Il disturbo da dismorfismo corporeo: revisione critica della letteratura

Body dysmorphic disorder: a critical review

S. Bellino, E. Paradiso, M. Zizza, C. Zanon, M. Fulcheri*, F. Bogetto

Struttura Complessa di Psichiatria, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Torino; * Cattedra di Psicologia Clinica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Torino

Key words: Somatoform disorders • Body dysmorphic disorder • Antidepressants • Psychotherapy
Correspondence: Dr. Silvio Bellino, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Torino, via Cherasco 11, 10126 Torino, Italy – Tel. +39 011 6634848 – Fax +39 011 673473 – E-mail: silvio.bellino@unito.it

Introduzione

Il disturbo da dismorfismo corporeo è classificato nel DSM-IV-TR (1) nel capitolo dei disturbi somatoformi, ossia quei disturbi in cui le manifestazioni sintomatiche prendono la forma di disfunzioni o alterazioni somatiche, senza che sia possibile evidenziare una corrispondente lesione organica e in presenza di elementi che fanno supporre l’esistenza di meccanismi patogenetici di tipo psichico.

In particolare, il disturbo da dismorfismo corporeo si contraddistingue per la preoccupazione molto pronunciata del soggetto rispetto a un difetto dell’aspetto fisico, che non trova riscontro in una reale deformità o è chiaramente sproporzionato rispetto a difetti di lieve entità. La caratterizzazione psicopatologica e clinica di questo disturbo pare tuttora oggetto di un numero limitato di studi rispetto alla crescente rilevanza che esso assume soprattutto in rapporto alla diffusione di interventi di chirurgia correttiva estetica. In questo lavoro ci proponiamo di esaminare la letteratura recente su questo argomento, con lo scopo di delineare i risultati raggiunti, gli attuali orientamenti della ricerca e le principali questioni aperte che richiedono di essere indagate e approfondite.

La trattazione di questo argomento deve essere preceduta da alcune note introduttive sulle teorie psicosomatiche e sullo studio dei rapporti che intercorrono fra fenomeni psicopatologici e manifestazioni morbose di tipo somatico. Tali concetti rappresentano, infatti, il presupposto fondamentale su cui si basa l’inquadramento nosografico e la descrizione clinica dei disturbi somatoformi.

La psicosomatica

La trattazione del rapporto mente-corpo è un tema complesso, poiché il corpo è spesso veicolo di messaggi profondi di natura psichica e le condizioni di salute fisica possono frequentemente tradursi in un malessere (o benessere) psichico.

Il termine “psicosomatico” (dal greco psyché, anima, e soma, corpo) è stato tradizionalmente usato per riferirsi ad una serie di malattie organiche nelle quali si riconosce un ruolo eziopatogenetico di fattori mentali, quali esperienze emozionali stressanti, fattori di personalità o condizioni conflittuali sul piano psicologico (2).

La medicina psicosomatica sottolinea l’unità fra mente e corpo e l’interazione tra di essi. In generale l’assunto è che i fattori psicologici siano rilevanti in varie misure nella patogenesi di tutte le malattie.

L’American Psychiatric Association definisce come psicosomatico “tutto ciò che fa riferimento a una costante e inseparabile interazione della psiche (mente) e del soma (corpo)” (1).

La distinzione tra psiche e soma è un problema interno al pensiero filosofico occidentale e il concetto di psicosomatica risulta superfluo in altri contesti culturali, come ad esempio la tradizione orientale, in cui sono considerate basilari l’unitarietà e l’armonia dell’uomo e non predominano né la mente né il corpo.

A cominciare dalle teorie di Platone (428-327 a.C.) si delinea una separazione e una gerarchia tra mente e corpo con una svalutazione di quest’ultimo che viene ripresa e pienamente definita dal pensiero dicotomico cartesiano attraverso la distinzione tra res cogitans, entità che gode della posizione privilegiata conferita alle idee e alle emozioni per cui si adatta con difficoltà alle qualifiche, e res extensa, che è invece passibile di controllo obiettivo e dominio da parte della percezione e della sensorialità. Solo nel XIX secolo, con il positivismo e il materialismo, l’unità dell’essere umano viene nuovamente messa in luce (3). L’esigenza di individuare un più stretto rapporto di connessione tra fenomeni psichici e fenomeni somatici trova espressione nello sviluppo del concetto di psicosomatica.

Il primo ad introdurre il termine “psicosomatico” è nel 1818 Heinroth, che ritiene che le passioni sessuali esercitino un’influenza su malattie come la tubercolosi, l’epilessia e il cancro. Nel 1922 l’organicista Jacobi indica invece con il termine “somatopsichico” alcune malattie in cui lo stato psichico è modificato dal fattore somatico.

Sebbene il termine psicosomatica in sé non sia reperibile nelle opere dei grandi medici del XIX secolo, in molti loro scritti il concetto è chiaramente presente. Nel libro “The physiology of mind” (4), Maudsley scrive: “Se l’emozione non si libera …, essa si ritorce sugli organi, alterandone il funzionamento”.

I disturbi di carattere psicosomatico, inoltre, sono stati fin dall’inizio oggetto di studio della psicoanalisi, che si è sviluppata a partire dall’osservazione clinica e dall’interpretazione dei sintomi somatici dell’isteria e delle nevrosi attuali. Dallo studio dell’isteria, Freud (5) elabora uno dei primi modelli di interpretazione della correlazione tra psiche e soma, basato sul primo meccanismo di difesa individuato, la conversione. Alcuni affetti inesprimibili, “controllati” in una zona psichica non accessibile allo stato di coscienza attraverso la “rimozione”, non potendo trovare una scarica immediata e adeguata, sono costretti a prendere una direzione diversa, trovando deflusso nell’innervazione somatica motoria e sensoriale attraverso il meccanismo della conversione. Negli studi di Freud la stessa relazione psiche-soma si evidenzia anche nelle nevrosi attuali, caratterizzate da uno stato di angoscia che si esprime soprattutto attraverso il corpo. Il sintomo non è espressione somatica di una conflittualità psichica, ma mostra assenza di capacità di mentalizzazione e si costituisce come equivalente somatico di un’ansia indifferenziata.

La medicina psicosomatica si sviluppa nel secondo dopoguerra con la aspirazione a definire un nuovo corpo della medicina, pertinente a un gruppo di malattie con una chiara correlazione tra un fattore psichico e il disturbo somatico. Si delinea così, soprattutto negli Stati Uniti, una corrente nosografica che raccoglie un gruppo di patologie “specificamente psicosomatiche” tra cui l’asma bronchiale, l’ulcera peptica, l’artrite reumatoide, l’ipertensione arteriosa e altre.

Dunbar è un pioniere nella ricerca in questo campo, e nei suoi lavori (6) si propone di istituire un collegamento tra profili di personalità e malattie psicosomatiche servendosi di questionari, test proiettivi e scale psicometriche.

Nel 1952 Alexander, Schur e Benedekt della Scuola di Chicago approfondiscono il lavoro di Dunbar ed elaborano, per quanto concerne la specificità delle malattie psicosomatiche maggiori, un sistema coerente che istituisce un parallelismo tra conflitti intrapsichici specifici (in termini psicoanalitici) ed alterazioni fisiologiche.

Secondo Alexander (7) le malattie psicosomatiche derivano da innervazioni anomale, legate ad un’alterata distribuzione del sistema neurovegetativo, il quale induce alla lotta o alla fuga in situazioni conflittuali (ergotropia di W.R. Hess) o durante il riposo (tropotropia di W.R. Hess). Pertanto, in caso di atteggiamenti cronici di rivalità, aggressività, ostilità, il sistema simpatico noradrenergico è sottoposto a eccitazione cronica. Per esempio, il soggetto che soffre di ipertensione essenziale è un individuo continuamente sottoposto alla pressione di emozioni represse, dell’aggressività e della competitività e vive in un regime di eccitazione noradrenergico. Quando le tendenze di attacco e fuga sono bloccate, ne deriva uno sconvolgimento neurovegetativo interno che rischia di cronicizzare sviluppando la patologia psicosomatica.

La ricerca sui meccanismi della malattia psicosomatica si è sviluppata qualche anno dopo anche in Europa con la scuola francese di Marty, De M’Uzan, David e Fain (8), che elabora le sue concezioni partendo dall’osservazione che i malati psicosomatici sono caratterizzati da una struttura di personalità diversa da quella dei nevrotici e caratteristicamente deficitaria nella formazione dell’Io. Nei pazienti psicosomatici sono carenti i contenuti fantasmatici e simbolici del mondo interiore e sono presenti maggiormente i contenuti di tipo concreto del pensiero “operativo”, orientati al fine di iperadattarsi all’ambiente (pensée opératoire). La regressione presente nei malati psicosomatici è una regressione dell’Io ad un livello difensivo primitivo, con forti tendenze autoaggressive e autodistruttive messe in relazione con l’istinto di morte. Tale fissazione a un livello narcisistico e a una fusione soggetto-oggetto rende impossibile ogni vero rapporto oggettuale. Il soggetto si identifica totalmente con l’oggetto e sperimenta l’Altro come una duplicazione proiettiva di se stesso. Il pensiero operazionale attaccato al concreto e l’orientamento pragmatico non gli permettono quindi di accedere al pensiero simbolico.

In seguito, gli studiosi americani Nemiah e Sifneos (9) elaborano il concetto di alessitimia (da: a, ‘senza’, lexis, ‘parole’, e thymos, ‘cuore, affettività’, ossia ‘mancanza di parole per dare un nome ai propri stati affettivi’) a partire dall’osservazione di pazienti con malattie psicosomatiche. Con questo termine vengono identificate una serie di caratteristiche cognitive e affettive che comprendono la spiccata difficoltà del soggetto ad identificare ed esprimere verbalmente i propri sentimenti, la ridotta capacità di creare fantasie e rievocare le esperienze oniriche, la mancanza di introspezione e l’eccessiva preoccupazione per i dettagli riguardanti i propri sintomi somatici.

In Italia gli studi di psicosomatica sono stati sviluppati da vari autori fra cui Levi (10), F. Antonelli (11) e P. Pancheri (12). In particolare, Pancheri propone un modello a genesi multifattoriale in cui i fattori emozionali occupano un posto di primo piano. Secondo questo autore, il sistema cognitivo, parzialmente condizionato da fattori genetici, ma plasmato anche dalle esperienze precedenti, filtra, seleziona, valuta e interpreta gli stimoli che danno avvio a una reazione emozionale che si manifesta attraverso l’attuazione del programma comportamentale e di quello biologico. Vari fattori ambientali possono produrre una modificazione nello stile di risposta emozionale e possono condizionare un terreno biologico predisposto allo sviluppo di particolari gruppi di malattie (13).

