Key words: Compulsory psychiatric treatment • Aggressive behaviour • Violence • Psychiatric legislation
Correspondence: Dr. Mario Di Fiorino, Reparto di Psichiatria, Ospedale della Versilia, via Aurelia, 335, 55043 Lido di Camaiore; Tel.: 0584-6055240 Fax: 0584-6055239 -e mail: m.difiorino@usl12.toscana.it
Introduzione
In Italia con la legge 180 del Maggio 1978, abrogativa della legge psichiatrica del 1904, sono state cancellate anche le disposizioni attuative del 1909 che regolavano la contenzione, creando un vuoto normativo.
“… devono essere aboliti o ridotti ai casi assolutamente eccezionali i mezzi di coercizione degli infermi e non possono essere usati se non con l’autorizzazione scritta (…) di un medico dell’istituto. Tale autorizzazione deve indicare la natura e la durata del mezzo“
Art. 60 regolamento R. D. del 1909 di attuazione della legge del 1904
Solo recentemente in Italia sono state proposte procedure, come elemento di tutela del paziente, ma anche degli operatori, ed oggi tuttora in discussione (1) (3)-(5).
Negli Stati Uniti sull’assenza di una regolamentazione della materia intervenne nel 1982 la Corte Suprema per il caso Youngberg vs Romeo, relativo ad un paziente gravemente ritardato ed istituzionalizzato, stabilendo che la decisione sulla limitazione della libertà e la contenzione fosse demandata ad un giudizio professionale.
Per definire gli standards professionali sul management dei comportamenti violenti l’Associazione di Psichiatria Americana (APA) conferì l’incarico ad una task force presieduta da Tardiff, che ha redatto linee guida, successivamente accolte dall’APA stessa (6).
Nelle linee guida costituiscono una priorità per l’isolamento o la contenzione le seguenti indicazioni:
– la prevenzione di un danno imminente al paziente o verso altri quando non vi siano differenti strumenti di controllo efficaci ed appropriati;
– la prevenzione di gravi compromissioni del programma di trattamento o significativi danni all’ambiente fisico;
– la parte di un programma di terapia comportamentale.
Vi sono inoltre indicazioni addizionali:
– diminuire la stimolazione che il paziente riceve;
– aderire ad una richiesta del paziente.
L’isolamento o la contenzione possono essere giustificate, secondo Tardiff (7), dalla presenza contestuale di malattie organiche, di allergie e di intolleranze che aumentano il rischio costituito dall’impiego dei farmaci per controllare l’aggressività.
Inoltre, Tardiff (7) ritiene che andrebbero considerati non esclusivamente i benefici del paziente, ma anche quelli ambientali. Certi comportamenti come la distruzione di proprietà, il gridare incontrollato o l’abuso, la masturbazione in pubblico, il denudarsi, una incontrollata intrusività verso altri, imbrattare con le feci, possono costituire indicazioni al trattamento con isolamento e contenzione per necessità del contesto.
L’approccio medico all’emergenza aggressiva
Pur non costituendo l’obiettivo specifico di questo articolo, è necessario sottolineare, in una prospettiva di prevenzione, il particolare significato che assumono alcuni momenti clinici, contestuali ad un’emergenza aggressiva, tra cui la valutazione del rischio di comportamento violento. Strumenti psicometrici con valore predittivo (8) sono utilizzati per valutare il profilo espressivo dell’aggressività, permettendo l’identificazione di un maggior rischio e quindi una prevenzione iniziale.
La gestione della crisi di violenza
Attualmente, in assenza di una terapia specifica per le condotte aggressive, la pratica clinica prevalente distingue una modalità d’intervento in funzione dell’intervallo di tempo utile, individuando una gestione a breve termine ed una a medio e/o lungo termine. Nella prima, il farmaco contribuisce a realizzare un intervento sedativo di emergenza; nella seconda, la possibilità di una diagnosi accurata, successivamente al controllo dell’acuzie, consente una valenza più specificamente terapeutica e preventiva dell’intervento (9) (7).
Gli operatori che lavorano in psichiatria devono conoscere ed essere in grado di intervenire con efficacia di fronte all’emergenza di comportamenti aggressivi, dove nella gestione iniziale della crisi violenta è necessaria la capacità di rilevare con prontezza i primi segni dello stato di arousal, tra cui in primis l’attivazione fisiologica degli organi e degli apparati per la preparazione alla lotta (10).
