Il problema della personalità tossicofilica nella patogenesi del Disturbo da Uso di Sostanze Psicoattive. Revisione della Letteratura e recenti acquisizioni

The issue of toxicophilic personality in the pathogenesis of Psychoactive Substance Use Disorder. A review of literature and recent advances

M. PACINI, I. MAREMMANI, PISA-SIA

Study and Intervention on Addictions Group Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie, Università di Pisa

Parole chiave: Personalità tossicofilica • Disturbo da uso di sostanze • Spettro Bipolare
Key words: Toxicophilic personality • Psychoactive Substance Use Disorder • Bipolar spectrum Tossicodipendenza e sintomi psicopatologici

L’utilizzo di vari test per la rilevazione dei sintomi psicopatologici ha permesso di delineare gli aspetti psicopatologici correlati alla pratica tossicomanica.

Esaminati con la “Multiple Affect Adjective Check List” (MAACL), gli eroinomani presentano elevati livelli di ansia, depressione, ostilità, anedonia con forte incapacità a provare piacere da stimoli fisici o relazioni interpersonali (1-3). Utilizzando la “Tennessee Self Concept Scale” (TSCS), che valuta l’autostima, risultano caratterizzati da una concezione di sé orientata in senso depressivo (4). Utilizzando invece il California Psychological Inventory o l’Eysenck Personality Questionnaire i sintomi depressivi, in particolare la bassa autostima, non sono frequenti negli eroinomani, né discriminanti tra eroinomani e controlli (5,6,7,8). Le valutazioni compiute con la “Beck Depression Inventory” (BDI) hanno confermato la presenza significativa di sintomi depressivi, sensibili alla terapia metadonica, in meno del 50% dei soggetti esaminati (9,10). Con il “Profile of Mood States” (PMS) astenia e inerzia sono risultate le caratteristiche principali durante la pratica tossicomanica, mentre pazienti in trattamento metadonico mostrano elevati livelli di aggressività e di acting-out (11).

Per quanto riguarda la sessualità, molti studi hanno riferito punteggi nella norma per i tossicodipendenti riguardo all’identità e agli interessi sessuali, salvo un maggior bisogno di rapporti eterosessuali (12).

I sintomi d’ansia, mediamente rappresentati durante il trattamento di mantenimento metadonico (1,13), risultavano sensibili a interventi di ordine ambientale e riabilitativo (14,15,16).

Le tipologie di disagio psichico prevalenti in tossicomani esaminati con la “Symptom Distress Checklist 90 items” (SCL-90) sono quelle somatoforme, fobica e di ansia generalizzata (17). Utilizzando ancora l’SCL-90 in soggetti eroinomani durante vari tipi di trattamento, i sintomi psicopatologici non sono molto frequenti e potrebbero dipendere dal permanere di un disconforto psicopatologico durante il trattamento per una non corretta applicazione del tipo di trattamento (18).

Tossicodipendenza e dimensioni personologiche

A livello più prettamente personologico il “Minnesota Multiphasic Personality Inventory” (MMPI) permette di evidenziare come i tratti ansiosi, insieme ad altri tipi di personalità abnorme, prevalgano nettamente sui tratti psicotici (19-23,5). Viene comunque confermata la frequenza di profili personologici di tipo patologico (scala “Psychopathic Deviance”), e una maggior tendenza all’isolamento sociale e alla perdita di autonomia (scala “Depression”) (24), aspetti che possono essere verosimilmente giustificati come conseguenze dell’esperienza tossicomanica. Dal confronto degli studi che utilizzano il MMPI non si delinea, tuttavia, un profilo di punteggio tipico ed esclusivo del tossicodipendente. La devianza dei tossicodipendenti, come gruppo, è distribuita su tutte le scale, escluse la virilità-femminilità e l’introversione sociale. In termini quantitativi la devianza non è quasi mai spiccata (si tratta, in genere, di +1 deviazione standard dalla media, in otto delle scale con punteggi elevati), salvo che nella scala “Psychopatic Deviance” (Pd) dove si raggiungono le due deviazioni standard in senso positivo (12). Ad un’analisi più dettagliata è possibile comunque identificare due sottogruppi personologici secondo il MMPI: il gruppo I si caratterizza per anticonformismo, distimia, disagio soggettivo e anomalie dell’ideazione, ma la devianza non è spiccata; il gruppo II ha punteggi elevati nella sola Pd, ma la devianza è marcata. Il MMPI sarebbe in grado di distinguere gli eroinomani, che hanno punteggi elevati nella scala Hy, dagli alcolisti, che hanno invece punteggi elevati in Pd, Ma, Hy, Pt (25).

Specifici tratti caratteristici della “addictive personality” potrebbero, invece, essere evidenziati in rapporto al sesso: la “addictive personality” femminile avrebbe il suo tratto cardine nell’impulsività, mentre la forma maschile sarebbe incentrata su dipendenza, spiccata autocritica, timidezza (12).

Per quanto riguarda l’acquisizione di modelli cognitivi di interpretazione della realtà quali “il luogo di controllo”, è stato proposto che la tossicodipendenza sia legata alla ricerca di oggetti esterni come fonte di sicurezza, come espressione di un assetto psicologico secondo cui il controllo sugli eventi è attribuito a fattori esterni piuttosto che alla propria volontà. In termini psicologici avrebbero un “locus of control” (LOC) esterno. Questa dimensione permette di spiegare la tendenza di alcuni individui ad ignorare i rinforzi contingenti come una incapacità a rispondere alla ricompensa e alla punizione. Questa incapacità è legata ad una aspettativa generalizzata che porta a percepire le azioni come sganciate dal raggiungimento di una ricompensa o all’evitamento di una punizione. Pertanto, gli “interni” sono portati a ritenere di poter controllare gli eventi, mentre gli “esterni” hanno un atteggiamento esistenziale fatalistico e pensano che le proprie azioni non siano correlate con l’esperienza (26). Contrariamente a tale aspettativa, per i tossicodipendenti è emersa una internalità del LOC, che può essere soggetta a fluttuazioni temporanee per l’intervento di fattori ambientali, ma rimane comunque relativamente stabile. L’esternalizzazione del LOC caratterizza la fase di stato della storia tossicomanica, mentre con la terapia di mantenimento metadonico il LOC tende a ritornare interno.

In conclusione è possibile affermare che gli aspetti personologici per i quali esiste la maggiore concordanza e al contempo specificità per la tossicomania risultano essere il livello di aggressività, il tono dell’umore disforico-irritabile, l’ipercriticismo eterodiretto e le condotte sociopatiche. Tuttavia, quando si voglia valutare la sociopatia nel contesto della personalità del tossicomane, non appare utile misurarla durante il comportamento tossicomanico, in cui le condotte antisociali ed eterolesive rappresentano una conseguenza aspecifica legata alle esigenze economiche e al coinvolgimento in ambienti criminali. Per quanto complesso e disomogeneo appaia il panorama degli studi sperimentali, è possibile estrapolare alcuni dati fondamentali: 1) la frequenza di componenti depressive, in genere sensibili al trattamento metadonico, con il quale i tossicomani non sono distinguibili dalla popolazione generale in rapporto alla dimensione estroversione/introversione o all’autostima; 2) la presenza di componenti ansiose anche durante il mantenimento metadonico; 3) la relativa rarità di manifestazioni psicotiche.