In sintesi, dai lavori di questi autori emergono i principali postulati della medicina psicosomatica nelle sue attuali concettualizzazioni:

• il rifiuto della divisione concettuale mente-corpo;

• un metodo di approccio all’anamnesi, alla diagnosi e alla terapia di tipo olistico, che sposta il pensiero medico scientifico dal sistema eziologico di tipo lineare causa-effetto a un sistema multifattoriale dove numerosi fattori, tra cui quelli di ordine psicosociale, giocano un ruolo fondamentale in un equilibrio dinamico;

• l’atto medico, di conseguenza, deve non solo considerare fondamentale il trattamento della malattia, ma anche prendersi cura delle conseguenze affettive ed emozionali degli stati morbosi (2).

La fisionomia della psicosomatica attuale sembra configurarsi come una medicina di liaison, di congiunzione tra le altre discipline medico-chirurgiche e la psichiatria e può fornire una chiave di lettura unitaria in un universo di discipline specializzate.

Tuttavia, il concetto di medicina psicosomatica e la definizione operativa di questa disciplina comportano alcuni aspetti problematici.

Nel DSM-IV (14) l’American Psychiatric Association propone un inquadramento dei fenomeni psicosomatici al di fuori della classificazione in cinque Assi, nella sezione “Altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica” e ciò trova giustificazione nel fatto che questa categoria non costituisce un disturbo mentale, un’entità ben caratterizzata e distinta. I suoi rapporti irrisolti con la psichiatria sono comprensibili. Come sottolinea Pancheri (15), questa materia “ha basi e confini piuttosto mal definiti“. Al confine con la psichiatria, rischia di essere una categoria limitata al ‘somatogeno’, rivelandosi di scarso interesse per la speculazione psicopatologica. Al confine con la medicina interna, d’altro canto, rischia di essere una categoria riservata a quei disturbi fisici per cui non si trova una spiegazione somatica plausibile. Resta inoltre da dimostrare come dal conflitto psichico si passi allo sviluppo della malattia fisica. La difficoltà innanzitutto epistemologica di chiarire i meccanismi che mettono in relazione vissuto psichico e alterazioni somatiche ha portato ad un certo scetticismo verso questo genere di modelli da parte dell’ambiente medico clinico.

Secondo l’attuale impostazione nosografica del DSM-IV-TR (1), la presenza di sintomi somatici in primo piano nel quadro clinico può essere inquadrata in diverse categorie:

I. patologie psichiatriche in cui i sintomi somatici sono dei semplici correlati (ad esempio, disturbo di panico o disturbo d’ansia generalizzato);

II. patologie somatiche per le quali esiste una precisa diagnosi, in cui i sintomi psicologici sono secondari alla condizione medica (malattie endocrine, come ipertiroidismo o ipercorticosurrenalismo e le condizioni opposte, dove le alterazioni ormonali sono contemporaneamente responsabili di sintomi somatici e psichici, malattie neurologiche e malattie autoimmuni);

III. patologie somatiche in cui i fattori psicologici giocano un ruolo nella comparsa, decorso o esito (sindrome del colon irritabile, ulcera peptica, angina pectoris e altre);

IV. patologie in cui coesistono sintomi di sofferenza psicologica e fisica senza malattia organica diagnosticabile. È il caso dei disturbi somatoformi, di cui tratteremo approfonditamente nel corso di questo lavoro.

I disturbi somatoformi

I disturbi somatoformi occupano una posizione particolare rispetto all’area della psicosomatica.

Si tratta di disturbi caratterizzati da una sintomatologia somatica in cui non sono riconoscibili lesioni anatomiche o alterazioni fisiopatologiche di sufficiente gravità da giustificare l’importanza dei sintomi e la compromissione funzionale che ne deriva.

Su questa base e sulla correlazione temporale fra comparsa o aggravamento dei sintomi somatici e intervento di fattori stressanti di una certa entità, si fonda l’ipotesi che tali disturbi siano dovuti a un disagio o a un conflitto di natura psichica che il soggetto esprime a livello degli organi corporei.

L’eziologia psichica di tale fenomeno viene meglio compresa considerando che, fin dalla nascita e dalle relazioni precoci, il corpo è il tramite fra l’Io e il mondo esterno, importante mezzo di comunicazione. Nei disturbi somatoformi, il corpo diventa il veicolo privilegiato o esclusivo per trasferire messaggi di dolore psichico, dimostrando come il linguaggio corporeo non solo partecipi alle emozioni, ma possa anche sostituirle.

Nella diagnosi differenziale dei disturbi somatoformi devono essere accuratamente escluse le condizioni mediche non psichiatriche che possano spiegare i sintomi del paziente. Almeno il 50% dei disturbi di somatizzazione presenta una concomitante comorbilità psichiatrica (16). Bisogna inoltre ricordare che la depressione maggiore, il disturbo d’ansia generalizzata e la stessa schizofrenia possono inizialmente manifestarsi con sintomi focalizzati su lamentele somatiche destinati ad assumere un ruolo di secondo piano con il pieno sviluppo del quadro psicopatologico. Il paziente con disturbo di panico lamenta numerosi sintomi somatici, che però sono correlati agli attacchi di panico e regrediscono negli intervalli. Questi disturbi devono inoltre essere differenziati dal disturbo fittizio, in cui i sintomi fisici sono prodotti intenzionalmente dal paziente, se pure con carattere di obbligatorietà, pur nella conoscenza dei rischi connessi, al fine di assumere il ruolo di malato, e dalla simulazione, nella quale il paziente produce i sintomi volontariamente per conseguire uno scopo esterno, facilmente identificabile in base alle circostanze ambientali (esenzione dall’obbligo militare, di lavoro, risarcimento finanziario ecc.).

Una sezione specificamente dedicata ai criteri diagnostici per i disturbi somatoformi è stata introdotta nella terza edizione del DSM (17). L’organizzazione del DSM-III e i concetti di base che ispirano la classificazione dei disturbi somatoformi sono stati mantenuti con piccole modifiche nel DSM-IV (14), in cui è riportata la seguente definizione: “disturbi mentali che hanno come caratteristica comune la presenza di sintomi fisici che fanno pensare ad una condizione medica generale, da cui il termine somatoforme, e che non sono invece giustificati da una condizione medica generale, dagli effetti diretti di una sostanza o da un altro disturbo mentale (ad esempio il disturbo di panico). I sintomi devono causare significativo disagio o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o in altre aree”.

Il manuale accomuna in questa sezione quadri clinici definiti come:

1. disturbo di somatizzazione (o Sindrome di Briquet);

2. disturbo somatoforme indifferenziato;

3. disturbo di conversione;

4. disturbo algico;

5. ipocondria;

6. disturbo da dismorfismo corporeo;

7. disturbo somatoforme Non Altrimenti Specificato.

Le principali caratteristiche di ognuno di questi disturbi sono riassunte nella Tabella I.

Sul piano clinico, i disturbi somatoformi sono accomunati dalla presenza di lamentele soggettive multiple e ricorrenti circa sintomi fisici per i quali non si evidenzia una base organica. Da questa caratteristica deriva da un lato la peculiarità della storia naturale di queste malattie, che è segnata da numerose consultazioni mediche, esami di laboratorio e strumentali, talvolta interventi chirurgici inappropriati, dall’altro un’importante compromissione del funzionamento sociale e lavorativo dell’individuo. Molto spesso il paziente si rivolge al medico di medicina generale, che deve affrontare una diagnosi differenziale talora complessa e che lo invia alla consulenza psichiatrica soltanto in un momento successivo.

All’interno della categoria diagnostica dei disturbi somatoformi sono raggruppati disturbi e condizioni cliniche con diverso nucleo psicopatologico e appare opportuno distinguere almeno due gruppi: da un lato possiamo collocare il disturbo di somatizzazione, il disturbo di conversione e il disturbo algico, riconducibili ai disturbi somatici tradizionalmente inseriti nella psiconevrosi isterica; dall’altro possiamo considerare l’ipocondria ed il disturbo da dismorfismo corporeo, più vicini sul piano psicopatologico al disturbo ossessivo-compulsivo.

Disturbi somatoformi riconducibili alla psiconevrosi isterica

Questi disturbi sono ricondotti all’area tradizionalmente occupata dalla psiconevrosi isterica innanzitutto perché ai sintomi somatici che li contraddistinguono si tende a riconoscere un significato simbolico.

Il termine isteria, infatti, è utilizzato per indicare fenomeni ad alta valenza simbolica e comunicativa di bisogni e desideri insoddisfatti, in cui il sintomo può essere considerato come il linguaggio disadattativo che esprime un disagio psichico profondo.

Nel disturbo di somatizzazione, forse il più significativo per gravità e intensità del quadro clinico, i sintomi sono multipli e si riferiscono all’apparato gastrointestinale, a quello sessuale e al sistema nervoso, associati spesso a comorbilità di Asse I (disturbo di panico, depressione maggiore) e ad abuso di farmaci analgesici e ansiolitici.

Nel disturbo di conversione, i sintomi sono pseudoneurologici e possono essere caratterizzati da crisi pseudoconvulsive come quelle descritte da Charcot nella “grande crisi isterica” (arco isterico), oppure da deficit sensitivi e/o motori localizzati.

Nel disturbo algico, invece, il sintomo principale è il dolore variamente localizzato e invalidante, così intenso da richiamare l’attenzione del medico. Le sedi corporee prevalentemente colpite nelle sindromi dolorose verosimilmente condizionate o indotte da fattori psichici sono: il cavo orale (Burning Mouth Syndrome), la zona lombare, il nervo ischiatico, la pelvi, la testa e le articolazioni.

Disturbi somatoformi non assimilabili a manifestazioni dell’isteria

L’ipocondria e il disturbo da dismorfismo corporeo (DDC) non si associano a manifestazioni di tipo isterico e sembrano appartenere a un’area psicopatologica differente. In questi disturbi, infatti, l’aspetto preminente è un disturbo del pensiero, che si caratterizza di volta in volta per la presenza di idee ossessive, prevalenti o deliranti. Janet (18) e Kraepelin (19) hanno infatti descritto l’ipocondria come una variante della paranoia e la dismorfofobia come una forma della nevrosi ossessiva. Più recentemente Munro (20) ha incluso il DDC nel quadro della psicosi ipocondriaca monosintomatica.

Per ipocondria intendiamo una sindrome clinica caratterizzata da un’intensa preoccupazione o dalla convinzione di avere una grave malattia, basate sull’erronea interpretazione di sintomi o disfunzioni fisiche anche lievi. Il paziente è così spinto a richiedere continui accertamenti diagnostici che non sono però sufficienti, se non temporaneamente, a rassicurarlo circa la natura dei propri sintomi.

Nel DDC è invece presente la preoccupazione di avere un difetto e/o una deformazione del proprio aspetto fisico; il difetto o la deformità non sono realmente presenti o, quando lo sono, c’è comunque una netta sproporzione fra il dato oggettivo e il vissuto soggettivo. A differenza di quanto avviene nell’ipocondria, quindi, la preoccupazione è circoscritta ad una parte del corpo e non riguarda il proprio stato di salute, bensì è di carattere puramente estetico.

