettere il confronto tra sottocategorie nosografiche nell’ambito di popolazioni pi� estese di pazienti, sembra costituire una delle ragioni pi� fondate di questo bias procedurale (Corcos e Coll., l 996). Un ruolo di importanza critica, inoltre, nella valutazione accurata di efficacia e tollerabilit� di un farmaco dovrebbe attribuirsi alla durata degli studi, mentre la maggioranza dei protocolli risulta caratterizzata da periodi di follow-up troppo brevi oscillanti tra poche settimane e alcuni mesi (al massimo un anno) (Goldstein e Coll., 1995). In questo caso diviene impossibile, qualora esista un beneficio terapeutico a breve termine, verificare la persistenza degli effetti del trattamento in tempi successivi, anche se � necessario riconoscere che la frequente mancanza di fasi a lungo termine risulta strettamente correlata alla tendenza tipica dei soggetti con bulimia nervosa a mutare di frequente terapeuta e trattamento o ad abbandonarli temporaneamente, a causa della instabilit� emotiva e comportamentale intrinseche al disturbo ed alla patologia di personalit� per lo pi� copresente (disturbo borderline di personalit�) (Corcos e Coll., 1996). Una questione strettamente connessa alle difficolt� nella valutazione della compliance al trattamento (assunzione non corretta del dosaggio, alterato assorbimento o condotte di eliminazione, autovariazioni posologiche) � rappresentata dall’utilit� dei monitoraggi del livello plasmatico dei farmaci, tuttavia di rado contemplata dai protocolli sperimentali e di significato teorico tuttora controverso (Mitchell e Coll., 1993). Anche le modalit� di reclutamento dei soggetti partecipanti ad un trial clinico appaiono non omogenee tra i vari studi, trattandosi in alcuni di annunci a mezzo stampa e in altri di visite di screening presso centri specializzati: in questo modo � evidente che i primi selezionano inevitabilmente casi clinici molto meno gravi dei secondi. Un altro aspetto metodologico di rilievo riguarda il fatto che in quasi tutti gli studi la misurazione dei parametri psicopatologici (come il numero di episodi di abbuffata o di vomito) � affidata unicamente a strumenti di autovalutazione, non sempre accurati e obiettivi (Corcos e Coll., 1996). Questo problema rimanda alla questione teorica imprescindibile della necessit�, da un lato di ricercare markers biologici indicatori obiettivi di responsivit� o resistenza ai trattamenti, dall’altro di definire, al di l� delle componenti sintomatologiche considerate espressioni fenomeniche tipiche della bulimia (binge-eating e condotte di eliminazione), elementi psicopatologici pi� nucleari, come attitudini psicologiche nei confronti del peso e della forma del corpo, alexitimia e distorsioni cognitive dei vissuti somatici, allo scopo di individuare pattern di cambiamento non solo statisticamente, ma anche clinicamente significativo (Goldbloom e Olmsted, 1993). Da ultimo, occorre sottolineare l’urgenza del confronto tra farmacoterapia e psicoterapia cognitivo-comportamentale (quest’ultima rivelatasi trattamento psicologico di elezione nella bulimia nervosa), mediante protocolli sperimentali metodologicamente adeguati, e di un’analisi attenta degli eventuali benefici terapeutici derivanti dalla loro combinazione (Mitchell e Coll., 1993; Goldstein e Coll., 1995; Corcos e Coll., 1996).
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