Tossicodipendenza e Disturbi di Personalità

Il riscontro nel tossicomane di relazioni interpersonali precarie e deficitarie e di una identità instabile e scarsamente coerente, oppure di comportamenti sociopatici, con frequenza di atti impulsivi e coinvolgimento in attività criminali, ha da sempre posto il problema delle relazioni tra uso di droghe e quadri personopatici. L’attuale orientamento nosologico non prevede l’inquadramento dei comportamenti tossicomanici come tipologia particolare di disturbo di personalità, come proposto da Felix (27), ma piuttosto come aspetto frequentemente presente nei quadri di psicopatia, talora con valore diagnostico, come nei disturbi di personalità borderline e antisociale (28-31,24).

Prima dell’introduzione di questionari standardizzati monofasici (DSM III) (32) per la valutazione dei singoli Disturbi di Personalità, solo per il quadro attualmente codificato come Disturbo Antisociale di Personalità era disponibile uno strumento diagnostico “dedicato”. Così vi era l’impressione che la comorbidità Disturbi da Uso di Sostanze fosse limitata al Disturbo Antisociale di Personalità. Poiché alcuni tratti tradizionalmente associati ai Disturbi da Uso di Sostanze, come l’impulsività, possono appartenere ad altri Disturbi di Personalità, è logico attendersi che una più ampia prospettiva diagnostica della relazione Disturbo da Uso di Sostanze – Disturbi di Personalità possa rivelare un pattern di comorbidità più ampio.

Negli studi condotti su campioni clinici, nei quali sono stati utilizzati questionari semistandardizzati e semistrutturati per determinare i disturbi di asse II nell’indagine di comorbidità con i Disturbi da Uso di Sostanze, è stato osservato che una parte notevole dei pazienti con Disturbo da Uso di Sostanze aveva uno o più Disturbi di Personalità, non solo Disturbo di Personalità Antisociale ma anche Disturbo di Personalità Borderline e altri.

Almeno un disturbo in asse II è diagnosticabile nel 25%-91% dei tossicomani a seconda delle casistiche (33-36), con una netta predominanza dei Disturbi Borderline e Istrionico, presenti rispettivamente nel 5%-65% (35,37), e nel 12%-64% (35); l’Antisociale (3-55%) (38,39) e anche il Passivo-Aggressivo (35,40,41). Anche il cluster C ha una prevalenza significativa (28%), in particolare per il DP dipendente (35%) (35,38,42) e l’evitante. Nonostante il cluster A sia il meno rappresentato, è assai significativa la comorbidità tra problemi tossico-correlati e Disturbo Schizotipico di Personalità (fino al 41% di prevalenza) (35).

Tutti gli studi clinici, tranne poche eccezioni (36), hanno utilizzato pazienti abusatori di sostanze che si erano ricoverati in unità o cliniche specializzate, cosicché i disturbi di asse II non sono stati determinati indipendentemente dalla conoscenza del Disturbo da Uso di Sostanze.

Correggendo la diagnosi di Disturbo di Personalità Borderline con l’eliminazione del criterio dell’abuso di sostanze, un considerevole numero di pazienti non rientra più nella categoria diagnostica (43). Questa interferenza può essere evitata scegliendo soggetti in trattamento per Disturbo di Personalità diagnosticato indipendentemente dalla conoscenza del Disturbo da Uso di Sostanze (36).

I tassi di Disturbo di Personalità in rapporto a diagnosi corrente o lifetime sono simili, il che suggerisce che la diagnosi di Disturbo di Personalità in presenza di Disturbo da Uso di Sostanze attuale non sia nei fatti così problematica come supposto (36).

Per quanto riguarda le comorbidità specifiche per le varie sostanze, Yates et al. (44) hanno studiato abusatori di alcool e cocaina, con i seguenti risultati: la prevalenza di un Disturbo di Personalità è maggiore in entrambi i gruppi di abusatori rispetto ai controlli e maggiore tra i cocainomani rispetto agli alcolisti. Altri studi tuttavia indicano una prevalenza di Disturbo di Personalità simile per alcool e sostanze diverse dall’alcool (36).

Negli abusatori di cocaina il cluster prevalente è il B, seguito da C e A; negli alcolisti prevalgono il B (in particolare Borderline) e il C; nei controlli il primo cluster è il C. Con il “Millon Clinical Multiaxial Inventory” (MCMI) l’assetto di personalità di gran lunga prevalente negli assuntori di eroina è risultato quello narcisistico, mentre gli alcolisti presentavano per lo più tratti di tipo schizoide e/o borderline (36). Analizzando l’associazione dal versante dei Disturbo di Personalità, emerge che la comorbidità per Disturbo da Uso di Sostanze si verifica soprattutto per l’alcool e sostanze sedativo-ipnotiche (43).

La copresenza di un Disturbo di Personalità si associa a caratteristiche particolari di decorso, quali l’età di inizio delle condotte d’abuso e il livello di funzionamento globale. L’età di inizio dell’uso è minore in presenza di Disturbo di Personalità, con due possibili significati: o i soggetti che sviluppano Disturbo di Personalità hanno problemi in età adolescenziale che facilitano il contatto con le sostanze d’abuso; o l’uso precoce di sostanze genera problemi di integrazione sociale che sono poi diagnosticati come Disturbo di Personalità. La comorbidità con Disturbo di Personalità si associa a un livello di funzionamento globale minore, ma non aumenta la cronicità dell’uso di sostanze (36).

Disturbo di personalità antisociale

L’associazione tra una varietà di Disturbo da Uso di Sostanze e il Disturbo di Personalità Antisociale (DPAS) è stata osservata in ambito clinico e forense (45) e nella popolazione generale (46,47). Degli individui con diagnosi di Disturbo da Uso di Sostanze il 20%-40% ha comorbidità per DPAS (48-50), con prevalenza maggiore nei casi di poliabuso. Non esistono altri DP per cui sia stata individuata una così forte associazione con i Disturbi da Uso di Sostanze (51).

I Disturbi da Uso di Sostanze diagnosticati secondo il DSM-IV sono più strettamente associati con il DPAS che con qualsiasi altro disturbo di asse I preso in considerazione (47).

Non vi sono altri ambiti diagnostici al di fuori dell’abuso di sostanze, e in particolare di alcool, in cui la concentrazione della diagnosi in comorbidità di DPAS sia altrettanto significativa (51).