Alla base di questi due disturbi vi è un particolare assetto psicopatologico: la preoccupazione, presente in entrambi, assume a volte i caratteri di ruminazione mentale tipica dell’ossessione, in quanto pensiero persistente o ricorrente nella mente del soggetto, incoercibile, egodistonico, che “assedia” la mente del paziente e ne compromette il funzionamento globale. Il paziente avverte il pensiero come intrusivo, mantiene un atteggiamento critico nei suoi confronti e cerca di opporre resistenza, ma spesso invano. Soprattutto per il DDC possono poi manifestarsi veri e propri rituali di controllo della propria immagine, che diventano compulsioni a tutti gli effetti, ossia comportamenti intenzionali e ripetitivi tesi a ridurre l’ansia ed il disagio esperiti dal soggetto, ma inefficaci e fonte a loro volta di un senso di coercizione e incontrollabilità. Alla luce di quanto detto, alcuni autori, fra cui Hollander (21), tendono ad avvicinare questi disturbi al disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Secondo Fallon et al. (22), la relazione tra questi disturbi e il DOC è testimoniata anche da probabili analogie nel substrato biologico, messe in evidenza dalla responsività ad analoghi presidi farmacologici.

In altri casi il pensiero assume connotazioni di un’idea delirante, avvicinando le manifestazioni di questo disturbo a quelle del disturbo delirante. Questo avviene quando il paziente perde la capacità di critica generalmente presente verso la propria preoccupazione; sono state quindi identificate forme di ipocondria che rientrano nella “psicosi ipocondriaca monosintomatica” (23) (24) e varianti di DDC definite “con scarso insight”.

L’ipocondria e la dismorfofobia si distinguono dai disturbi somatoformi di tipo isterico anche dal punto di vista epidemiologico poiché si presentano con frequenza sovrapponibile nei due sessi (25).

Il disturbo da dismorfismo corporeo (DDC)

Il termine “disturbo da dismorfismo corporeo” deriva dalla parola greca dismorfia che significa bruttezza, in particolare del volto.

Nel 1891 Morselli (26) lo descrive per la prima volta, coniando il termine di dismorfofobia per indicare una ‘sensazione soggettiva di deformità o di difetto fisico, per la quale il paziente ritiene di essere notato dagli altri, nonostante il suo aspetto rientri nei limiti della norma’.

Negli anni successivi, Janet (18), che impiega l’allocuzione di “obsession de la hontu de corps” (ossessione della vergogna del corpo), e Kraepelin (19) sottolineano le caratteristiche egodistoniche di alcune forme dismorfofobiche e le considerano come appartenenti alla nevrosi ossessiva; tuttavia, come ha osservato Jaspers (27), le preoccupazioni del paziente possono assumere di volta in volta i connotati di un’ossessione, di un’idea prevalente o di un delirio secondario (21) (28).

Il DDC è stato riconosciuto come categoria diagnostica distinta dalla comunità scientifica internazionale nel 1980, quando è stato inserito nella terza edizione del DSM (17). Poiché il termine dismorfofobia presentava il rischio di enfatizzare troppo gli aspetti di evitamento fobico, il termine è stato cambiato in ‘disturbo da dismorfismo corporeo’ nel DSM-III-R (29).

Negli anni successivi la ricerca si è interessata in modo crescente a questo disturbo e, nonostante molti aspetti restino ancora da chiarire, le conoscenze circa le caratteristiche cliniche, la comorbilità e il trattamento del DDC sono progressivamente aumentate.

Nel DSM-IV (14) e nel DSM-IV-TR (1), la caratteristica essenziale di questo disturbo è individuata nella preoccupazione eccessiva ed immotivata per un difetto dell’aspetto fisico. Tale difetto può essere immaginario, oppure l’importanza che il soggetto gli conferisce e la preoccupazione che ne deriva sono di gran lunga sproporzionati alla sua gravità. La preoccupazione non deve essere riconducibile ad altri disturbi mentali, ad esempio deve essere differenziata dall’insoddisfazione riguardante il proprio corpo come si evidenzia nell’anoressia nervosa. Questa preoccupazione occupa gran parte del tempo del paziente, causando disagio e compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre importanti aree funzionali.

I criteri diagnostici secondo il DSM-IV-TR(1) sono riassunti nella Tabella II.

Caratteristiche epidemiologiche

Il DDC è una condizione scarsamente studiata dal punto di vista epidemiologico e molti Autori ritengono che il DDC sia sottodiagnosticato, a causa dell’assetto cognitivo dei pazienti dismorfofobici, che nascondono i loro sintomi e sono spesso riluttanti a rivolgersi ad uno psichiatra mentre consultano più facilmente altri specialisti quali dermatologi o chirurghi plastici (30) (31).

I tassi di prevalenza riportati in letteratura variano considerevolmente (32). Cotterill (33) ha rilevato una prevalenza dell’1% nella popolazione generale statunitense. Altri lavori hanno confermato che nella popolazione generale la prevalenza oscilla tra lo 0,7 e l’1,1% (34) (35); la maggior parte dei pazienti risulta non coniugata (25) (33) (36).

Un recente studio condotto su una popolazione di studenti universitari (37) ha rilevato una prevalenza di DDC del 5,3%. Questi valori sembrano essere considerevolmente più alti tra i pazienti dermatologici e della chirurgia plastica (fino all’11,9%) (38) e psichiatrici (tra il 5 e il 40%) (1). Nei pazienti ospedalizzati, la prevalenza riscontrata è del 13% (39).

Al momento della diagnosi molti pazienti affermano che non avrebbero mai parlato della loro preoccupazione con il medico, se non fosse stato loro esplicitamente richiesto, a causa della vergogna che provavano per il loro difetto. Questo dato conferma la necessità, già sottolineata da Phillips (40), che il medico ponga, nel corso di un’intervista clinica, domande dirette a indagare l’eventuale presenza di tali sintomi.

Per quanto riguarda le differenze di genere, alcuni Autori riportano una maggior incidenza nel sesso maschile (41), altri uguali tassi nei due sessi (25) (42), altri ancora evidenziano una maggiore incidenza nella popolazione femminile (43)-(45). In alcuni casi, le divergenze nei risultati possono essere spiegate da bias di selezione del campione (25), criteri di inclusione/esclusione adottati per lo studio (45) (46) e livelli di gravità del disturbo riportati (25). In un campione di pazienti che si rivolge volontariamente allo psichiatra, o con criteri d’inclusione comprendenti la preoccupazione per le fattezze corporee in generale o il peso e includendo le forme più lievi di DDC, è probabile riscontrare maggiori tassi nel sesso femminile (32). Sono state evidenziate comunque differenze di genere circa l’area corporea su cui è incentrata la preoccupazione: mentre nella donna c’è una maggiore focalizzazione su petto, fianchi, peso corporeo e gambe, nell’uomo l’attenzione è maggiormente rivolta a genitali, altezza, massa muscolare e capelli (25) (47). Questo può riflettere convinzioni radicate nella nostra cultura e sottolinea l’influenza che le norme culturali e i valori della società contemporanea possono avere sulle manifestazioni sintomatiche del DDC.

Fattori di rischio e predisponenti

Il fattore di rischio più rilevante per il DDC è rappresentato dall’insoddisfazione verso la propria immagine corporea, più importante di un aspetto fisico poco attraente (48)-(50).

Il DDC è infatti un disturbo dell’immagine corporea (51) che presenta due aspetti psicopatogenetici essenziali: uno percettivo, che correla con l’accuratezza nel giudicare le fattezze corporee e uno comportamentale e affettivo, che riflette gli atteggiamenti che si hanno verso il proprio corpo (52). Nel DDC, il disturbo della percezione dell’immagine corporea è testimoniato dall’assenza di un difetto fisico reale o evidente; le alterazioni comportamentali e i sentimenti verso il proprio corpo si riflettono nel disagio e nella compromissione funzionale del paziente, che si traducono in sintomi sul piano affettivo, comportamentale e cognitivo (32).

Sono stati chiamati in causa come fattori predisponenti background familiari ‘disarmonici’ (53) ed esperienze infantili che producono nell’individuo la sensazione di non essere amato, insicurezza, senso di rifiuto (54) (55).

Ladee (53) ha postulato l’importanza di figure genitoriali troppo esigenti nei confronti dei figli o di una “estrema ed ambivalente dipendenza da uno dei genitori, generalmente la madre, per cui la bellezza era importante” e che quindi “applicava questo criterio di valutazione al bambino”. Alcuni individui spesso si confrontano segretamente con i fratelli, che invidiano, e con cui i genitori li confrontano a loro volta (55) (56).

Quadro clinico

La caratteristica essenziale di questo disturbo è la preoccupazione per un difetto nell’aspetto fisico. Tale difetto può essere immaginario, oppure, se presente, l’importanza che il soggetto gli conferisce e la preoccupazione che ne deriva risultano di gran lunga sproporzionati (57) (58).

La caratteristica fondamentale del disturbo, quindi, non è una fobia, ma un disturbo dell’immagine corporea; la paura del difetto fisico in sé non sussiste, le deformità e la bruttezza sono perfettamente tollerate negli altri e il paziente è preoccupato esclusivamente dei propri difetti, più o meno presunti (59).

Nella maggior parte dei casi, le preoccupazioni riguardano difetti inesistenti o minimi del viso e del capo, come la forma del volto, la distribuzione dei capelli, la presenza di rughe, acne o altre imperfezioni cutanee (40), ma può essere coinvolta qualsiasi parte del corpo (41) (60) come il petto, l’addome, le cosce e i genitali (46) (51). Il difetto percepito dal paziente può inoltre essere specifico, come un naso ‘a patata’, oppure vago, come avere la faccia ‘cascante’ o sentirsi ‘brutto in generale’ (1) (41) oppure bizzarro e difficile da comprendere, come un naso ‘buffo e raggrinzito’ (61), ‘la cute sotto gli occhi che si congiunge al naso in un modo strano’ (62).

Col passare del tempo, molti pazienti si preoccupano per un numero crescente di difetti, con un valore medio di 4 contemporaneamente presenti (63) e la regione corporea oggetto di preoccupazione può cambiare nel corso del disturbo.

Nella Tabella III è indicata la localizzazione dei presunti difetti secondo uno studio condotto su 30 pazienti da Phillips et al. (63).

Gran parte dei soggetti sperimenta grave disagio per la supposta deformità, descrivendo le preoccupazioni come intensamente dolorose, tormentose o devastanti. Alcuni di essi trovano le preoccupazioni difficili da controllare e fanno pochi o nessun tentativo per resistervi. Come conseguenza, essi spesso passano molte ore al giorno a pensare al loro difetto e a controllarlo, al punto che tali preoccupazioni possono divenire particolarmente invasive assumendo caratteristiche ossessivo-compulsive (30) (64).

Questi soggetti manifestano spesso la preoccupazione di essere osservati e hanno difficoltà a parlare con gli altri per il timore di risultare sgradevoli o per la paura che il proprio difetto venga notato; ciò li può condurre a comportamenti rivolti a camuffare le presunte deformità nascondendole con il trucco, gli occhiali, i capelli, le mani e con particolari posture del corpo (31).