Fase di innesco
Tra le modalità di risposta a stimoli in continuità con il modo di essere di una persona c’è una soglia, in cui si oltrepassa il repertorio dei comportamenti abituali per sconfinare nel discontrollo dell’acting out comportamentale. La soglia è individuale, talora quasi una linea d’ombra, anche se è possibile per l’operatore cogliere una serie di modificazioni negli atteggiamenti, nelle espressività posturali, attraverso segnali verbali e non verbali, che possono acquisire valore prodromico di crisi aggressive. La non conoscenza dell’ampio spettro di variabilità comportamentale di una persona può indurre a sottovalutare o al contrario, sopravvalutare, tali segnali. Talora minime stimolazioni ambientali acquisiscono le caratteristiche di fattori trigger; nel paziente ospedalizzato la crisi può essere innescata dall’invito ad assumere la terapia o dalla richiesta di rispettare le regole della convivenza per l’igiene del corpo, o per il fumo. In tal caso è evidente l’opportunità di evitare l’acuire di tensione e l’elevazione dei livelli di conflittualità senza rinunciare al raggiungimento dell’obiettivo con successivi tentativi distanziati da spostamenti dell’attenzione.
Escalation
È la fase in cui il comportamento si discosta dalla behaviour baseline dove diventa essenziale il controllo e la riduzione di elementi scatenanti.
All’inizio è ancora possibile per gli operatori cercare di allontanare il paziente dalla situazione dove permangono elementi scatenanti e proporre un impegno alternativo.
Per cercare di bloccare l’escalation della crisi, nell’affrontare il paziente in stato di arousal gli operatori devono cercare di attuare interventi di negoziazione per recuperare il rapporto, dando l’impressione di calma ed insieme di risolutezza.
I messaggi conterranno l’intenzione di risolvere il conflitto ammettendo eventuali “smagliature” ambientali e, se possibile, si cercherà di realizzare un iniziale isolamento.
Fase critica
Se la crisi progredisce diviene sempre più difficile un intervento diversivo per distogliere il paziente. L’eccitamento emotivo e fisico con la scarsa capacità di controllarsi, conseguente anche alla diminuita possibilità di processare messaggi complessi, rendono necessario l’intervento finalizzato a ridurre i rischi potenziali (Tab. I). Con indicazioni ferme e puntuali si deve affrontare il paziente e contenerlo in una situazione che garantisca il più possibile la sicurezza del paziente stesso e degli operatori (11) (12).
Defervescenza
Nella fase di defervescenza permangono elementi di eccitamento psicomotorio, che gradualmente con gli effetti della terapia farmacologica si riducono, nonostante l’instabilità del quadro psicomotorio renda questa fase particolarmente suscettibile di ulteriori crisi, soprattutto di fronte a nuovi elementi scatenanti o situazioni irritative.
La fase post-critica
Esaurita la carica emotiva il paziente passa generalmente da uno stato di eccitamento ad una fase post-critica di depressione, dove è più facile intervenire per aiutare il paziente nella rielaborazione di quanto è avvenuto. Egli è infatti sensibile ai sentimenti di colpa e di vergogna legati al suo comportamento. L’intervento psicoterapico diventa molto importante per la prevenzione di crisi successive.
Infine, ci sembra opportuno sottolineare l’importanza per prevenire l’escalation della crisi e limitare il ricorso alla contenzione, di locali per l’isolamento nei reparti di psichiatria, attualmente disponibili in Italia esclusivamente in alcuni ospedali psichiatrici giudiziari.
In altri paesi occidentali, sia europei che statunitensi, questi spazi di isolamento risultano costituire un presidio terapeutico (nota 1).
In Italia l’eventuale decisione di isolamento di un paziente è di pertinenza esclusivamente medica a differenza della realtà clinica statunitense dove può essere iniziata dallo staff infermieristico, ma deve essere ordinata entro un’ora dal medico (13).
La valutazione clinica dopo un comportamento violento o suicidario
Il clinico frequentemente viene consultato dopo che una persona ha presentato un comportamento violento o ha attuato un tentativo di suicidio. Le difficoltà di una valutazione in tale emergenza risultano ulteriormente condizionate dal vissuto del paziente, dalla frammentarietà delle informazioni e non sporadicamente dalla preoccupazione dei familiari di evitare il ricovero in reparto psichiatrico. È quindi necessario considerare almeno le variabili di maggior valore clinico-predittivo per ridurre il rischio di recidiva (Tab. II).
Le procedure per stato di necessità, contenzione, accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori
Di fronte a pazienti con scarsa coscienza di malattia e rifiuto dell’intervento terapeutico con la necessità di trattamento, l’attuale quadro normativo prevede:
a) lo stato di necessità;
b) l’Accertamento Sanitario Obbligatorio (ASO) e il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO).
È fatto obbligo di intervenire a chiunque (non necessariamente un medico) a favore di un’altra persona nelle condizioni di pericolo attuale di un danno grave. Occorre sottolineare che non va proposto un TSO quando ricorra lo stato di necessità. Anzi, in tal caso sarebbe errato ritardare l’intervento in attesa della documentazione.