Degli individui con DPAS il 93% ha comorbidità per Disturbo da Uso di Sostanze e in oltre il 90% degli antisociali abusatori figura l’alcool come unica sostanza o una delle sostanze d’abuso (52) e l’odd-ratio DPAS-Disturbo da Uso di Sostanze sarebbe significativa per l’alcool e (meno) per gli psicostimolanti amfetaminici (53). Tuttavia, in questo disturbo di personalità, non sembra esistere una specificità per l’alcool. Per alcuni autori, infatti, il DPAS sarebbe maggiormente rappresentato negli abusatori di cocaina rispetto agli abusatori di alcool (44). In ogni caso, gli individui con DPAS sono concentrati tra gli abusatori, e in particolare tra gli abusatori di alcool, anche se ne rappresentano una minoranza. In altre parole gli abusatori di alcool sono concentrati tra gli individui con DPAS in misura molto minore di quanto questi non siano concentrati tra gli abusatori di alcool.

Gli alcolisti antisociali rientrano nella categoria dell’alcolismo tipo II, ossia il quadro tipico di individui di sesso maschile, caratterizzato da esordio precoce dell’abuso e rapido sviluppo della dipendenza, tratti antisociali che riconoscono familiarità e scarso insight (54).

La dimensione Novelty-Seeking, che come il DPAS si associa frequentemente all’abuso di sostanze, è apparsa in grado di discriminare gli abusatori antisociali rispetto ai non antisociali. Negli abusatori di alcool, la dimensione Novelty-Seeking correla con il tipo II, che è il quadro clinico di alcolismo più specificamente associato al DPAS. Tra DPAS e dimensione Novelty-Seeking sembrerebbe così esservi un certo margine di sovrapposizione, oltre che una convergenza, relativamente all’uso problematico di sostanze (55). Gli aspetti tipici del DPAS appaiono correlati all’abuso alcolico anche al di fuori della categoria diagnostica del DSM: in uno studio compiuto su utilizzatori di alcool con quantità e patterns variabili, è emersa una correlazione diretta con il grado di ipoforia e inversa con la docilità e i livelli di ansia (56).

Tra le sostanze diverse dall’alcool che sono oggetto di abuso in individui con DPAS sono inclusi gli oppiacei. Il DPAS rappresenta un fattore di rischio per l’uso di oppiacei in soggetti già abusatori d’alcool. Infatti in soggetti passati dall’alcolismo all’uso di oppiacei o all’uso misto di alcool e oppiacei, è stato dimostrato che la maggior parte di essi aveva una diagnosi di DPAS. Gli alcolisti senza diagnosi di DPAS sembrano meno predisposti al passaggio agli oppiacei. In più la frequenza di uso di oppiacei senza uso precedente o contemporaneo di alcool in soggetti con DPAS è bassa (minore del 10%). Diventa perciò difficile stabilire il rischio per l’uso di oppiacei associato al DPAS in assenza di alcolismo (50).

Nella maggior parte degli studi l’associazione tra Disturbo da Uso di Sostanze e DPAS passano per la presenza del Disturbo della Condotta nell’infanzia-adolescenza che può essere considerato, quindi, equivalente del DPAS prima dei 18 anni (48,53). Il rischio di tossicodipendenza associato al Disturbo della Condotta dimostra una sostanziale sovrapposizione con i risultati relativi al DPAS, con l’aggiunta, per il Disturbo della Condotta, di un rischio significativo anche per abuso di nicotina e cannabinoidi, oltre che per l’alcool (53). Il Disturbo della Condotta rappresenta un predittore di DPAS (57) ed è comunque predittore di uso di sostanze in età adulta.

Studi sulla familiarità dell’alcolismo mostrano come gli alcolisti con familiarità per alcolismo abbiano una maggiore prevalenza di tratti antisociali (49,54). La familiarità per alcolismo appare indipendente dalla familiarità per DPAS, ovvero la familiarità per alcolismo corretta per la familiarità per DPAS è sempre significativa. I figli di alcolisti mostrano un quadro di personalità che più spesso comprende i seguenti tratti: iperattività e disturbo da deficit dell’attenzione; impulsività e aggressività; labilità emozionale; socializzazione di gruppo; deficit cognitivi; deficit dell’espressione verbale con alexitimia; deficit di astrazione; tratti antisociali (49).

La self-medication hypothesis del Disturbo da Uso di Sostanze

La dipendenza si manifesta con un sentimento di desiderio, il craving, che comprende una componente positiva, la ricerca dell’effetto piacevole, e una componente negativa, l’ansia anticipatoria dei sintomi dell’astinenza o gli stessi sintomi in atto. Nella condizione di post-tossicodipendenza-detossificazione rimane comunque una dipendenza, tradizionalmente definita psichica, che esprime la sola componente positiva, l’unica rimasta dopo la detossificazione che ha eliminato la dipendenza fisica, corrispondente alla componente negativa.

In questa fase quindi la ricerca non è legata all’astinenza fisica, o primaria, ma a un substrato psicopatologico residuo alla detossificazione, che sostiene la più duratura e resistente astinenza secondaria. Si può ipotizzare che questo residuo non sia altro che il riemergere dello stato psichico anteriore all’inizio dell’abuso, cioè il terreno su cui si è sviluppata la dipendenza. In altre parole, lo stato psichico che definisce l’astinenza secondaria è una condizione analoga a quella preesistente all’inizio dell’abuso, che ricompare dopo la sua cessazione.

L’astinenza secondaria sarebbe un disturbo psicopatologico diagnosticato in un particolare contesto, la dipendenza da sostanze, e da questo mascherato al momento della diagnosi (56,58,59). La dipendenza sarebbe una complicanza di tale disturbo primario. Il craving, che si manifesta in assenza della sostanza fonte di gratificazione, esisterebbe virtualmente anche prima del contatto con la sostanza, senza che questa ne sia ancora l’oggetto. Esisterebbe cioè un disagio psichico rispetto al quale la sostanza non ancora sperimentata ha un virtuale effetto terapico. Il contatto con la sostanza è l’evento con cui l’individuo predisposto apprende le proprietà autoterapiche della stessa nei confronti del proprio disagio psichico.

Khantzian (60) ha formulato un’ipotesi autoterapica (self-medication hypothesis) del Disturbo da Uso di Sostanze, con particolare riferimento all’eroina e alla cocaina. Egli propone che “gli specifici effetti psicotropi di queste sostanze interagiscano con disturbi psichici e stati di sofferenza emotiva in modo da renderle compulsivamente necessarie per individui suscettibili”. Gli individui selezionano autonomamente le diverse sostanze sulla base dell’organizzazione di personalità e degli squilibri della sua struttura.

In uno studio controllato farmaco versus placebo, in un gruppo di eroinomani trattati con doxepina (©Sinequam), è stata riportata una significativa riduzione del craving. Questo fatto ha suggerito che quel gruppo di pazienti fosse affetto da depressione ansiosa, e che, quando la depressione andava in remissione per effetto del trattamento, si verificasse una corrispondente riduzione dell’abuso di sostanze (61). Esistono anche una serie di evidenze cliniche su individui dipendenti da psicostimolanti, ipnotico-sedativi e oppiacei, che suggeriscono come essi tentino di curare una sottostante psicopatologia, e come il Disturbo da Uso di Sostanze risponda al trattamento con appropriati psicofarmaci contro sindromi target quali per esempio fobia e depressione. Rounsaville et al., sono stati i primi a concludere che i loro risultati erano concordanti con le teorie cliniche di Khantzian e Wurmser, cioè che i tossicodipendenti depressi usavano gli oppiacei nel tentativo di realizzare un’autoterapia contro uno stato di malessere psichico intollerabile (62).