Il livello di funzionamento di questi individui è variabile. Un recente lavoro di Phillips (65), usando la (BDD-YBOCS)*, una scala semistrutturata che è un adattamento per il DDC della YBOCS per il disturbo ossessivo-compulsivo, ha dimostrato una significativa riduzione dello stato di salute mentale e conseguentemente della qualità di vita di questi pazienti.

Questi pazienti presentano alti tassi di ospedalizzazione psichiatrica, ideazione suicidiaria e tentativi anticonservativi. In alcune casistiche (66) (67) emerge che più della metà dei pazienti con DDC sono stati ricoverati presso un reparto psichiatrico e il 30% ha tentato il suicidio. Questa percentuale risulta abbastanza costante nei vari studi condotti (36) (46) (68) (69).

Molti pazienti presentano un funzionamento sociale limitato e mettono in atto comportamenti finalizzati ad evitare di esporsi completamente in pubblico; inoltre, in alcuni casi i sentimenti di vergogna e la paura di essere rifiutati portano all’isolamento e al ritiro sociale (66) (67). L’imbarazzo per il proprio difetto può condurre il paziente ad evitare gli individui del sesso opposto, la scuola, il lavoro, gli acquisti e molte altre attività (30). Fino ad un terzo dei pazienti si ritira in casa (70): nello studio di Phillips et al. (63), il 30% dei soggetti si è ritirato nella propria abitazione a causa del disturbo.

Oltre alle condotte di evitamento, un altro sintomo importante nei pazienti con DDC è la presenza di condotte compulsive (presenti nel 90% dei casi (71)), finalizzate ad esaminare, migliorare o nascondere il presunto difetto, attraverso reiterati controlli allo specchio o altre superfici riflettenti, eccessiva cura del proprio aspetto, tendenza a pettinarsi o lavarsi ripetutamente, skin-picking, confronto continuo con l’aspetto altrui, ricerca di rassicurazione o tentativi di convincere gli altri circa il proprio difetto. A questi comportamenti risulta molto difficile opporre resistenza e spesso diventano ripetitivi, occupando gran parte della giornata e interferendo con la vita del paziente.

Sintomi accessori possono essere idee o deliri di riferimento collegati al difetto (73% dei casi) e sensazioni tattili lievi, come di “pelle che tira” (37%) (63).

Sono spesso presenti sintomi depressivi, ansia, sentimenti di vergogna ed è frequente la ricerca di rimedi dermatologici o chirurgici (fino al 50% dei casi) (30) (41) (72), ma senza che questi interventi inducano un significativo miglioramento della sintomatologia. È anzi segnalata una minore soddisfazione per l’esito degli interventi rispetto alla popolazione generale. Come suggeriscono Allen e Hollander (50), i pazienti possono in realtà essere pienamente soddisfatti dei risultati dell’intervento in sé, ma rimangono insoddisfatti del proprio aspetto, perché un difetto nuovo o residuo li getta nello stesso sconforto di prima.

Il DDC ‘con scarso insight’

In una quota dei pazienti affetti da DDC la preoccupazione per l’aspetto fisico tende ad assumere le caratteristiche dell’ideazione delirante, tende cioè a trasformarsi in una convinzione resistente ad ogni tipo di evidenza contraria. Queste forme di DDC sono definite ‘con scarso insight’, dove per insight s’intende la consapevolezza, la capacità del paziente ossessivo di valutare criticamente il contenuto dei propri sintomi, riconoscendolo come assurdo e irragionevole. In questi pazienti i controlli allo specchio non fanno altro che confermare le loro convinzioni, assumendo un carattere ansiogeno.

Nello studio condotto da Phillips su 100 pazienti dismorfofobici (66), 52 mostravano caratteristiche deliranti. Lo stretto legame con la dimensione psicopatologica del delirio è evidente per molti aspetti. È infatti di comune riscontro nei pazienti dismorfofobici la presenza di idee di riferimento secondarie alla preoccupazione/convinzione di avere un difetto fisico, che si esprimono, ad esempio, nell’impressione o nella certezza di essere notati e derisi dalle altre persone. Per questi pazienti, il DSM-IV (14) ed il DSM-IV-TR (1) propongono la diagnosi addizionale di ‘disturbo delirante di tipo somatico’, riconoscendo l’esistenza nello stesso disturbo di una variante psicotica e di una non psicotica.

La ricerca si è indirizzata verso la definizione degli elementi che caratterizzano in questi casi il delirio, prendendo in esame le differenze tra DDC con caratteristiche deliranti e non deliranti. Innanzitutto, le convinzioni del DDC sono state distinte in spunti deliranti e in deliri veri e propri. Uno spunto delirante è un’idea vissuta con ferma convinzione, difficile da contrastare, ma che il paziente è ancora in grado di mettere in discussione (31) (51). Il delirio, invece, è un pensiero patologico, irrealistico (che non trae origine da alcun dato reale, né da un’esperienza concreta) e assolutamente non criticabile. Solo nel secondo caso è corretto considerare la diagnosi doppia di DDC e disturbo delirante di tipo somatico.

Molti autori sottolineano come la doppia diagnosi lasci comunque spazio alla possibilità che le due forme di DDC, delirante e non delirante, siano in realtà un singolo disturbo che comprende gradi diversi di insight, piuttosto che due disturbi distinti. Questa interpretazione è sostenuta dalle fluttuazioni che la preoccupazione circa il difetto corporeo subisce nel tempo in risposta a fattori stressanti, oscillando talvolta tra pensiero delirante e pensiero non delirante (36) (42) (73).

Un confronto effettuato da Phillips et al. (36) tra DDC delirante e non delirante ha inoltre rivelato che le due varianti non differiscono significativamente su gran parte delle variabili come fattori demografici, quadro clinico, storia naturale, comorbilità, anamnesi familiare, risposta al trattamento. Entrambi i gruppi rispondono favorevolmente alla terapia con inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI). Diversi studi, come vedremo, hanno riportato un significativo incremento dell’insight in risposta al trattamento del DDC, soprattutto con SSRI (36) (74). Tuttavia, nelle varianti deliranti si riscontrano una sintomatologia dismorfofobica ed una compromissione funzionale più gravi.

Secondo le indicazioni di Phillips (36), le ricerche future dovranno valutare l’opportunità di definire veri e propri sottotipi, ad esempio con buon insight, con scarso insight, con pensiero delirante (o psicotico). A questo proposito Cororve e Gleaves (32) sostengono che un approccio dimensionale caratterizzato da gradi di insight sembra più accurato rispetto ad un approccio dicotomico o categoriale nella valutazione dei diversi quadri clinici con cui si può presentare il DDC.

Correlati neurobiologici

Gli studi circa gli aspetti neurobiologici del DDC sono in fase iniziale, tuttavia un case report sulla deplezione di triptofano suggerisce il possibile coinvolgimento della serotonina nella patogenesi del disturbo (75). Infatti, una paziente sottoposta a deplezione di questo aminoacido essenziale è andata incontro ad una drammatica esacerbazione dei sintomi dismorfofobici e depressivi. Il ruolo della serotonina sembra confermato dalle analogie tra DDC e disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), come testimoniano i dati epidemiologici, clinici e di risposta al trattamento (36) (76). Anche la dopamina potrebbe essere coinvolta, soprattutto nelle forme ‘con scarso insight’ (40).

Sono stati anche segnalati recentemente alcuni casi in cui l’esordio di DDC è correlato ai postumi di patologie neurologiche con componenti infiammatorie (77) ed è riportato un caso con evidenza di lesioni atrofiche post-infiammatorie dell’area fronto-temporale (78). La presenza di deficit in tale area è stata inoltre osservata in diversi casi di DOC, che come vedremo condivide numerose caratteristiche cliniche e psicopatologiche col DDC (79).

Familiarità

Hollander et al. (41), in una casistica di 50 pazienti con DDC, hanno riscontrato familiarità per disturbi dell’umore e disturbo ossessivo-compulsivo nel 40% circa. Altri studi hanno evidenziato anamnesi familiare positiva per disturbi dell’umore (61) (70) (80)-(82) o schizofrenia (83)-(85). Nonostante questi dati non stabiliscano con precisione un pattern familiare, essi sollevano la questione del legame tra DDC ed altri disturbi di Asse I.

Età d’esordio

Il DDC insorge solitamente durante l’adolescenza, ma sintomi dismorfofobici possono talora essere identificati già durante l’infanzia (1) (76). In uno studio condotto da Phillips su 30 pazienti con DDC (63), l’età media d’esordio è risultata di 14,8 anni. Un secondo picco di esordio si presenta nella menopausa (85) e i casi ad esordio tardivo risultano frequentemente associati ai disturbi dell’umore (63). In media trascorrono più di cinque anni prima che i pazienti arrivino all’osservazione dello psichiatra. L’età media di osservazione è di 33,7 anni (25) (38).

Caratteristiche premorbose

Diversi autori hanno identificato una varietà di tratti di personalità che potrebbero predisporre al disturbo: ossessivo-compulsivi, schizoidi, narcisistici oppure una combinazione di questi (70) (84).

Si tratta di soggetti che vengono descritti con una spiccata tendenza al perfezionismo (70) (80) (86), autocritici (80), insicuri (87), sensibili (61) (80) (82) (84)-(88), timidi o riservati (54) (70) (80) (84) (89) (90), astenici o ipostenici (91). Spesso essi presentano scarsa autostima, ed è loro convinzione che l’unico modo per aumentarla sia migliorare il loro aspetto fisico (43). Il 75% dei pazienti non è mai stato sposato (66).

Comorbilità e rapporti con lo spettro ossessivo-compulsivo (O-C)

Il disturbo depressivo maggiore sembra essere il disturbo più frequentemente associato al DDC, con una prevalenza lifetime superiore all’80% (63) (66) (92), ma alti tassi di comorbilità sono stati riscontrati anche con i disturbi d’ansia, in particolare fobia sociale (11-12%) e DOC (dall’8% al 37%), e con i disturbi da abuso di sostanze (46) (69) (92)-(94).

Inoltre, i pazienti con DDC mostrano spesso comorbilità di Asse II (31) (46). I disturbi di personalità che si riscontrano sono soprattutto quelli appartenenti al Cluster C e includono il disturbo evitante (43%), dipendente (15%), ossessivo-compulsivo e il disturbo paranoide di personalità (14%).

Il disturbo da dismorfismo corporeo è stato spesso considerato un disturbo appartenente allo spettro ossessivo-compulsivo (O-C), sia per i pensieri ossessivi e intrusivi, sia per i comportamenti ripetitivi simili a quelli caratterizzanti i sintomi ossessivi e compulsivi (40).