Stato di necessità (art. 54 Codice Penale.): “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo“.
Lo stato di necessità giustifica la contenzione fisica o farmacologica contro il consenso del paziente (nota 2). La contenzione deve essere mantenuta sotto il diretto controllo del medico, motivata, circoscritta nel tempo e registrata nella cartella clinica del paziente (nota 3). Trattandosi di un provvedimento limite e in un’area dove vi sono tuttora controversie alimentate da spinte antipsichiatriche, è buona prassi che il Primario richieda una relazione specifica sulle motivazioni che hanno determinato il provvedimento. La raccolta di tali documenti costituisce uno strumento che permette di monitorare gli episodi di violenza e gli atti di contenzione a garanzia dei pazienti e degli psichiatri.
Qualora il quadro clinico richieda il prolungamento della contenzione fisica si rende inevitabile il ricorso al TSO.
L’Accertamento Sanitario Obbligatorio (ASO) e il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO)
L’ASO ed il TSO, già previsti nella legge n� 180 del 13 maggio 1978, sono confluiti nella legge n� 833 del 23 dicembre 1978, Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.
Il riferimento normativo fondamentale è dato dall’Art. 32 della Costituzione “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge“.
Più recentemente, il codice deontologico ha affermato la necessità di ricercare il consenso informato contestualmente alla proposta di ogni trattamento sanitario.
“Il medico non può intraprendere alcuna attività diagnostica e terapeutica senza il valido consenso del paziente, che, se sostanzialmente implicito nel rapporto di fiducia, deve essere invece consapevole ed esplicito allorché l’atto medico comporti rischio o permanente diminuzione della integrità fisica“.
Codice deontologico dei medici Art. 42 Aggiornamento del 1999
Art. 33 legge 833/78: “gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione di chi vi è obbligato“.
Occorre sottolineare che “accompagnate” non significa necessariamente precedute, poiché gli avvenimenti possono verificarsi in tempi molto rapidi. È comunque necessario orientare il proprio operato allo scopo di raggiungere un consenso al trattamento anche in una fase critica del rapporto medico-paziente.
Si tratta di un rapporto intriso di forte ambivalenza, almeno nella fase acuta, e fa parte della tecnica psichiatrica tollerare questa situazione, evitando il più possibile deleghe dei “casi difficili”.
Il principio della continuità terapeutica costituisce a nostro avviso il criterio guida, ma deve essere interpretato alla luce di una collaborazione articolata degli interventi. Infatti, in certe situazioni il curante potrebbe non essere la persona più indicata a seguire il paziente nel suo percorso successivo.
Un secondo punto chiave della legge 180 riguarda l’obbligatorietà di alcuni trattamenti: trattamenti sanitari obbligatori. Le condizioni necessarie per procedere ad un TSO sono normate dall’Art. 34 legge 833/78:
“esistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici” e “gli stessi non vengono accettati dall’infermo“, non vi sono “condizioni e circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure extraospedaliere“.
Infine, la legge 180 ridefinisce, anche se in modo generale, le competenze operative e giuridiche.
All’Art. 33 della legge 833/78 si legge: “Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori sono disposti con provvedimento del Sindaco nella sua qualità di autorità sanitaria, su proposta motivata di un medico. Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori sono attuati dai presidi e servizi sanitari pubblici territoriali e, ove necessiti la degenza, nelle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate“.
Fase di valutazione clinica
L’accertamento delle condizioni cliniche viene effettuato da un medico, avvalendosi di ogni possibile fonte d’informazione relativa alla dinamica dell’episodio indice.
1) Il soggetto su cui effettuare l’accertamento (potrebbe non essere ancora un “paziente”!) è disponibile e si presta alle procedure di valutazione.
a) Non vengono rilevate “alterazioni psichiche” da trattare: non si prosegue con proposte di trattamento.
b) Vengono rilevate “alterazioni psichiche” da trattare;
i) sono necessari degli “interventi terapeutici” (trattamento), ma non “urgenti“: si discute la proposta di trattamento con l’interessato;
ii) gli “interventi terapeutici” sono “urgenti” e “necessari“, vengono proposti e:
(1) vengono accettati dall’infermo (paziente): si procede;
(2) vengono accettati dall’infermo (paziente),
(a) ma solo al di fuori dell’ospedale e
(b) vi sono “condizioni e circostanze che consentono di adottare tempestive ed idonee misure extraospedaliere“: si procede con il trattamento;
(c) non vengono accettati dall’infermo, ma:
(d) vi sono “condizioni e circostanze che consentono di adottare tempestive ed idonee misure extraospedaliere“: si procede con il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) extraospedaliero (cfr. Procedure);
(e) non vi sono “condizioni e circostanze che consentono di adottare tempestive ed idonee misure extraospedaliere“: si ripropone il trattamento in ospedale;
1. se il paziente accetta: si procede con il ricovero volontario (TSV);
2. se il paziente rifiuta, si configura il soddisfacimento dei sei requisiti per il TSO ospedaliero (cfr. Procedure TSO in regime ospedaliero):
a. la presenza di alterazioni psichiche
b. la necessità dell’intervento terapeutico
c. l’urgenza dello stesso
d. la mancanza del consenso (“rifiuto“) da parte del paziente
e. l’impossibilità di adottare misure extraospedaliere tempestive
f. l’impossibilità di adottare misure extraospedaliere idonee.