Quindi, piuttosto che la ricerca di evasione, euforia o autodistruzione, i tossicodipendenti cercherebbero una terapia per una serie di problemi psichici e stati emotivi che sono fonte di disagio. Nonostante questo tentativo sia alla fine destinato a naufragare, dati il rischio e le complicanze a lungo termine, queste sostanze li aiutano a gestire gli stati emotivi stressanti e una realtà altrimenti vissuta come non gestibile e soverchiante.

Silvestrini (63) afferma, a proposito della interpretazione della tossicodipendenza come secondaria a un disturbo psichico: “quello che più interessa non è tanto di stabilire se la malattia mentale sia la conseguenza o la causa dell’abuso, quanto piuttosto riaffermare un dato di grande rilevanza pratica, oltre che teorica: la tossicomania ha spesso un’importanza del tutto secondaria rispetto al fenomeno … della malattia mentale che l’accompagna”. Il substrato psicopatologico si rivela più importante della sua complicanza da un lato, sul piano etiopatogenetico, in termini di prevenzione; dall’altro, sul piano terapeutico, come problema che, residuo alla disintossicazione, è da essa riportato alla luce e continua ad agire da fattore predisponente alle recidive.

Il ruolo degli effetti soggettivi: la self-selection hypothesis

Nella formulazione della self-medication hypothesis Khantzian introduce già il concetto di specificità dell’effetto autoterapico, sia in relazione alla struttura di personalità dell’assuntore, che alle proprietà farmacodinamiche della sostanza.

In una delle tante definizioni utilizzate il temperamento è stato definito come “modo di essere, pensare, reagire alle circostanze e verso gli altri, rispondere ai farmaci e quindi anche alle droghe” (63).

Gli effetti delle droghe potrebbero dipendere sia dalle proprietà intrinseche delle stesse, sia dalla reattività dell’assuntore. Gli effetti sono in altre parole definiti dalla coppia sostanza-individuo; alcuni individui diventano dipendenti dagli effetti piacevoli di una sostanza, mentre altri non li provano, per un diverso substrato di personalità, e non diventano dipendenti.

La sostanza da cui l’individuo finisce per dipendere non è scelta a caso: nonostante i tossicodipendenti siano spesso poliabusatori, la maggior parte preferisce una sostanza (60). Questo fenomeno è stato anche definito “fenomeno di scelta della droga”, o “uso preferenziale di sostanze” e da Khantzian (60) “processo di auto-selezione”.

Considerando ad esempio gli psicostimolanti, alcuni suggeriscono che le proprietà energizzanti di queste sostanze sono dipendentogene perché aiutano a superare la stanchezza e la sensazione di svuotamento associati agli stati depressivi. In altri casi l’uso di psicostimolanti potenzia l’autostima e la capacità di imporsi, la tolleranza alla frustrazione e allontana i sentimenti di noia e la sensazione di vuoto. Alcuni individui inoltre usano la cocaina per sostenere uno stile di vita iperattivo in modo da garantirsi una assoluta autosufficienza.

Per Khantzian la memoria che i tossicodipendenti hanno delle loro esperienze soggettive con la cocaina è esemplificativa di come questi provino disagio nei confronti di esperienze emotive intense e soggioganti, e di disturbi del comportamento; e di come l’uso della droga di elezione li aiuti, a breve termine, a contrastare questo disagio.

Studiando le diversità degli effetti soggettivi della cocaina, soggetti che hanno sperimentato paranoia come reazione alla cocaina riportano un punteggio decisamente più deviante nella Perceptual Aberration Scale e nella Magic Ideation Scale, due misure di riferimento per valutare la tendenza psicotica. L’esperienza paranoica non è prodotta dal semplice superamento di un certo limite di dose assunta, ma piuttosto riflette una predisposizione alla paranoia cocainica relativamente a cui gli individui differiscono (64).

Sono stati studiati i fattori genetici e ambientali che influenzano gli effetti soggettivi della marijuana e la relazione tra effetti soggettivi e uso. Sono state definite due tipologie di effetti soggettivi: la prima consiste in una reazione negativa alla marijuana, caratterizzata da sensazioni quali confusione, sospettosità e agitazione; la seconda comprende effetti piacevoli quali creatività, euforia, energia, socievolezza. Le tipologie identificate correlano con i livelli di uso nel senso previsto intuitivamente: se l’individuo prova benessere dopo aver assunto marijuana, probabilmente la riassumerà; al contrario, se gli effetti sono stati spiacevoli, la ripetizione dell’esperienza sarà meno probabile. Gli effetti soggettivi della marijuana sono correlati con l’effetto rinforzante, che condiziona il livello di consumo (65,66). Soggetti che hanno provato la marijuana senza continuare l’uso descrivevano l’intossicazione acuta da marijuana come meno piacevole rispetto ai soggetti che continuano ad usarla (66). In definitiva vi è una correlazione tra positività degli effetti, ripetizione dell’assunzione e livelli di uso.

Simili ricerche sull’uso di alcool hanno messo in evidenza che differenze individuali in termini di effetti soggettivi si associano con diversi livelli di consumo di alcool. In un contesto sperimentale, i soggetti che mostrano di scegliere l’alcool con una netta preferenza riportano un punteggio maggiore riferito al vigore e all’allegria alcool-indotti; al contrario, soggetti che scelgono con altrettanta decisione la bevanda placebo riportano un punteggio più basso in riferimento agli stessi parametri. Differenze soggettive influenzano dunque il consumo (67).

Sensation-seeking-behaviour e patologia della gratificazione. Carenza o eccesso?

In un crescente numero di soggetti, nell’ambito adolescenziale e giovanile, vanno manifestandosi comportamenti e atteggiamenti che sono orientati alla ricerca di novità e sensazioni forti. Se da un lato la ricerca di sensazioni è uno dei bisogni primari e una delle caratteristiche tipiche dell’adolescenza normale, dall’altro in questi ultimi anni una percentuale elevata della popolazione giovanile sembra essere polarizzata, in particolare durante il tempo libero, verso esperienze estreme, rischiose, spesso autodistruttive, a scapito della possibilità di fruizione del quotidiano e delle sue consuete gratificazioni. Sentimenti negativi come la noia o la sensazione di vuoto possono spingere a cercare stimoli nuovi in avventure pericolose, quali relazioni sessuali a rischio, esperienze ad elevato impatto emozionale e comportamenti trasgressivi. L’eccesso e lo stordimento possono essere la soluzione per soffocare questi sentimenti. Zuckermann (68) sostiene che la ricerca di sensazioni forti è disponibile alle esperienze più diverse e che per certe persone quest’attività diventa un bisogno legato alla personalità. Allo stesso modo Cloninger (69,70) individua tra le possibili condizioni temperamentali l’atteggiamento Novelty-Seeking.