La tendenza a ricercare concordanze psicopatologiche tra DOC e disturbi che mostrano con esso peculiari affinità trova origine nelle osservazioni di Autori classici. Già Janet (18) sottolineava il carattere ossessivo di un gran numero di fenomeni psicopatologici, tra cui la “obsession de la hontu du corps”, ossia l’attuale DDC, di cui Kraepelin (19) sottolineava il versante compulsivo, definendolo appunto “nevrosi compulsiva”.

I disturbi del continuum O-C sono inseriti nella Tabella IV.

In mancanza di dati a sostegno di una correlazione genetica, alcune delle seguenti caratteristiche suggeriscono di includere il DDC nello spettro O-C.

1. indicatori clinici dello spettro O-C

Analogie tra DDC e DOC si evidenziano nelle caratteristiche epidemiologiche: l’età di insorgenza, compresa tra l’adolescenza e la prima età adulta, il decorso prevalentemente cronico, la distribuzione paritaria tra i sessi, con una lieve preponderanza per il sesso maschile. Alcuni tratti della personalità descritti come O-C, e cioè l’astenia/ipostenia, l’elevata tendenza all’autocritica, l’insicurezza e il perfezionismo, sembra che possano essere fattori premorbosi predisponenti allo sviluppo della dismorfofobia.

Da una parte il DDC appare in comorbilità variabile tra l’8 e il 37% dei casi in pazienti con diagnosi primaria di DOC; dall’altra sono stati descritti gruppi di pazienti con DDC che hanno presentato nel corso della vita manifestazioni di DOC conclamato nel 20-30% dei casi, con studi che segnalano punte di comorbilità longitudinale fino al 78%.

Alcune valutazioni psicometriche hanno messo in evidenza significative concomitanze cliniche tra i due disturbi (63) (92) (95), come è stato rilevato nei punteggi ottenuti alle scale di misurazione per ansia, depressione, ossessività e compulsività e nei profili di personalità.

2. Indicatori psicopatologici

Da un punto di vista psicopatologico, sono soprattutto le analogie nella sintomatologia e nell’approccio terapeutico che suggeriscono l’appartenenza ad uno spettro comune (25) (31) (36) (42) (71).

Le preoccupazioni del DDC sono egodistoniche e possono assumere i caratteri delle ossessioni, in quanto fonti di ansia e disagio persistenti o ricorrenti per parecchie ore al giorno e difficili da tenere sotto controllo (36). L’ideazione può essere così pervasiva che domina i comportamenti ed il funzionamento globale del soggetto.

Anche i mezzi che il paziente adotta per tentare di porre fine ai rituali sono in parte affini a quelli del DOC (44) e includono la necessità di ripetere l’azione fino a raggiungere una sensazione interiore di soddisfazione oppure di rassicurazione, ma per lo più senza riuscirvi e accrescendo al contrario lo stato ansioso.

In entrambi i disturbi sono presenti idee di perfezione, di simmetria, comportamenti ripetitivi di controllo e ricerca di rassicurazione (25).

3. Indicatori biologici

Per quanto riguarda il brain imaging, in letteratura è riportato il caso di un paziente dismorfofobico che presentava alla PET un incremento del flusso ematico nell’area del cingolo, rilievo interessante considerando che riscontri analoghi sono stati effettuati su pazienti con DOC e che la cingolotomia è segnalata come estremo intervento nel DOC refrattario al trattamento. In entrambi i disturbi si è evidenziato il coinvolgimento del sistema serotoninergico e ulteriori conferme sembrano giungere dalle strategie terapeutiche, soprattutto per quel che riguarda l’efficacia degli SSRI (31) (42).

Nonostante queste analogie, sono state evidenziate tra i due disturbi alcune differenze che potrebbero suggerire l’esistenza, alla base del DDC, di più gravi alterazioni psicopatologiche. I pazienti con DDC mostrano infatti un minor grado di insight (66) (67), frequenti spunti deliranti (31), una maggior comorbilità con depressione maggiore, fobia sociale, disturbi psicotici e un più alto tasso di tentativi anticonservativi (31) (96). Tutto ciò ha portato alle seguenti conclusioni:

– il DDC può essere considerato una variante depressiva, psicotica o con fobia sociale di DOC (42);

– il DDC sembra essere più vicino per certi aspetti al disturbo depressivo che al DOC (42);

– nonostante le sovrapposizioni tra DDC, DOC e altri disturbi, è preferibile che il DDC sia tenuto distinto dagli altri disturbi sia nei contesti clinici che in quelli di ricerca (96).

DDC e chirurgia estetica

Il disturbo da dismorfismo corporeo si presenta con una certa frequenza (dal 6 al 15%) negli ambienti di chirurgia plastica e dermatologici (38) (97) (98).

La letteratura riporta alcuni studi che tentano di correlare i livelli di soddisfazione, di autostima e di percezione della propria immagine corporea con la presenza di disturbi di Asse I e/o II in pazienti che si sottopongono ad interventi di chirurgia estetica correttiva. Si è visto che la presenza di un disturbo psichiatrico è significativamente associata a numerosi aspetti clinici rilevanti, quali la motivazione all’intervento, l’indicazione al trattamento chirurgico, le aspettative del paziente e l’insoddisfazione verso i risultati dello stesso (62) (99)-(105). In questi pazienti è stata riscontrata un’ampia gamma di disturbi mentali, ma le sindromi psichiatriche rilevate con maggior frequenza sono state il disturbo da dismorfismo corporeo e i disturbi di personalità (106), entità cliniche peraltro spesso embricate tra loro (70).

Maffei e Fossati (106) hanno indagato i rapporti fra disturbo da dismorfismo corporeo e disturbi di personalità, valutandone le implicazioni per la richiesta di un intervento di chirurgia correttiva estetica in un campione di 30 soggetti (nessun soggetto necessitava realmente di interventi di chirurgia correttiva o ricostruttiva). Gli autori hanno evidenziato un’elevata correlazione fra disturbo da dismorfismo corporeo e disturbi evitante e dipendente di personalità. Tali associazioni sono risultate specifiche del disturbo da dismorfismo corporeo e hanno portato a formulare l’ipotesi che un profilo di personalità abnorme possa rappresentare la condizione predisponente per lo sviluppo di una reazione psicopatologica acuta (disturbo da dismorfismo corporeo), che a sua volta diventa la motivazione fondamentale alla richiesta dell’intervento estetico.

Per verificare questa ipotesi, abbiamo condotto uno studio su 57 pazienti candidati alla chirurgia estetica e abbiamo indagato la presenza di disturbo da dismorfismo corporeo e disturbi di personalità, applicando strumenti diagnostici standardizzati (107). L’obiettivo è stato quello di determinare se, sulla base di specifici disturbi di personalità, si possa instaurare una reazione psicopatologica a imperfezioni fisiche (sintomi dismorfofobici o disturbo da dismorfismo corporeo), tale da indurre il soggetto a rivolgersi al chirurgo plastico per un intervento correttivo estetico. I risultati della regressione logistica, che tengono conto delle interazioni reciproche tra i fattori, indicano che la gravità dei sintomi dismorfofobici è correlata al numero di tratti di personalità schizotipico e paranoide (Cluster A). Si può quindi ipotizzare che tratti di personalità legati alla presenza di idee di riferimento, a esperienze cognitive e percettive abnormi, alla sospettosità e al timore di giudizi e atteggiamenti ostili, a un’ansia sociale grave e persistente, a un’identità fragile e dissonante dall’ambiente sociale di riferimento, possono amplificare la risonanza soggettiva delle imperfezioni corporee, generando reazioni abnormi di scompenso psichico; tali reazioni prendono la forma di sintomi o di un vero e proprio disturbo dismorfofobico.

Il trattamento del DDC

Dagli studi sinora condotti, risulta che la maggior parte dei pazienti dismorfofobici (fino al 76%) (110) ricerca in prima istanza trattamenti non psichiatrici, in particolare in ambito dermatologico (45%) e plastico-ricostruttivo (23%) (36). Il 30% di 100 casi inclusi nello studio di Phillips et al. (66) ha ricevuto trattamenti cosmetici multipli (fino a sei per paziente). Il 40% dei 50 soggetti valutati da Hollander (41) si è sottoposto ad almeno un intervento di chirurgia estetica. Qualsiasi medico specialista può essere consultato, ad esempio l’oculista per la valutazione di un ipotetico strabismo, l’endocrinologo per una presunta ipertricosi, o ancora un urologo per preoccupazioni concernenti i genitali. I dati suggeriscono, però, che trattamenti di questo tipo non si rivelano efficaci e possono addirittura peggiorare il quadro clinico, aggravando i sintomi (63).

È di fondamentale importanza identificare interventi terapeutici specifici, che siano nel contempo flessibili e articolati, data la complessità del DDC e la frequente comorbilità associata.

Analogamente a quanto osservato riguardo al DOC, nel DDC la terapia farmacologica prevede l’impiego di antidepressivi serotoninergici selettivi (in particolare fluoxetina e fluvoxamina) e non (il triciclico clomipramina). Hollander et al. (41) hanno dimostrato, in uno studio retrospettivo su 50 pazienti con DDC, un miglioramento della sintomatologia dismorfofobica significativamente maggiore nei soggetti trattati con clomipramina, fluoxetina o fluvoxamina, rispetto a quelli trattati con altri TCA. Un altro studio retrospettivo condotto da Phillips (109) ha confermato la maggior efficacia dei composti citati associati al buspirone (agonista dei recettori serotoninergici 5HT1A), rispetto ad altri composti, quali altri TCA, benzodiazepine, neurolettici ed anticonvulsivanti, che hanno mostrato efficacia minima o nulla. L’efficacia della fluoxetina è stata confermata da uno studio in doppio cieco di Phillips et al. (110) su 67 pazienti, in cui la risposta al farmaco è stata del 53% contro il 18% di risposta al placebo (p = 0,03). In un recente studio in doppio cieco su 29 casi, Hollander et al. (111) hanno confrontato l’efficacia di clomipramina vs. desipramina, evidenziando come la clomipramina (dosaggio medio 138 mg/die) correli con un notevole miglioramento nella sintomatologia globale ed una ripresa del funzionamento sociale.

Phillips et al. hanno indagato su 30 pazienti (96) la risposta alla fluvoxamina, che è stata del 63% (al dosaggio medio di 238 mg/die). In un successivo lavoro (112) su 30 soggetti, il dosaggio efficace per questo farmaco è risultato di 50-300 mg/die con variazioni individuali e il tempo medio di risposta 6,1 � 3,7 settimane. Tali valori sono analoghi a quelli che si riscontrano nella terapia del DOC.

Recentemente Phillips e Najjar hanno pubblicato una ricerca su 15 soggetti che dimostra una buona efficacia della terapia con citalopram (113).

Un recente studio retrospettivo di Phillips et al. (114), che hanno preso in esame le cartelle cliniche di 90 pazienti con DDC per verificare l’efficacia degli interventi di farmacoterapia eseguiti con antidepressivi serotoninergici, ha segnalato un indice di risposta del 63%. La sospensione della terapia dopo un periodo medio di trattamento di 38 settimane determina però una ricaduta nell’83,8% dei casi, suggerendo la necessità di protrarre la somministrazione del farmaco per una fase di mantenimento.