2) Se i dati disponibili portano al fondato sospetto che ricorrano i primi tre requisiti per il TSO e si verifichi il fatto che non si riesce ad entrare in contatto con la persona interessata, può essere proposto l’accertamento sanitario obbligatorio (ASO) (cfr. di seguito punti 1 e 2 Art. 34 legge 833/78).
a) Non vengono rilevate “alterazioni psichiche” da trattare: non si prosegue con proposte di trattamento, ma va riconsiderato attentamente il sistema di informazioni e di decisioni che porta a chiedere un ASO!
b) Vengono rilevate “alterazioni psichiche” da trattare: le decisioni da prendere seguono il prospetto di cui sopra (punto 1b).
1) La proposta deve essere scritta e motivata: viene formulata da un medico al Sindaco del Comune nel cui territorio si trova, o si presume possa trovarsi, il paziente. La proposta può essere anche anticipata via fax al Sindaco e, per prudenza, viene successivamente inviata in originale con ricevuta di ritorno o consegnata a mano con ricevuta. Non è previsto che il medico sia obbligatoriamente uno specialista in psichiatria, né che appartenga al Servizio Sanitario Nazionale. Si specificano:
a) i dati del paziente;
b) i dati del medico proponente;
c) la situazione clinica ed i motivi che lo spingono a chiedere il provvedimento, in modo chiaro e comprensibile anche per chi, come il Sindaco o il Giudice Tutelare, non ha dimestichezza con lessico psichiatrico;
d) il luogo ed il tempo in cui si intende effettuare l’ASO o il TSO extraospedaliero (ambulatorio, domicilio del paziente, Pronto Soccorso, Comunità Protetta etc.). È opportuno scegliere un luogo nel rispetto della sicurezza, ma anche della dignità del paziente; per esempio, il luogo di lavoro potrebbe non essere il primo ambiente da indicare, salvo urgenze specifiche. Le sedi del Centro di Salute Mentale sono luoghi più organizzati ed indicati per gli ASO ed i TSO extraospedalieri rispetto agli ambulatori periferici. È opportuno indicare al Sindaco anche le alternative possibili sul luogo ed il tempo in cui disporre il provvedimento e darne comunicazione ai medici coinvolti operativamente. Anche per questo motivo la sede preferibile è il Pronto Soccorso ospedaliero dove sia attivabile una consulenza psichiatrica.
2) La Polizia municipale interviene, su ordinanza del Sindaco, per mettere il soggetto a disposizione per l’accertamento nel caso dell’ASO e dell’intervento terapeutico nel caso del TSO extraospedaliero.
3) Il Servizio di Salute Mentale interviene con un ruolo tecnico specifico (cfr. oltre).
È sempre opportuna una consultazione preventiva tra operatori sanitari e Polizia municipale sulle modalità e le possibili problematiche. Da tale consultazione potrà eventualmente nascere l’esigenza di interpellare i Carabinieri o la Polizia.
4) Per gli ASO, come per i TSO extraospedalieri, a differenza dei TSO in regime ospedaliero, non è prevista dalla legge alcuna comunicazione al Giudice Tutelare, atto che costituirebbe invece una garanzia per il soggetto obbligato, e che viene raccomandato nei Regolamenti applicativi di alcune Regioni italiane (Regione Emilia Romagna e Regione Lombardia).
5) Qualunque provvedimento venga adottato dopo l’ASO o dopo il TSO extraospedaliero, è doveroso notificarlo al Sindaco. Per esempio, il provvedimento di TSO (ospedaliero o meno) ha una durata di sette giorni. È evidente che se il provvedimento emesso dal Sindaco è finalizzato ad un intervento puntiforme, che il medico proponente ritiene sufficiente, occorre chiedere al Sindaco di sospendere l’esecuzione del TSO; in caso contrario permarrebbe un obbligo di custodia del paziente per tutta la durata del provvedimento (sette giorni).
Proposta
• La procedura è uguale a quella descritta per l’ASO (nota 5), con alcune differenze in merito alle copie della documentazione.