Secondo Zuckermann (68,71) il tratto di personalità sensation-seeking è interpretabile nei termini dell’esistenza di differenze individuali nel funzionamento del sistema di arousal, in particolare del suo livello basale di attività e del suo livello di reattività. Esisterebbe un livello ottimale di arousal corrispondente a un livello ottimale di gratificazione “tonica”, sotto il quale nascerebbe il comportamento sensation-seeking quale risposta adattativa del soggetto alla perdita del tono gratificante, quindi una risposta funzionale alla riconquista di tale tono. In una rielaborazione della sua stessa teoria, Zuckermann (68) precisa che l’evento fondamentale della dinamica sensation-seeking è l’intensità dello stimolo ricercato. L’intensità rappresenta il negativo della vera e propria base del sensation-seeking behaviour, cioè l’intensità della carenza di gratificazione.

È stata rilevata un’associazione tra sensation-seeking-behaviour e recettore D4 per la dopamina, suggerendo così da una parte il carattere costituzionale del tratto, dall’altra la correlazione tra sensation-seeking e sistema dopaminergico della gratificazione (72). La dimensione personologica Novelty-Seeking di Cloninger, analoga al sensation-seeking-behaviour, appare correlata con il livello di attività del sistema dopaminergico. In individui con tratti Novelty-Seeking la risposta dopaminergica appare amplificata, da un lato come aumentata risposta secretiva del GH alla somministrazione di bromocriptina, dall’altra come aumentata inibizione dopaminergica sulla secrezione di prolattina (73).

È stato proposto anche un ruolo della carenza di oppiodi endogeni nella genesi del comportamento sensation-seeking, che si configurerebbe come droga non-farmacologica per contrastare flessioni affettive in senso distimico (74,75).

Il tratto sensation-seeking è stato annoverato tra una serie di markers personologici di rischio per l’abuso di sostanze. La dimensione Novelty Seeking, esplorata con il Tridimensional Personality Questionnaire (TPQ), è risultata predittiva di uso di sostanze, nonché in grado di discriminare gli abusatori dai non abusatori e identificare soggetti con inizio precoce delle condotte di abuso (55). Gli altri markers sono non-conformismo, scarso autocontrollo, scarso punteggio in Harm Avoidance, maggiore autonomia, intolleranza alla carenza di gratificazione (76). Al di fuori del suddetto quadro, il sensation-seeking behaviour può essere riconosciuto come aspetto dei temperamenti affettivi ipertimico e ciclotimico. Si può speculare che esso abbia un carattere di congruità rispetto al versante espansivo, e che l’esposizione a esperienze “stimolanti” abbia la sua base in una risposta di gratificazione iperintensa nei soggetti bipolari, durante le fasi di ipertimia, tale da comportare un rinforzo positivo particolarmente condizionante. È altresì possibile che, nelle fasi ipoforiche, la memoria della gratificazione sostenga, con un condizionamento prioritario, i comportamenti sensation-seeking, stavolta in senso correttivo rispetto a una carenza di gratificazione.

La Psicologia dell’addiction: evoluzione dei modelli teorici

Le prime interpretazioni della dinamica della dipendenza da sostanze psicoattive fanno riferimento a un substrato narcisistico, nei termini dell’orientamento verso il sé come fonte di gratificazione. Dal narcisismo trarrebbe origine uno sviluppo patologico dell’io, caratterizzato da un’evoluzione regressiva e una successiva fissazione in uno stadio di oralità. A questo modello di adattamento autoplastico al conflitto si richiamano la teoria di Glover (77), incentrata sulla regressione, e la farmacotimia di Rado (78).

Glover riconosceva la natura dell’alcolismo in una dinamica regressiva di fuga dal mondo reale verso il rifugio in un mondo di fantasia. La linea di evoluzione dell’alcolista verso il maladattamento iniziava con la frustrazione sul piano delle relazioni oggettuali, che indirizzava la ricerca della gratificazione verso il sé. Questa deviazione narcisistica dello sviluppo dell’io si fissa attraverso la serie ripetitiva delle assunzioni di alcool. A sostenere la dipendenza interviene poi un circolo vizioso tra comportamento autolesivo configurato dall’assunzione, feedback negativo ricevuto dall’ambiente e nuova prospettiva autolesiva che prelude a una nuova assunzione. Ad ogni assunzione si riconfigura la stessa dinamica di fuga maladattativa.

La farmacotimia è un termine proposto da Rado per indicare un disturbo specifico configurato dalla dipendenza da sostanze, il cui carattere cruciale è un substrato definito “tolleranza all’euforia”. La modalità patogenetica prevede un primo stadio, in cui la sostanza psicoattiva agisce da regolatrice del substrato psichico scompensato in senso anti-euforico (depressivo) e un secondo stadio “a circolo vizioso” in cui il feedback negativo dell’ambiente va a rinnovare e rinforzare tale scompenso. Per quanto riguarda la natura della farmacotimia, anche Rado riconosce per il disagio psichico di base una derivazione narcisistica.

La teoria farmacotimica è riconsiderata con un diverso approccio descrittivo da Tiebout (79). L’elemento caratteristico della descrizione di Tiebout dell’alcolismo è la barriera, quale strumento inconscio di risposta difensiva ad uno stato di disagio psichico caratterizzato da senso di vuoto, di vulnerabilità e ansia panica. Mentre nei non-alcolisti le barriere sono parziali e rappresentano un meccanismo adattativo, nel futuro alcolista le barriere sono più forti in risposta ad un substrato psichico patologico, e fondano così una condizione di disadattamento (patologia della protezione del sé). L’assunzione di alcool genera energia e senso di pienezza in opposizione al vuoto, potenza invece di vulnerabilità e sicurezza e spinta vitale invece di paralisi ansiosa. L’alcool è uno strumento di sfida alla barriera, e rappresenta una manifestazione del disadattamento psichico di base, analogamente alla descrizione di Rado. L’implicazione terapeutica è l’abbattimento della barriera al fine di permettere l’identificazione dell’alcool quale fonte di danno. Tale abbattimento si realizza con la presa di coscienza indotta dal terapeuta dell’esistenza della barriera, della sua natura difensiva, del disagio sotteso e del ruolo epifenomenico dell’assunzione di alcool.

Più tardi Krystal e Raskin (80) affermeranno che i tossicomani soffrono di una carenza nella cura del sé e nella gestione di emozioni verso di sé e gli altri a causa dell’esistenza di difese rigide e massicce, espresse da comportamenti quali l’allontanamento e la negazione.

Negli stessi anni altri Autori si riferiscono al narcisismo e alle altre forme di psicopatologia come stati che inducono la comparsa di sintomatologia ansiosa allorquando gli individui si confrontano in maniera anticipatoria con i ruoli adulti (81,82).

Rispetto alle prime teorie, un ruolo meglio definito è riconosciuto al sé e minore importanza è attribuita all’oggetto della dipendenza in quanto tale (ego-psychology vs. id-psychology). Inoltre l’attenzione a questo punto si sposta decisamente dai concetti di spinta e conflitto al concetto più ampio e integrato di struttura dell’ego e regolazione della vita emotiva, del comportamento e della capacità adattativa alla realtà.