Nella Tabella V sono riportati i dati essenziali dei recenti studi sulla terapia farmacologica del DDC.

Dagli studi di cui abbiamo riferito emerge che la variante di DDC ‘con scarso insight’ risponde in misura uguale o persino superiore ai trattamenti con SSRI utilizzati nella variante non delirante (60) (69) (113). La presenza di caratteristiche deliranti non sembra quindi essere un fattore predittivo negativo di risposta ai serotoninergici. Un’interpretazione di questo fenomeno è che l’insight è un costrutto dimensionale e i sintomi deliranti di questo costrutto non sarebbero qualitativamente differenti da quelli non deliranti (112).

La risposta del paziente al trattamento consiste generalmente in un minor grado di stress, riduzione delle preoccupazioni e dei comportamenti ritualistici, miglioramento del funzionamento sociale e lavorativo. Alcuni pazienti migliorano la capacità di critica e le idee di riferimento diminuiscono. Alcuni riferiscono di non notare più il difetto, ma questo non accade sempre: può succedere che essi continuino a vederlo, ma con un minor disagio.

Per valutare caso per caso l’efficacia o meno della terapia, si consiglia comunque di procedere con la somministrazione del farmaco a dosaggio piuttosto elevato per almeno 3 mesi. Nei casi che non rispondono al trattamento impiegato, è indicata l’associazione di clomipramina con SSRI (36), monitorando i livelli plasmatici del triciclico, incrementati dagli SSRI. Se l’associazione fallisce, c’è l’indicazione a procedere con un IMAO. In aggiunta agli SSRI, la clomipramina permette di raggiungere tassi di risposta del 44%, il buspirone del 33%, il litio (stabilizzatore dell’umore) del 20% e gli antipsicotici del 15% (114). L’associazione con antipsicotici (soprattutto risperidone o pimozide) trova un’indicazione particolare nei casi di DDC delirante resistente ai serotoninergici (36) (114) (115).

In associazione alla farmacoterapia, si è rivelato efficace un intervento psicoterapico di tipo cognitivo-comportamentale (42) (43). Le tecniche più utilizzate per il DDC includono l’esposizione allo stimolo, la prevenzione della risposta e la ristrutturazione cognitiva.

L’esposizione allo stimolo (in vivo o immaginata, secondo le tecniche di McKay et al. (116)) si realizza nell’esposizione graduale del paziente alla percezione del proprio corpo o alle situazioni sociali preoccupanti, generalmente seguendo un ordine di parti corporee o situazioni che creano al paziente un disagio crescente (42) (43).

La prevenzione della risposta, cioè dei comportamenti associati al DDC (quali il ‘mirror-checking’, la continua ricerca di rassicurazioni, i tentativi di camuffamento) comprende gli espedienti utilizzati al fine di contrastare i rituali compulsivi, ad esempio suggerire al paziente di rimuovere o coprire gli specchi o evitare il make-up (43).

La ristrutturazione cognitiva, infine, implica l’identificazione dei pensieri disfunzionali del paziente e la loro correzione attraverso la valutazione dell’evidenza. Come sottolineano Veale et al. (46), nel DDC l’obiettivo è quello di “sviluppare nel soggetto delle convinzioni che includono l’idea di accettare la bellezza come soggettiva e che la specie umana è troppo complessa per essere valutata solamente sulle basi di un difetto apparente”.

Ulteriori tecniche debbono essere valutate a seconda delle caratteristiche individuali. Ad esempio, nei pazienti con una forte componente ansiosa può trovare applicazione la desensibilizzazione sistematica, che contrasta le situazioni stressanti con tecniche di rilassamento psicofisico. Le psicoterapie supportive e quelle orientate all’insight sono efficaci solo in alcuni casi in aggiunta al trattamento farmacologico (60).

In conclusione, il miglior approccio terapeutico al DDC sembra essere il trattamento con agenti serotoninergici, variamente combinato alle tecniche psicoterapiche di cui sopra. Il trattamento con farmaci psicotropi che agiscono sul sistema dopaminergico trova indicazione nei casi resistenti. Attraverso questi presidi, applicati nel modo migliore in seguito ad una completa valutazione biopsicosociale del paziente, si ottiene il miglioramento in una buona percentuale di casi. La complessità del DDC solleva tuttavia la necessità di ulteriori studi per comprendere meglio la biologia del disturbo ed estendere così l’efficacia degli interventi terapeutici ad un numero crescente di pazienti.

In questo lavoro di revisione della letteratura sono state prese in esame le caratteristiche psicopatologiche, cliniche e terapeutiche del DDC, approfondendo la valutazione dei suoi rapporti con il disturbo ossessivo-compulsivo e con i disturbi di personalità.

Benché negli ultimi anni le ricerche su questa condizione patologica si siano sviluppate e abbiano permesso di raccogliere dati su molteplici aspetti del disturbo, rimangono aperte una serie di questioni che dovranno essere approfondite nei prossimi anni:

• all’interno dello spettro ossessivo-compulsivo, deve essere precisata la caratterizzazione psicopatologica del DDC e la collocazione delle sue varianti con scarso insight;

• per quanto riguarda il trattamento, sono utili studi che contribuiscano a identificare delle strategie specifiche di terapia farmacologia, soprattutto nei casi resistenti agli antidepressivi serotoninergici, oltre ad indagini mirate a individuare le modalità psicoterapeutiche più appropriate e le eventuali varianti tecniche necessarie per questo tipo di pazienti;

• è indispensabile prestare attenzione alla presenza di sintomi dismorfofobici e disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo in contesti di dermatologia e di chirurgia estetica, soprattutto per chiarire come queste condizioni psicopatologiche possono influenzare le richieste e i risultati degli interventi e per promuovere una stabile collaborazione dello psichiatra e dello psicologo clinico con gli specialisti di queste discipline medico-chirurgiche.

Tab. I. Disturbi somatoformi inclusi nel DSM-IV (14): caratteristiche ed epidemiologia. Somatoform disorders included in the DSM-IV: characteristics and epidemiology.

Disturbo somatoforme

Descrizione generale

Criteri diagnostici accessori

Prevalenza lifetime e/o incidenza/anno

Rapporto M:F

Disturbo di somatizzazione

Anamnesi di molti sintomi fisici: dolore in almeno 4 sedi diverse, 2 sintomi gastroenterici non dolorosi, 1 sessuale o riproduttivo, 1 pseudoneurologico(conversivo o dissociativo).

Esordio prima dei 30 anni. Decorso cronico. Ricerca ripetuta di trattamenti o significativa compromiss. sociale, lavorativa o di altre aree funzionali.

0.1-0.5% (pop. gen.)
5-10% (pz. di med. gen.)

1:20

Disturbo di conversione

Sintomi ingiustificati di deficit riguardanti le vie motorie e sensitive che suggeriscono una condizione neurologica o medica generale.

Fattori psicologici collegati con i sintomi. Disagio o compromiss. sociale, lavorativa o di altre aree funzionali.

5-15% (pz. di med. gen.)
incid: 22:100.000 abit./anno

1:5

Disturbo algico

Dolore come punto focale del quadro clinico, di gravità tale da richiedere l�attenzione medica.

Fattori psicologici collegati con i sintomi. Disagio o compromissione sociale, lavorativa o di altre aree funzionali.

0.1% (pop. gen.)

1:2

Ipocondria

Preoccupazione legata al timore o alla convinzione di avere una grave malattia, sulla base dell�erronea interpretazione di sintomi. Persiste nonostante valutazioni e rassicurazioni mediche adeguate.

Disagio o compromiss. sociale, lavorativa o di altre aree funzionali.

4-6% (pz. di med. gen.)

1:1/1.5:1

Disturbo da dismorfismo corporeo

Preoccupazione eccessiva riguardante un difetto presunto o sopravvalutato dell�aspetto fisico.

Disagio o compromissione sociale, lavorativa o di altre aree funzionali.

0.2% (pop. gen.)
4% (pz. di med. gen.)
fino al 10% (pz. di chir. plastica)

1:1

Tab. II. Criteri diagnostici per il Disturbo da Dismorfismo Corporeo (DSM-IV-TR) (1). DSM-IV-TR diagnostic criteria for body dysmorphic disorder.

A.

Preoccupazione per un supposto difetto nell�aspetto fisico. Se è presente una piccola anomalia, l�importanza che la persona le conferisce è di gran lunga eccessiva.

B.

La preoccupazione causa disagio clinicamente significativo oppure menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

C.

La preoccupazione non risulta meglio attribuibile ad un altro disturbo.

La diagnosi di DDC va esclusa se la preoccupazione è meglio attribuibile ad un altro disturbo mentale, o se la preoccupazione eccessiva si focalizza sul peso o le dimensioni corporee, come accade nell�Anoressia Nervosa, o sul disagio e sul senso di estraneità verso i propri caratteri sessuali primari e secondari, come nel Disturbo della Identità di Genere.

Va inoltre fatta una distinzione rispetto alle rimuginazioni circa l�aspetto fisico che accompagnano il calo del tono dell�umore nel corso di un Episodio Depressivo Maggiore, che può peraltro complicare il DDC.

Il DDC va poi differenziato dal Disturbo Evitante di Personalità e dalla Fobia Sociale, in cui c�è la preoccupazione di trovarsi in imbarazzo per un difetto fisico reale, ma senza l�egodistonicità caratteristica della Dismorfofobia, e dal DOC, in cui ossessioni e compulsioni non si limitano all�aspetto fisico.

I pazienti con DDC possono ricevere una diagnosi aggiuntiva di Disturbo Delirante, Tipo Somatico, se la preoccupazione si presenta con caratteristiche deliranti, ossia con perdita totale della capacità di critica.

Un�ulteriore diagnosi differenziale va fatta con il Koro, sindrome psichiatrica radicata nella cultura del Sud Est Asiatico, caratterizzata dalla preoccupazione che il pene (o le piccole labbra, i capezzoli o le mammelle nelle donne) si rattrappisca e scompaia nell�addome. Si caratterizza per una durata solitamente breve, frequente associazione con ansia acuta e timore della morte, risposta positiva alle rassicurazioni e, occasionalmente, diffusione epidemica.

Tab. III. Principali localizzazioni dei presunti difetti nel DDC (modif. Phillips et al., 1993 (63)). Major localisations of putative bodily defects in body dysmorphic disorder (modified from Phillips et al. 1993 (63)).

Localizzazione

%

Capelli o peli corporei

63

Naso; Cute

50

Occhi

27

Capo/viso

20

Forma del corpo/struttura ossea

17

Labbra; Mento; Addome/vita

13

Denti; Gambe/ginocchia

10

Petto/mm pettorali; Brutto viso (generico)

7

Orecchie; Guance; Natiche; Genitali;

Braccia; Collo; Fronte; Mm facciali; Spalle;

Anche

3

Tab. IV. Disturbi del continuum OC (da Pancheri P. Il continuum OC. In: Pancheri P, Cassano G.B. (eds). Trattato italiano di psichiatria. Milano: Masson 1999). Disorders of the obsessive-compulsive continuum (from Pancheri P, Cassano G.B. (eds). Trattato italiano di psichiatria, 2nd ed. Milan: Masson.