• Nella proposta è necessario indicare il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) dell’Ospedale Generale ove effettuare il TSO in regime di ricovero. Anche alcune Cliniche Psichiatriche Universitarie accolgono pazienti in TSO. La legge 833/78 si limita a specificare che il trattamento deve avvenire in reparti dell’ospedale generale.
È un secondo accertamento in cui il medico, se rileva le sei condizioni descritte nell’Art. 34 della legge 833/78, concorda con la proposta avendo accertato le condizioni previste dall’Art. 34 citato.
• La convalida deve contenere a sua volta i dati del paziente,
• quelli del medico convalidante e
• la descrizione clinica che motiva la certificazione.
• Anche la convalida può essere anticipata via fax al Sindaco e successivamente inviata con ricevuta di ritorno o consegnata a mano con ricevuta.
• Il medico convalidante deve appartenere al Servizio Pubblico. Non è necessario che sia uno specialista in psichiatria. Può trattarsi del medico di Pronto Soccorso o del medico di guardia sul territorio (118 Servizio di Continuità Assistenziale) che, pur essendo convenzionato e non dipendente, nell’esercizio delle sue mansioni viene considerato personale della struttura sanitaria pubblica.
• Sia la proposta che la convalida vanno inviate al Sindaco in n. 3 copie, ciascuna con firma originale, secondo l’orientamento di molti Giudici Tutelari. Sono comunque opportune ulteriori copie della documentazione:
a) una per il medico convalidante;
b) una per il medico proponente;
c) una per il Servizio di Salute Mentale che segue il paziente;
d) una per il SPDC che lo accoglierà.
• Pur non prevista dalla legge, appare opportuna la comunicazione tra medico proponente e convalidante. Questa collaborazione può ovviare all’eventuale impraticabilità di una convalida in tempi adeguati sul luogo in cui si trova il paziente, (per esempio, quando la proposta avviene presso il domicilio del paziente ed il medico convalidante non può lasciare l’ambiente ospedaliero in cui si trova in servizio), consentendo al medico proponente di richiedere un ASO “funzionale” per l’accompagnamento del paziente nell’ambito di Pronto Soccorso ospedaliero dove è possibile effettuare l’eventuale TSO.
• Nella legge non si specifica quale lasso temporale massimo può decorrere tra la proposta di TSO e la sua convalida (24 ore? 48 ore?). È ragionevole supporre che non vi debba essere soluzione di continuità tra le due fasi, dal momento che si tratta di una situazione “urgente”.
• Nella legge non si specifica quale ospedale generale debba essere individuato prioritariamente per l’effettuazione del TSO, ma si suppone che l’indicazione di urgenza con cui trattare il paziente imponga di fare riferimento alla struttura territorialmente più vicina, salvo opportunità o necessità del caso (per esempio mancanza di posti letto nell’SPDC più vicino). Inoltre va rispettata la necessità di inscrivere il TSO nell’ambito di un percorso terapeutico, per cui la scelta dell’ospedale deve tenere conto della possibilità di mantenere i contatti necessari con il paziente durante e dopo la degenza e talora l’eventuale preferenza espressa dal paziente in riferimento al luogo. Nel caso in cui non risulti alcuna disponibilità di posto letto nell’ospedale di riferimento, prima del trasferimento in TSO in altra U.O. è necessario valutare che questa eventualità non comporti l’esposizione del paziente ad ulteriori rischi, quali ad es. potenziali complicanze internistiche di problematiche in atto.
• Il provvedimento del Sindaco viene emesso entro 48 ore dalla convalida: si suppone che faccia fede l’ora di ricevimento della documentazione, anche via fax.
• Entro 48 ore dal ricovero in SPDC il provvedimento di TSO deve essere notificato, tramite messo comunale, al Giudice Tutelare competente.
• Entro 48 ore dalla notifica il Giudice Tutelare convalida il provvedimento di TSO e lo comunica al Sindaco. In caso di mancata convalida da parte del Giudice Tutelare, il Sindaco dispone la cessazione del TSO in regime di degenza ospedaliera.
• Il TSO in regime di degenza ospedaliera ha la durata di sette giorni. Qualora sussistano i motivi di cui all’Art. 34 della legge 833/78 (cfr sopra), è possibile la proroga: il “sanitario responsabile del servizio psichiatrico della unità sanitaria locale è tenuto a formulare, in tempo utile, una proposta motivata al sindaco che ha disposto il ricovero, il quale ne dà comunicazione al giudice tutelare, indicando la ulteriore durata presumibile del trattamento stesso“. (Art. 35 legge 833/78). Anche in questo caso non si specifica nulla nella legge, ma si suppone che il Sindaco disponga di 48 ore per emettere un provvedimento di proroga del TSO o di revoca. Nel frattempo è prudente mantenere la custodia del paziente, nel caso sia stata proposta una proroga del TSO.