La linea interpretativa dell’uso problematico di sostanze basata sulla preesistenza di una condizione psicopatologica è stata riconfermata nell’era “epidemica” della storia delle dipendenze, iniziata negli anni ’70, dai lavori di Wurmser (83) e Khantzian (84).

In linea con l’inquadramento dell’alcolismo di Glover e Rado,Wurmser considera la dipendenza in generale come un disturbo narcisistico. La patogenesi riconosce quindi le fasi di fallimento delle relazioni oggettuali, l’investimento nel sé di un’emotività ipertrofica in reazione a uno stato di vuoto, la regressione affettiva realizzata attraverso l’uso di sostanze. L’uso di sostanze configura secondo Wurmser una dinamica di autodifesa affettiva, in sintonia con il punto di vista di Tiebout. L’aspetto innovativo della visione di Wurmser e Khantzian sta nell’attribuire alle sostanze un ruolo progressivo, nel senso di anti-regressivo, di compensatorio rispetto alla regressione associata al disagio psichico.

Il concetto di autoterapia, già anticipato anche da Kohut (85), viene più tardi reso esplicito con la self-medication hypothesis of addictive disorders di Khantzian. Khantzian pone l’accento sulla funzione compensatoria dell’uso di sostanze; inquadra la tossicomania come patologia della protezione del sé; e definisce le sostanze come rimpiazzi per le carenze della struttura psichica. La genesi psicodinamica di tali carenze è fatta risalire ancora una volta ad uno scompenso narcisistico nelle relazioni oggettuali. Khantzian inoltre sottolinea l’importanza del problema delle recidive per la comprensione della patogenesi dell’addiction e la definizione degli obbiettivi terapeutici (60). Secondo il principio di coerenza tra natura della malattia e approccio terapeutico, il trattamento deve essere volto a estinguere la vulnerabilità persistente del tossicomane all’uso di droghe.

Un corollario della teoria autoterapica è l’ipotesi dell’autoselezione (già uso preferenziale per Milkmann e Frosch, fenomeno di elezione della droga di Wieder e Kaplan), che asserisce una correlazione specifica tra natura della sostanza e substrato psicopatologico che la rende appetibile come strumento di automedicazione. In termini psicodinamici è stato affermato che la scelta della droga è espressione dello stile difensivo preferito (86-88).

Negli anni ’70 le teorie psicanalitiche in generale subiscono una rielaborazione in linea con le crescenti conoscenze sulla farmacodinamica delle sostanze d’abuso: nella Letteratura del periodo si sostiene che la dipendenza sia indotta da una combinazione di disagio affettivo di origine ambientale, difetti nella struttura psichica e azione dipendentogena delle sostanze.

Una lettura diversa, ma non incompatibile, del maladattamento dell’alcolista come patologia del rapporto tra sé e ambiente è fornita dal behaviorismo, secondo cui l’uso di sostanze è risultato di una patologia della capacità di gestire le situazioni difficili. L’apprendimento di strategie corrette sarebbe la chiave terapeutica per riprogrammare la strategia disadattativa di gestione dei problemi. L’esposizione al problema come condizione a rischio di soluzione disadattativa è anticipata, in modo che il terapeuta e il soggetto collaborino rispettivamente nel concepire e mettere in atto strategie risolutive corrette (89).

Le recenti acquisizioni sulla biologia del rinforzo, della dipendenza e della tolleranza hanno messo in discussione la validità della teoria autoterapica, nonostante lo stesso Khantzian abbia proposto un modello biopsicologico integrato, ispirato alla dinamica autoterapica, secondo cui le sostanze agiscono da modulatori biologici degli stati di sofferenza psichica alla base della loro assunzione, assumendo così il ruolo di farmaci problematici. Tuttavia, la proprietà di alcune sostanze di indurre craving e rinforzo positivo sul comportamento di ricerca e assunzione non sembra necessariamente legata ad effetti soggettivi specifici, vissuti come correzione di stati di disagio psichico, né a un generico effetto euforizzante. L’effetto ansiolitico del diazepam in soggetti ansiosi non si associa a autosomministrazione di dosi crescenti. La teoria autoterapica secondo cui il disturbo d’ansia è la base psicopatologica che predispone coerentemente alla dipendenza da ansiolitici non risulta quindi confermata. In studi in cieco sulla preferenza farmacologica in soggetti sani è risultato che i soggetti scelgono microdosi di cocaina vs placebo in assenza di effetto soggettivo euforizzante, che appare così non necessario per la comparsa del rinforzo (90). In altre parole, il rapporto tra funzione psichica e uso di sostanze psicotrope può prescindere dagli effetti soggettivi, in alternativa a quanto proposto da Khantzian nella self-selection hypothesis (60,89,91).

Tossicodipendenza e spettro bipolare

Il PISA-SIA (Study and Intervention on Addictions) Group operante presso il Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie dell’Università di Pisa) ha elaborato negli anni, sulla base dei propri dati di ricerca, una teoria che vede nella bipolarità un rischio di tossicodipendenza, non solo da eroina.

La presenza di una comorbidità psichiatrica influenza l’inizio, il decorso clinico, la compliance al trattamento e la prognosi del “Disturbo da Uso di Sostanze” (91-94). In generale si può affermare che in circa il 50-60% dei tossicodipendenti è possibile ritrovare una comorbidità psichiatrica (Disturbi dell’Umore, Disturbi d’Ansia, Psicosi, Alcolismo, Aggressività, Disturbi di Personalità e Malattie Psicosomatiche) (95-97). La comorbidità più frequente è certamente quella per disturbi dell’umore.

Nei tossicodipendenti da eroina vari Disturbi dell’Umore possono essere ritrovati in circa un terzo dei pazienti (98-104,10). La prevalenza lifetime è invece compresa fra il 60 ed il 90% (105-108); la copresenza di disturbi di personalità antisociale e borderline è molto alta (109-114,37). La prevalenza di un episodio depressivo di moderata o elevata gravità è compresa fra il 30 ed il 48% con una prevalenza lifetime che sfiora il 60% (10,37,101). Un episodio depressivo si verifica in circa il 25% dei pazienti dopo un programma di disintossicazione a breve termine (115) e nel 62% dopo il disimpegno dal trattamento di Mantenimento Metadonico. Nelle Comunità Terapeutiche italiane la frequenza è circa del 30% (116). Soggetti in trattamento metadonico mostrano una prevalenza lifetime di Depressione Maggiore fra il 48 ed il 70%; un episodio indice può essere diagnosticato nel 17-23% dei casi; la frequenza è più elevata nei soggetti che chiedono di entrare in trattamento rispetto a quelli non trattati (34% vs 14%) (117-132,37,48,84,108,113).

Per quanto riguarda il versante espansivo la frequenza di episodi maniacali è molto rara. Uno stato ipomaniacale può essere ritrovato in circa lo 0,9% della popolazione di tossicomani investigati (113). Nella storia clinica dei pazienti, tuttavia, manifestazioni ipomaniacali possono essere ritrovate in circa il 7% (133,134). La bassa incidenza dei quadri espansivi contrasta con gli effetti euforizzanti degli oppiacei e con il surplus di endorfine ritrovato negli stati maniacali. È stata anche dimostrata un’azione antimaniacale del naloxone, che è inefficace nei pazienti depressi (135).