Categoria nosografica

Disturbo

Disturbi del controllo degli impulsi NAS

Tricotillomania, Cleptomania, Gioco d�azzardo patologico, Piromania

Disturbi sessuali: Parafilie

Esibizionismo, Feticismo, Voyeurismo, Parafilia NAS

Compulsioni sessuali non parafiliche (non incluse nel DSM-IV)

Promiscuità compulsiva, uso compulsivo di pornografia

Disturbi dell�Alimentazione

Anoressia nervosa, Bulimia nervosa

Disturbi somatoformi

DDC, Ipocondria

Disturbi da tic

Disturbo di Tourette

Disturbi dissociativi

Disturbo di Depersonalizzazione

Tab. V. Principali studi di farmacoterapia del disturbo da dismorfismo corporeo. Main studies on drug treatment of body dysmorphic disorder.

Autore

Metodo

Farmaco

Dosaggio medio

Durata media terapia

Risultati

Hollander et al. 1994 (11)(5)

studio retrospettivo

triciclici

178 mg /die

5 mesi

CGI: nessun cambiamento

fluvoxamina

260 mg/die

19 mesi

CGI: molto migliorato

Phillips et al. 1998 (96)

in aperto

fluvoxamina

238 mg/die

16 sett

BDD-YBOCS migliorato,

p < .001;

63% dei pz responders

Hollander et al. 1999 (11)(1)

in cross over, randomizzato

clomipramina vs.

138 mg/die

8 sett

BDD-YBOCS: CLO > DES,

desipramina

147 mg/die

p = .003

BDD-NIMH: CLO > DES,

p < .001

Phillips et al. 2001 (11)(2)

in aperto

fluvoxamina

150-300 mg/die

16 sett

BDD-YBOCS migliorato,

p < .001;

63% dei pz responders

Phillips et al. 2001 (11)(4)

studio retrospettivo

SSRI

38 sett

BDD-YBOCS migliorato,

p < .001

clomipramina

203 mg/die

24 sett

BDD-YBOCS migliorato,

p < 0.1

Phillips et al. 2002 (11)(0)

in doppio cieco, randomizzato

fluoxetina

20-80 mg/die

12 sett

BDD-YBOCS. migliorato,

p < .001;

53% dei pz responders

Phillips et al. 2003 (11)(3)

in aperto

citalopram

40-60 mg/die

12 sett

BDD-YBOCS migliorato,

p < .001;

73% dei pz responders

BDD-YBOCS = Yale Brown Obsessive-Compulsive Scale modified for body dysmorphic disorder.
BDD-NIMH = National Institute of Mental Health Global Obsessive-Compulsive Scale modified for body dysmorphic disorder.
CLO = clomipramina; DES = desipramina

1 American Psychiatric Association. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 4th Ed., Text Revision: DSM-IV-TR. Washington DC: APA 2000.

2 Gala C, Colombo E. Disturbi Psicosomatici. In: Invernizzi G, ed. Manuale di Psichiatria e Psicologia Clinica. Milano: McGraw Hill 1996.

3 Haynal A, Pasini W. Medicina Psicosomatica. Milano: Masson 1989.

4 Maudsley. “The physiology of mind” (1876). In: Cooper EJ, Kendell RE, et al., eds. Psychiatric Diagnosis in New-York and London. Maudsley monograph No.20. London: Oxford University Press 1972.

5 Freud S (in collaborazione con Bleuler J). Studio sull�isteria, 1892-95. In: Opere di Sigmund Freud. Torino: Boringhieri 1967, vol.1 (tr.it).

6 Dunbar HF. Psychosomatic diagnosis. New-York: Hoeber 1948.

7 Alexander F. La Médecine Psychosomatique, ses principes et ses aplications. Parigi: Payot 1952.

8 Marty P, De M�Uzan M, David C. L�Investigation Psychosomatique. Parigi: P.V.F. 1963.

9 Nemiah JC, Freyberger H, Sifneos PE. Alexithymia: a view of the psychosomatic process. In: Hill OW, ed. Modern trends in psychosomatic medicine. London: Butterworths 1976.

10 Levi L. Stress: introduzione alla medicina psicosomatica. Roma: Edizioni Mediterranee 1968.

11 Antonelli F. Fondamenti e prospettive della medicina psicosomatica. Roma: Universo 1970.

12 Pancheri P. Stress, emozioni, malattia. Milano: Longanesi 1980.

13 Pancheri P, Biondi M. Stress, emozioni e cancro. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore 1987.

14 American Psychiatric Association. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders 4th Ed., DSM-IV. Washington DC: APA 1994.

15 Pancheri P. Trattato di Medicina Psicosomatica. Firenze: USES Edizioni Scientifiche 1984.

16 Brown FW, Golding JM, Smith GR Jr. Psychiatric comorbidity in primary care somatization disorder. Psychosom Med 1990;52:445-451.

17 American Psychiatric Association. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 3th Ed., DSM-III. Washington DC: APA 1980.

18 Janet P. Les obsessions et la psychastenie. Parigi: Alcan 1903.

19 Kraepelin E. Psychiatrie. Ein Lehrbuch fur Studierende und Artze (I-IV). Leipzig: Aufl Johan Ambrosius Barth 1909, p. 15.

20 Munro A. Monosymptomatic hypocondriacal psychosis. Br J Psychiatry 1988;153:37-40.

21 Hollander E, Wong CM. Obsessive-compulsive spectrum disorder. J Clin Psych 1995;56(Suppl 4):3-6.

22 Fallon BA, Qureshi AI, Laje G, Klein B. Hypocondriasis and its relationship to obsessive-compulsive disorder. Psychiatr Clin North Am 2000;23:605-16.

23 Kellner R. Functional somatic symptoms and hypocodriasis. Arch Gen Psychiatry 1985;42:821-33.

24 Elmer KB, George RM, Peterson K. Therapeutic update: use of risperidone for the treatment of monosymptomatic hypocondriacal psychosis. J Am Acad Dermatol 2000;43:683-6.

25 Phillips KA, Diaz SF. Gender differences in body dysmorphic disorder. J Nerv Ment Dis 1997;185:570-7.

26 Morselli E. Sulla dismorfofobia e sulla taleofobia. Bollettino dell�Accademia di Genova 1891;6:110-9.

27 Jaspers K. Allgemeine Psychopathologie. Berlino: Springer Verlag 1959.

28 Cecconi D, Giannotti D, Perugi G. Disturbo di somatizzazione. In: Cassano GB, ed. Manuale di Psichiatria. Torino: UTET 1994.

29 American Psychiatric Association. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders 3th Ed., Revised. DSM-III-R. Washington DC: APA 1987.

30 Phillips KA. Body dysmorphic disorder: the distress of imagined ugliness. Am J Psychiatry 1991;148:1138-49.

31 Neziroglu F, Yaryura-Tobias JA. A review of cognitive behavioral and pharmacological treatment of body dysmorphic disorder. Behav Modif 1997;21:324-40.

32 Cororve MB, Gleaves DH. Body dysmorphic disorder: a review of conceptualisations, assessment, and treatment strategies. Clin Psychol Rev 2001;21:949-70

33 Cotterill JA. Dermatologic nondisease. Dermatol Clin 1996;14:439-45.

34 Bienvenu OJ, Samuels JF, Riddle MA, Hoehn-Saric R, Liang KY, Cullen BA, et al. The relationship of obsessive-compulsive disorders to possible spectrum disorders: results from a family study. Biol Psychiatry 2000;15:287-93.

35 Faravelli C, Salvatori S, Galassi F, Aiazzi L, Drei C, Cabras P. Epidemiology of somatoform disorders: a community survey in Florence. Soc Psychiatry Psychiatric Epidemiol 1997;32:24-9.

36 Phillips KA, McElroy SL, Hudson JL, Pope HG. Body dysmorphic disorder: an obsessive-compulsive disorder, a form of affective spectrum-disorder, or both? J Clin Psychiatry 1995;56:41-51.

37 Bohne A, Keutern NJ, Wilhelm S, Deckersbach T. Prevalence of body dysmorphic disorder in a German college student sample. Psychiatry Res 2002;109:101-4.

38 Phillips KA, Dufresne RG, Wilkel CS, Vittorio CC. Rate of Body dysmorphic disorder in dermatology patients. J Am Acad Dermatol 2000;42:436-41.

39 Grant JE, Kim SW, Crow SJ. Prevalence and clinical features of body dysmorphic disorder in adolescent and adult psychiatry inpatients. J Clin Psychiatry 2001;62:517-21.

40 Phillips KA. Body dysmorphic disorder: diagnosis and treatment of imagined ugliness. J Clin Psychiatry 1996;57(Suppl 8):61-5.

41 Hollander E, Cohen LJ, Simeon D. Body dysmorphic disorder. Psychiatric Ann 1993;23:359-64.

42 Phillips KA. Body dysmorphic disorder: clinical aspects and treatment strategies. In: Jenike MA, Baer L, Minichiello WE, eds. Obsessive-compulsive disorders: practical management, 3rd Ed. St. Louis: Mosby 1998.

43 Rosen JC, Reiter J, Orosan P. Cognitive-behavioural body image therapy for body dysmorphic disorder examination. J Consult Clin Psychol 1995;63:26-9.

44 Veale D, Gournay K, Dryden W, Boocock A, Shah F, Wilson R, et al. Body dysmorphic disorder: a cognitive behavioural model and pilot randomised controlled trial. Behav Res Ther 1996;9:717-29.

45 Biby EL. The relationship between body dysmorphic disorder and depression, self-esteem, somatization, and obsessive-compulsive disorder. J Clin Psychology 1998;54:489-99.

46 Veale D, Boocock A, Gournay K, Dryden W, Shah F, Wilson R, et al. Body dysmorphic disorder: a survey of fifty cases. Br J Psychiatry 1996;169:196-201.

47 Perugi G, Akiskal HS, Giannotti D, Frare F, Di Vaio S, Cassano GB. Gender-related differences in body dysmorphic disorder. J Nerv Ment Dis 1997;185:578-82.

48 Cash TF. The psychology of physical appearance: aesthetics, attributes and images. In: Cash TF, Pruzinsky T, eds. Body images: development, deviance, and change. New York: Guildford Press 1990.

49 Fallon BA. Culture in the mirror: sociocultural determinants of body image. In: Cash TF, Pruzinsky T, eds. Body images: development, deviance, and change. New York: Guildford Press 1990.