• Amministrazione dei beni del paziente: “Qualora ne sussista la necessità il giudice tutelare adotta i provvedimenti urgenti che possono occorrere per conservare e per amministrare il patrimonio dell’infermo“. (Art. 35 legge 833/78). Questo aspetto è poco conosciuto, ma apre la possibilità di assistere un paziente in situazione di oggettiva crisi anche sotto il profilo patrimoniale. È quindi necessario valutare i rischi di una possibile compromissione patrimoniale del paziente ricoverato in TSO. La legge n. 6 del 9 gennaio 2004, relativa all’istituzione dell’amministratore di sostegno, ha semplificato la nomina di un soggetto che tuteli persone “prive in tutto o in parte di autonomia”. Se il paziente non è in grado di provvedere ai valori che ha con sé all’atto dell’ammissione in ospedale, la custodia di questi viene affidata al servizio economale ospedaliero.
• Possibilità di ricorso: “Chi è sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio e chiunque vi abbia interesse può proporre al tribunale competente per territorio ricorso contro il provvedimento convalidato dal giudice tutelare“ (Art. 35 legge 833/78).
• Celerità della procedura: è auspicabile per ogni Comune la reperibilità del Sindaco o degli Assessori da lui delegati alla firma, al fine di rendere esecutiva in tempi e modi corretti l’ordinanza. Più problematico rimane invece il coordinamento tra Comuni limitrofi allorché le forze disponibili in un territorio non siano sufficienti per rendere esecutiva l’ordinanza.
Molto dibattuto è il tema delle competenze nell’esecuzione del T.S.O.
Deve essere “assicurato dall’azione complementare di due tipi di operatori, con distinti ambiti di intervento e di responsabilità. Cade pertanto ogni contrapposizione fuorviante tra operazione di polizia e operazione sanitaria. Si tratta infatti di una operazione congiunta laddove il personale sanitario, lungi dall’essere deresponsabilizzato dalla presenza della forza Pubblica, continua ad essere titolare di un ruolo tecnico mirato alla tutela della salute del paziente, al rispetto ed alla cura della sua persona, nonché al recupero di un suo consenso“.
Nota del Ministero della Sanità dell’Ottobre 1992 (nota 6).
Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori sono giuridicamente provvedimenti di tipo amministrativo e come tali sono disposti dal Sindaco. “Nella fase di attuazione di un’ordinanza di ASO o di TSO il Comune conserva uno specifico interesse alla corretta esecuzione della medesima e quindi un potere-dovere di vigilanza da attuarsi attraverso il proprio personale, nella fattispecie il Corpo di Polizia Municipale, in quanto l’impostazione forzata che ne discende riveste, come per tutte le ordinanze, il carattere di una operazione di ‘polizia amministrativa’ diretta dall’osservanza di regolamenti e di provvedimenti dell’autorità, quali i trattamenti sanitari obbligatori“.
Progetto-Obiettivo “Tutela socio-sanitaria dei malati di mente” – triennio 1995-1997. Deliberazione Consiglio Regione Lombardia n. V/1329 30 gennaio 1995
“Le competenze e le responsabilità di ordine sanitario possono essere sospese o surrogate dall’intervento della Polizia Municipale; durante l’esecuzione di una ordinanza il personale sanitario continua ad essere titolare di un ruolo tecnico finalizzato alla tutela della salute del paziente sottoposto al provvedimento, all’adozione delle modalità più idonee al rispetto ed alla cura della sua persona, nonché al recupero di un eventuale consenso. Qualora ogni possibile intervento del personale sanitario si dimostri vano e si renda necessario l’uso della coazione fisica per vincere la particolare resistenza opposta dal paziente, subentra la specifica competenza della Polizia Municipale istituzionalmente chiamata a provvedere alla esecuzione del provvedimento. L’intervento della Polizia Municipale non può ritenersi eventuale e subordinato a quello del personale sanitario bensì contestuale“.
Progetto-Obiettivo “Tutela socio-sanitaria dei malati di mente” – triennio 1995-1997. Deliberazione Consiglio Regione Lombardia n. V/1329 30 gennaio 1995
Secondo la Legge Regionale n. 63 del 1983 della Regione Toscana il Sindaco si avvale per le ordinanze aventi carattere contingibile e urgente, degli specifici servizi delle UUSSLL (Art. 4, comma 4).