Una domanda che sorge spontanea è la seguente: si può considerare veramente la tossicodipendenza come una forma di perversa autoterapia? Gli oppiacei potrebbero non indurre depressione, ma anzi potrebbero alleviare i sintomi depressivi. Qualcuno ha addirittura ipotizzato che i tossicodipendenti da eroina siano dei potenziali depressi che si autocurano con l’assunzione della sostanza, dando vita alla cosiddetta ipotesi endorfinergica della Distimia (136-138,37,88,113,133). La sostanza non sarebbe, dunque, assunta per avere qualcosa di positivo, ma per bilanciare qualcosa di negativo (la sofferenza). L’autoterapia sarebbe però perversa, in quanto molto simile alla situazione del soggetto diabetico che cerca istintivamente cibi ricchi di zucchero. E come il diabetico finisce in coma, il depresso si procura una vera e propria tossicodipendenza.

Gli studi compiuti dal PISA-SIA Group spingerebbero a considerare una possibilità alternativa: tossicodipendenti lo diventerebbero i soggetti in cui può essere posta diagnosi di spettro bipolare, in quanto più inclini ai comportamenti a rischio, fra i quali si può considerare l’incontro con le sostanze di abuso.

Dai dati raccolti presso il PISA-Methadone Maintenance Treatment Program dal 1993 al 1999 è stato possibile evidenziare come 52 pazienti su 97 non presentino comorbidità psichiatrica. Le diagnosi maggiormente rappresentate sono Disturbo Bipolare I (55,6%), Disturbi Depressivi non Bipolari (13,4%), Disturbi Psicotici (11,2%). Un 20% di soggetti risulta affetto da concomitante Dipendenza da Alcool e Dipendenza da BDZ. Queste due condizioni sono annoverate nella doppia diagnosi perché spesso sono conseguenti a “Disturbo Bipolare” o “Disturbo di Panico”. La forte incidenza di disturbi bipolari dipende dal reclutamento del campione con doppia diagnosi, operato in maniera clinica ed in ambiente psichiatrico (139). Tuttavia questi dati sono in accordo con la tendenza, registrata in Letteratura, a dimostrare un alto tasso di abuso di sostanze nei pazienti bipolari (140-142,133). Nei dati del Pisa-MMTP per i pazienti con Disturbi Bipolari (7/25; 28%), disturbi psicotici (2/6; 33%) e con altre diagnosi (1/9; 11%) bisogna considerare diagnosi aggiuntive fino ad un terzo livello di comorbidità.

Dal 1988 al 1992 il PISA-SIA Group ha inserito pazienti nel Pisa-Naltrexone Maintenance Treatment Program (143). 51 pazienti su 78 non mostrano comorbidità psichiatrica. Le diagnosi maggiormente rappresentate sono Disturbo Bipolare II (51,8%), Depressione Maggiore, Episodio Singolo (26,9%). La Diagnosi di Depressione Maggiore Ricorrente è scarsamente rappresentata. In più gli episodi singoli non permettono di escludere che il paziente possa essere nel futuro diagnosticato come Bipolare I o Bipolare II.

Il tipo di programma utilizzato nella terapia della dipendenza, riflette anche la severità del disturbo dell’umore. I pazienti bipolari I sarebbero pazienti fortemente compromessi anche sul piano della dipendenza tanto da dover essere inseriti in un programma di mantenimento metadonico. I pazienti bipolari II sono meno gravi sul piano psichiatrico, e sul piano della dipendenza, dal momento che sono stati trattati con naltrexone. Un programma di mantenimento con naltrexone è infatti idoneo per la terapia di soggetti che non hanno una grande dipendenza da eroina e nei quali il craving per la sostanza è moderato (144-146).

Alla luce di questi risultati la diagnosi di depressione maggiore ricorrente potrebbe non essere la diagnosi maggiormente rappresentata negli eroinomani. L’uso di sostanze oppiacee potrebbe non essere una sorta di perversa autoterapia. Potrebbe esserci un link fra disturbo bipolare e dipendenza: il disturbo bipolare sarebbe un fattore di rischio per l’esposizione alle sostanze di abuso. In altre parole, l’addiction sarebbe il risultato di un comportamento a rischio, che è un sintomo frequente nel disturbo bipolare. I soggetti bipolari, infatti, spesso hanno comportamenti antisociali, promiscuità sessuale, discontrollo degli impulsi. Il contatto con i narcotici sarebbe, in questi soggetti, più facile.

Di supporto a questa ipotesi sarebbe il ritrovare una tendenza all’abuso di sostanze in tutto lo spettro bipolare; non solo, quindi, nei pazienti bipolari I e II, ma anche nei temperamenti affettivi che rappresentano essi stessi una tendenza alla bipolarità. Infine anche caratteristiche di personalità correlabili allo spettro bipolare come le dimensioni comportamentali individuate da Cloninger, dovrebbero rappresentare un fattore di rischio per l’abuso di sostanze in una popolazione non clinica. Questo stesso fenomeno (bipolarità e rischio di abuso di sostanze), infine, dovrebbe verificarsi con altre sostanze di abuso come i cannabinoidi e gli stimolanti.

In soggetti tossicodipendenti senza disturbi dell’umore è possibile evidenziare la presenza di temperamento affettivo (143).

In uno studio di confronto fra tossicodipendenti da eroina e controlli a rischio valutati con la TEMPS-A (scheda per la rilevazione in autovalutazione dei temperamenti affettivi secondo Akiskal & Mallya) è stato possibile rilevare una differenza significativa sia nella scala del temperamento ciclotimico che in quella dell’irritabile. I tossicodipendenti, in media, rispondono affermativamente a 8/17 domande (47,05%) contro le 6/17 (35,29%) dei controlli nella scala della ciclotimia. Ancora più significative appaiono le differenze nella scala del temperamento irritabile dove i tossicodipendenti rispondono affermativamente a 4 domande su 8 (50%), mentre i controlli a 3/8 pari al 37,5% della scala. I tossicodipendenti, rispetto ai controlli, rispondono ad un numero maggiore di domande nelle scale del temperamento ciclotimico ed irritabile e quindi mostrano tratti ciclotimici-irritabili più marcati che non i controlli. Quando si considerino i temperamenti estremi, e quindi la diagnosi di temperamento affettivo, le differenze si mantengono solo per quanto riguarda il temperamento irritabile (147). Anche in autovalutazione si confermerebbe dunque la tendenza già notata in eterovalutazione alla presenza di una quota maggiore di temperamenti affettivi nei tossicodipendenti.