50 Allen A, Hollander E. Body dysmorphic disorder. Psychiatr Clin North Am 2000;23:617-28.

51 Rosen JC, Reiter J. Development of the body dysmorphic disorder examination. Behav Res Ther 1996;34:755-66.

52 Slade PD. What is body image? Behav Res Ther 1994;5:497-502.

53 Ladee GA. Hypocondriacal syndromes. Amsterdam: Elsevier 1966.

54 Liberman R. A propos des dysmorphophobies de l�adolescent. Rev Neuropsychiatr Infant 1974;22:695-9.

55 Olley PC. Psychiatric aspects of referral. Br Med J 1974;3:248-9.

56 Schachter M. Nevroses dysmorphiques (complexes de laideur) et délire ou convinction délirante de dysmorphie. Ann Med Psychol 1971;129:723-45.

57 Perugi G, Giannotti D. Disturbo da dismorfismo corporeo. In: Cassano GB, ed. Manuale di psichiatria. Torino: UTET 1994.

58 Hollander E, Wong CM. Obsessive-compulsive spectrum disorder. J Clin Psych 1995;56(Suppl 4):3-6.

59 Invernizzi G. Manuale di Psichiatria e Psicologia Clinica. Milano: Mc Graw Hill 1996.

60 Phillips KA, McElroy SL. Insight, overvalued ideation, and delusional thinking in body dysmorphic disorder: theoretical and treatment implications. J Nerv Ment Dis 1993;181:699-701.

61 Braddock LE. Dysmorphophobia in adolescence: a case report. Br J Psychiatry 1982;140:199-201.

62 Birtchnell SA. Dysmorphophobia: a centenary discussion. Br J Psychiatry 1988;153(Suppl 2):41-3.

63 Phillips KA, McElroy SL, Keck PE. Body dysmorphic disorder: 30 cases of imagined ugliness. Am J Psychiatry 1993;150:302-8.

64 Veale D, Riley S. Mirror, mirror on the wall, who is the ugliest of them all? The psychopathology of mirror gazing in body dysmorphic disorder. Behav Res Ther 2001;39:1381-93.

65 Phillips KA. Quality of life for patients with body dysmorphic disorder. J Nerv Ment Dis 2000;188:170-5.

66 Phillips KA, McElroy SL, Keck PE, Hudson JI, Pope HG. A comparison of delusional and nondelusional body dysmorphic disorder in 100 cases. Psychopharmacol Bull 1994;30:179-86.

67 Simeon D, Hollander E, Stein DJ, Cohen LJ, Aronowitz B. Body dysmorphic disorder in the DSM-IV field trial for obsessive-compulsive disorder. Am J Psychiatry 1995;152:1207-9.

68 Cotterill JA, Cunliffe W A. Suicide in dermatological patients. Br J Dermatol 1997;137:246-50.

69 Hollander E, Aronowitz BR. Comorbid social anxiety and body dysmorphic disorder: managing the complicated patient. J Clin Psychiatry 1999;60:27-31

70 Andreasen NC, Bardach J. Dysmorphophobia: symptom or disease? Am J Psychiatry 1977;134:673-5.

71 Phillips KA, Hollander E, Rasmussen SA, Aronowitz BR, De Caria C, Goodman WK. A Severity Rating Scale for Body Dysmorphic Disorder: Development, Reliability and Validity of a Modified Version of the Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale. Psychopharmacol Bull 1997;33:17-22.

72 Aronowitz BR, Simeon D, Hollander E. A survey of body dysmorphic disorder in plastic surgery patients (poster). Presented at the Annual Meeting of the Society of Biological Psychiatry. Miami 1995.

73 Eisen JL, Phillips KA, Baer L, Baer DA, Atala KD, Rasmussen SA. The brown assessment of beliefs scale: reliability and validity. Am J Psychiatry 1998;155:102-8.

74 Phillips KA, Mc Elroy SL, Eisen JL, Rasmussen SA. Insight and treatment response in body dysmorphic disorder. Psychopharmacol Bull 1997;33:566.

75 Barr LC, Goodman WK, Price LH. Acute exacerbation of body dysmorphic disorder during tryptophan depletion. Am J Psychiatry 1992;149:1406-7.

76 Hollander E, Neville D, Frenkel M, Josephson S, Liebowitz MR. Body dysmorphic disorder: diagnostic issues and related disorders. Psychosomatics 1992;33:156-65.

77 Gabbay V, O�Dowd MA, Weiss AJ, Asnis GM. Body dysmorphic disorder triggered by medical illness? Am J Psychiatry 2002;159:493.

78 Gabbay V, Asnis GM, Bello JA, Alonso CM, Serras SJ, O�Dowd MA. New onset of body dysmorphic disorder following fronto-temporal lesion. Neurology 2003;61:123-5.

79 Mc Guire PK. The brain in obsessive-compulsive disorder. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1995;59:457-9.

80 Hay GG. Dysmorphophobia. Br J Psychiatry 1970;116:399-406.

81 Jenike MA. A case report of successful treatment of dysmorphophobia with tranylcypromine. Am J Psychiatry 1984;141:1463-4.

82 Bloch S, Glue P. Psychotherapy and dysmorphophobia: a case report. Br J Psychiatry 1988;152:271-4.

83 Yamada M, Kobashi K, Shigemoto T, Ota T. On dysmorphophobia. Bull Yamaguchi Med School 1978;9:53-6.

84 Thomas CS. Dysmorphophobia: a question of definition. Br J Psychiatry 1984;144:513-6.

85 De Leon J, Bott A, Simpson GM. Dysmorphophobia: body dysmorphic disorder or delusional disorder, somatic subtype? Compr Psychiatry 1989;30:457-72.

86 Marks I, Mishan J. Dysmorphophobic avoidance with disturbed bodily perception: a pilot study of exposure therapy. Br J Psychiatry 1988;152:674-8.

87 Campanella FN, Zuccoli E. In tema di dismorfofobia. Neuropsichiatria 1968;24:475-86.

88 Hardy GE, Cotterill JA. A study of depression and obsessionality in dysmorphophobic and psoriatic patients. Br J Psychiatry 1982;140:19-22.

89 Bezoari M, Falcinelli D. Immagine del corpo e relazioni oggettuali: note sulla dismorfofobia. Rass Studi Psychiat 1977;66:489-510.

90 Yamada M, Kobashi K, Shigemoto T, Ota T. On dysmorphophobia. Bull Yamaguchi Med School 1978;9:53-56.

91 Zaidens SH. Dermatologic Hypocondriasis: a form of schizophrenia. Psychosom Med 1950;12:250-3.

92 Gunstad J, Phillips KA. Axis I comorbidity in body dysmorphic disorder. Compr psychiatry 2003;44:270-6.

93 Brawman-Mintzer O, Lydiard RB, Phillips KA, Body dysmorphic disorder in patients with anxiety disorders and major depression: a comorbidity study. Am J Psychiatry 1995;152:1665-7.

94 Oosthuizen P, Lambert T, Castle DJ. Dysmorphic concern: prevalence and associations with clinical variables. Austr N Z J Psychiatry 1998;32:129-32.

95 McElroy SL, Phillips KA, Keck PE, Hudson JI, Pope HG. Body dysmorphic disorder: does it have a psychotic subtype? J Clin Psychiatry 1993;54:389-95.

96 Phillips KA, Dwight MM, McElroy SL. Efficacy and safety of fluvoxamine in body dysmorphic disorder. J Clin Psychiatry 1998;59:165-71.

97 Sarwer DB, Crerand CE. Psychological issues in patient outcomes. Facial Plast Surg 2002;18:125-34.

98 Carroll DH, Scahill L, Phillips KA. Current concepts in body dysmorphic disorder. Arch Psychiatr Nurs 2002;2:72-9.

99 Meyer E, Knorr J. Psychiatric aspects of plastic surgery. In: Converse JM, ed. Reconstructive plastic surgery. Philadelphia: W.B. Saunders 1960.

100 Klabunde EH, Falces E. Incidence of complications in cosmetic rhinoplastics. Plast Reconstr Surg 1964;34:192-6.

101 Gipson M, Conolly F. The incidence of schizophrenia and severe psychological disorders in patients 10 years after cosmetic rhinoplasty. Br J Plast Surg 1975;28:155-9.

102 Lejour M, Lecocq C. Psychological implications of esthetic surgery. A propos of a study of 68 cases. Acta Chir Belg 1975;74:5-24.

103 Edgerton MT, Laugman MW, Pruzinsky T. Plastic Surgery and Psychotherapy in the treatment of 100 psychologicallly disturbed patients. Plast Reconstr Surg 1991;88:594-608.

104 Sarwer DB, Crerand CE. Psychological issues in patient outcomes. Facial Plast Surg 2002;18:125-34.

105 Veale D, De Haro L, Lambrou C. Cosmethic rhinoplasty in body dysmorphic disorder. Br J Plast Surg 2003;56:546-51.

106 Maffei G, Fossati A. I disturbi di personalità: prospettive della ricerca in psicologia clinica per la prassi medica generale. Ricerche di psicologia 1997;1:317-27.

107 Bellino S, Zizza M, Paradiso E, Patria L, Rivarossa A, Fulcheri M, et al. Disturbo da dismorfismo corporeo e disturbi di personalità: un�indagine clinica in pazienti della chirurgia estetica. Ital J Psychopatol 2003;9:149-56.

108 Phillips KA, Grant J, Sinicalchi J, Albertini RS. Surgical and non-psychiatric medical treatment of patients with body dysmorphic disorder. Psychosomatics 2001;42:504-10.

109 Phillips KA. An open study of buspirone augmentation of serotonine reuptake inhibitors in body dysmorphic disorder. Psychopharmacol Bull 1996;32:175-80.

110 Phillips KA, Albertini RS, Rasmussen SA. A Randomized placebo-controlled trial of fluoxetine in body dysmorphic disorder. Arch Gen Psychiatry 2002;59:381-8.

111 Hollander E, Allen A, Kwon J, Aronowitz B, Schmeidler J, Wong C, et al. Clomipramine vs Desipramine crossover trial in body dysmorphic disorder. Arch Gen Psychiatry 1999;56:1033-42.

112 Phillips KA, McElroy SL, Dwight MM, Eisen JL, Rasmussen SA. Delusionality and response to open-label fluvoxamine in body dysmorphic disorder. J Clin Psychiatry 2001;62:87-91.

113 Phillips KA, Najjar F. An open-label study of citalopram in body dysmorphic disorder. J Clin Psychiatry 2003;64:715-20.

114 Phillips KA, Albertini RS, Siniscalchi JM, Khan A, Robinson M. Effectiveness of pharmacotherapy for body dysmorphic disorder: a chart review study. J Clin Psychiatry 2001;62:721-7.

115 Hollander E, Cohen LJ, Simeon D. Fluvoxamine in treatment of body dysmorphic disorder. J Clin Psychopharmacology 1994;14:75-7.

116 McKay D, Todaro J, Neziroglu F, Campisi T, Moritz EK, Yaryura-Tobias JA. Body dysmorphic disorder: a preliminary evaluation of treatment and maintenance using exposure with response prevention. Behav Res Ther 1997;35:67-70.