Nella “Direttiva regionale in ordine alle procedure di accertamento e trattamento sanitario obbligatorio per malattie mentali” della Regione Emilia Romagna si afferma:
“Nella fase di attuazione di un’ordinanza di ASO e TSO il Comune conserva uno specifico interesse alla corretta esecuzione della medesima e quindi un potere-dovere di vigilanza da attuarsi attraverso il proprio personale, nella fattispecie il Corpo di Polizia municipale, in quanto l’impostazione forzata che ne discende riveste, come per tutte le ordinanze, il carattere di una operazione di polizia amministrativa diretta all’osservanza di regolamenti e di provvedimenti dell’autorità, quali i trattamenti sanitari obbligatori. La notifica e l’esecuzione di una ordinanza non si configurano sul piano giuridico come atti sanitari e pertanto il personale di cui il Sindaco si deve avvalere, per dare esecutività al proprio provvedimento, non può essere individuato in via prioritaria od esclusiva tra il personale medico“.
E inoltre: “L’intervento della Polizia municipale non può ritenersi eventuale e subordinato a quello del personale sanitario, e tale contestualità deve esplicarsi attraverso la distinzione chiara dei rispettivi ambiti di intervento“.
La valutazione del contesto in cui l’intervento viene programmato deve considerare l’utilità di una consultazione tra gli operatori sanitari e quelli di Pubblica Sicurezza. Talora vi è l’opportunità di attivare ulteriori risorse (Carabinieri, Polizia, Vigili del Fuoco), secondo le competenze specifiche e le esigenze del caso.
Sono da incoraggiare, a nostro avviso, le esperienze locali di confronto inter-istituzionale, tra Aziende Sanitarie/Ospedaliere, Comuni, Forze dell’Ordine e Magistratura. Dal confronto e dalla condivisione delle responsabilità sono già nati, in alcune realtà, protocolli più efficienti per l’applicazione degli ASO e dei TSO (Dipartimento di Salute Mentale, Comune di Bologna, AUSL di Bologna. Documento congiunto in merito a: procedure di intervento riguardanti l’effettuazione di accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, 12.01.2001; Tavolo di confronto per la Salute Mentale presso la ASL di Brescia, 2004; Conferenza sugli ASO ed i TSO promossa dall’Azienda Ospedaliera di Crema, 2004, solo per citarne alcuni).
Garanzie per le persone sottoposte ad ASO e/o TSO
1) “Nel corso del trattamento sanitario obbligatorio, l’infermo ha diritto di comunicare con chi ritenga opportuno” (Art. 33 legge 833/78).
2) “Chiunque può rivolgere al Sindaco richiesta di revoca o di modifica del provvedimento con il quale è stato disposto o prolungato il trattamento sanitario obbligatorio” (Art. 33 legge 833/78).
3) Doppia valutazione medica, di cui una eseguita da un medico dipendente dalla struttura sanitaria pubblica, per il TSO in regime di degenza ospedaliera.
4) Notifica del provvedimento e del ricovero al Giudice Tutelare.
5) Possibilità di far ricorso (Art. 35 legge 833/78).
6) Formalizzazione del TSO anche nel caso di minori. Si possono verificare tre situazioni:
a) minore bisognoso di cure urgenti e consenziente ad esse, ma genitori contrari all’intervento proposto dal sanitario;
b) minore bisognoso di cure urgenti, non consenziente, ma genitori favorevoli all’intervento;
c) né il minore, né i genitori sono consenzienti all’intervento, pur ritenuto urgente.
7) La formalizzazione del TSO, con la specificazione della motivazione, permette un migliore coinvolgimento del Giudice Tutelare, data l’eccezionalità dell’evento.
Non si propone un TSO quando:
• ricorrono gli estremi per lo Stato di necessità (Art. 54 c.p);
• si è in presenza di stato di coscienza gravemente alterato.
In tali casi, quando il soggetto è intossicato, sub-confuso, disorientato e non è in grado di esprimere un libero consenso, ma nemmeno un valido dissenso al trattamento, è doveroso procedere nella cura del paziente, senza formalizzare il TSO. In genere tali condizioni ricadono per lo più sotto la competenza dei medici del Pronto Soccorso, delle astanterie e della medicina generale, dell’hospice e di realtà ospedaliere differenti dalla psichiatria.
Se la situazione richiede un intervento in stato di necessità o in ASO/TSO, la mancata attuazione dell’intervento può comportare:
• omissione di soccorso (Art. 593 c.p.);
• colpa per imperizia, negligenza o imprudenza;
• abbandono di persone minori o incapaci (Art. 591 c.p.).
Mentre negli altri paesi occidentali, a partire dagli anni ’60, i provvedimenti legislativi e giudiziari hanno limitato i poteri del medico nell’imporre il ricovero obbligatorio (14) (15) la discrezionalità dello psichiatra in Italia è del tutto controtendenza, ed è foriera tra l’altro di possibili pesanti implicazioni riguardanti la responsabilità professionale (16).