In un campione di 1010 soggetti tratti da una popolazione non clinica e valutati con la TEMPS-I di Akiskal e Mallya e con una scheda di autovalutazione per l’abuso di alcool e altre sostanze è stato osservato un significativo rischio di abuso di alcool ed altre sostanze nei soggetti con temperamento ipertimico ed irritabile (Maremmani, dati non pubblicati). La probabilità di abuso di alcool è maggiore quanto più i soggetti ottengono un punteggio elevato nella scala del temperamento ipertimico. Soggetti con temperamento dominante ipertimico mostrano un maggior rischio di abuso di alcool quando paragonati con soggetti a temperamento dominante depressivo, ciclotimico o irritabile. Per temperamento dominante si intende quel temperamento in cui il soggetto maggiormente si discosta dalla media delle risposte date dal campione stesso. Anche i soggetti con un comportamento irritabile estremo mostrano un maggior rischio di abuso di alcolici. Il temperamento estremo è quello in cui il soggetto ottiene valori superiori alla seconda deviazione standard del campione.

In questi 1010 soggetti i temperamenti affettivi non sembrano condizionare l’uso di sostanze di tipo stupefacente, ma occorre tenere presente che i dati sono stati raccolti in una popolazione non clinica e che i soggetti con disturbi psichiatrici maggiori sono stati esclusi dall’indagine.

Sempre negli stessi 1010 soggetti, valutando le caratteristiche temperamentali con il test TPQ di Cloninger il rischio di abuso di alcool e altre sostanze è massimo per i soggetti Novelty Seeking e Harm Avoidant (Maremmani, dati non pubblicati).

Il fenomeno fin qui descritto è riproducibile anche per altre sostanze di abuso come i cannabinoidi (148). I sintomi psicopatologici e i raggruppamenti diagnostici (Affettivi e Schizofrenici) sono stati confrontati in 66 pazienti ospedalizzati con psicosi cronica, con uso corrente o pregresso di cannabinoidi e 45 pazienti psicotici non abusatori, utilizzati come controlli. Gli utilizzatori di cannabinoidi mostravano minore insensibilità affettiva, maggiore violenza ed appartenevano maggiormente alla cluster affettiva con diagnosi più frequenti di disturbo bipolare, fase espansiva, fase depressiva e stato misto). Coerentemente ai dati riportati per l’eroina, l’uso di cannabinoidi è più probabile nei pazienti bipolari che non negli schizofrenici. In più anche per i pazienti che hanno fatto uso di cannabinoidi in passato la diagnosi più frequente è quella di bipolare. I soggetti bipolari, dunque, continuano ad abusare di cannabinoidi con maggior frequenza dei soggetti schizofrenici anche dopo l’esordio del quadro psicotico.

Anche pazienti fobici sociali abusano di alcool se affetti da disturbo bipolare di tipo II ad indicare, anche per l’alcol, il rapporto fra disturbo bipolare e abuso di sostanze (149).

Un’ulteriore conferma ai rapporti fra disturbo bipolare e comportamenti a rischio è data da uno studio sui rapporti fra infezione da HIV e disturbo bipolare (150). I soggetti a maggior rischio di HIV sono, generalmente, gli omosessuali maschi e gli utilizzatori di droghe per via endovenosa. Tuttavia l’infezione si diffonde anche fra gli eterosessuali. 46 pazienti sieropositivi, con un episodio depressivo maggiore, sono stati paragonati con pazienti sieronegativi con un episodio depressivo maggiore, tipizzando i pazienti per i sottotipi bipolari. I pazienti sieropositivi mostrano un più alto tasso di familiarità per abuso di alcool ed altre sostanze e un maggiore tasso di disturbo bipolare II nell’arco della vita (78%), con associati temperamento ciclotimico (52%) e temperamento ipertimico (35%). Il tutto senza una relazione con i motivi della sieropositività (utilizzatore di sostanze i.v., omosessuale, altri gruppi a rischio). Provocatoriamente questo studio prospetta che tratti ciclotimici e ipertimici premorbosi possano avere condizionato comportamenti a rischio (scambio di siringhe, promiscuità sessuale) che hanno portato alla sieropositività.

Da quanto riportato in Letteratura e dai risultati dei nostri studi è dunque possibile enunciare l’ipotesi che la bipolarità sia un fattore di “rischio” per comportamenti a rischio. Infatti i temperamenti affettivi, sia nella loro forma dominante che in quella estrema, rappresentano un fattore di rischio per l’abuso di sostanze, in popolazioni non cliniche, mentre il disturbo bipolare I e II rappresenta la doppia diagnosi più frequente sia per gli eroinomani che per gli utilizzatori di cannabinoidi. Infine caratteristiche di temperamento ciclotimico ed irritabile differenziano gli eroinomani dai controlli.

L’ulteriore affascinante ipotesi che ne deriva è che, a livello genetico, la stessa matrice sottenda il disturbo bipolare, la sociopatia e l’abuso di sostanze.

Conclusioni

Questione controversa nello studio della psicologia dell’addiction è l’esistenza di una personalità tossicofilica, intesa come personalità predittiva di futuro disturbo da uso di sostanze, cioè profilo a rischio per la dipendenza, in maniera specifica e distinta da altri quadri personopatici. Gli studi condotti per verificare questa ipotesi, inizialmente formulata da Felix, hanno finora preso in considerazione quasi sempre campioni di soggetti che già presentavano un disturbo da uso di sostanze, in cui si è tentato di definire la personalità pre-tossica dall’analisi della prevalenza di sintomi o raggruppamenti sintomatologici (27,56). Le reviews effettuate sulla personalità pre-alcolica (56,91,151) e pre-tossica con particolare riferimento agli oppiacei (12,56,152), hanno concluso che non risultano fattori personologici specifici di una personalità pre-tossica, né tantomeno può essere inferito, per i tratti riscontrati con maggiore concordanza, un rapporto di rischio che supporti l’ipotesi della tossicofilia.

Non è quindi confermata l’ipotesi di una personalità incentrata dalla tossicofilia, ma è invece accertato che alcune diagnosi di disturbo di personalità secondo il DSM III, IIIR e IV sono “concentrate nella popolazione di soggetti con disturbi da uso di sostanze”. I quadri di disturbi di personalità che ricorrono nei tossicomani comprendono sintomi o clusters sintomatologici analoghi a quelli individuati in precedenza con altri strumenti, quali ad esempio il MMPI.

A questo punto affermiamo che il concetto di personalità tossicofilica deve essere necessariamente articolato secondo i diversi stadi della storia tossicomanica: contatto con la sostanza; abuso; addiction. È necessario quindi distinguere i fattori personologici che predispongono al contatto con le sostanze psicoattive, quelli che predispongono all’abuso delle stesse, e infine i fattori che determinano o favoriscono l’instaurasi di un quadro di addiction.

In secondo luogo, le associazioni degli elementi personologici con gli aspetti clinici dell’uso devono essere definite in maniera specifica relativamente alle singole sostanze, poiché, al di là del potere d’abuso e dal rischio di dipendenza condiviso da diverse sostanze psicoattive, il rapporto con il substrato di personalità non può non essere diversificato in rapporto alle diversità qualitative delle loro proprietà psicotrope.

Bibliografia

Corrispondenza: dott. Matteo Pacini, Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia, Biotecnologie, Clinica Psichiatrica, Università di Pisa – Tel. 050 835409 – Fax 050 21581.

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