Nello “spirito” della legge “180” si intende probabilmente svincolare il concetto di malattia da quello di pericolosità, così come in seguito poi avverrà con l’abrogazione del comma b dell’Art. 204 del codice penale relativo alla presunta pericolosità sociale di soggetti rei e “prosciolti folli” (Legge n. 663 del 10.10.1986, Art. 31: “Tutte le misure di sicurezza personale sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso fatto è persona socialmente pericolosa“). Tuttavia in modo paradossale la discrezionalità dello psichiatra in merito alla coercizione diventa massima. L’ampliamento della discrezionalità è determinato dal mancato riferimento alla concezione medica di disturbo mentale ed al criterio di “previsione della pericolosità (nota 7)”.
Infatti, dal testo di legge non risulta necessaria la diagnosi di uno specifico disturbo, essendo sufficienti “alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti trattamenti terapeutici“.
Sono conseguentemente evidenziabili gli elementi di un ragionamento tautologico dato che tra le condizioni per procedere al trattamento obbligatorio è prevista una valutazione medica sulla necessità del trattamento stesso in condizioni di degenza ospedaliera insieme alla considerazione che non sia possibile fare altrimenti (17). Il TSO, non risultando un provvedimento di competenza esclusivamente medica, deve coinvolgere maggiormente la magistratura. Nella prassi, la disposizione del TSO, che interviene a limitare la libertà di un individuo, risulta circoscritta all’operato del medico, dalla proposta, alla convalida e proroga del provvedimento senza, di fatto, interventi di controllo da parte dell’autorità giudiziaria e amministrativa, come si evince dall’esame della giurisprudenza di questi ultimi ventisei anni. Si avverte quindi l’esigenza di un assetto normativo a tutela in primis dei diritti del paziente, ma anche, secondariamente, del medico, sia per i riflessi nella relazione terapeutica, che per le implicazioni di responsabilità professionale.
A riguardo, la Raccomandazione 1235 del 1994 del Parlamento Europeo sottolinea “la necessità che la decisione del ricovero sia assunta da un giudice“.
Il Comitato Direttivo di Bioetica del Consiglio d’Europa (CDBI) nel CM (2000) 23 Addendum del 10 febbraio 2000 ha rilevato che la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non ha mai richiesto che la decisione del ricovero iniziale sia presa da organi diversi dai tribunali (18).
In considerazione di queste valutazioni si auspica che l’Italia uniformi la sua normativa a quella dei paesi del Nord Europa e del Nord America dove, trascorso un primo periodo legato alle condizioni di emergenza, la proroga della limitazione delle libertà (con l’obbligo di ricovero e l’obbligo di sottoporsi a terapie) è ordinata o convalidata dal giudice (nota 8).
Responsabilità professionale
La responsabilità professionale che può chiamare in causa lo psichiatra per comportamenti violenti o suicidari di pazienti affidati alla sua cura ha favorito, nel clima statunitense, un’attitudine difensiva espressa dall’American Psychiatric Association (19) nel giudizio sulla “estrema difficoltà e probabilmente l’impossibilità, da parte dello psichiatra, di predire accuratamente una futura pericolosità“. Gli atti di violenza e i suicidi commessi da pazienti in terapia sono, infatti, al primo posto nelle vertenze legali contro gli psichiatri (20). L’ipotesi è che un adeguato intervento del terapeuta avrebbe potuto evitare le manifestazioni auto od eterodirette. Inevitabilmente si riaprono discussioni sul rapporto tra la dimensione di cura e quella di prevenzione, sociale e non solo medica (21), ma anche sui metodi da utilizzare (22), ora clinici, ora attuariali (23).
Freedman (24) ha commentato le evidenze delle capacità di predizione in un lavoro di Mc Niel e Binder (25) scrivendo che la ricerca “tende a ridimensionare l’idea che i medici siano privi del potere di previsione riguardo a futuri atti violenti da parte di loro pazienti. Dimostra invece che, quando ci si riferisce ad un futuro relativamente prossimo, la capacità di previsione del medico è piuttosto buona“.
Alcuni casi giudiziari statunitensi sono particolarmente esaustivi.
La prevedibilità del pericolo è centrale nel caso Tarasoff contro le autorità dell’Università della California in cui la Corte Suprema della California nel 1974 stabilì il dovere per il medico di avvertire la vittima potenziale di violenza.
Nella sentenza del Distretto del Nebraska nel caso Lipari vs Sears (1980) l’amministrazione di una struttura comunitaria venne condannata dopo l’omicidio compiuto da un ex ricoverato, dimesso un mese prima del fatto. Risultò che il paziente già un mese prima della dimissione aveva acquistato un fucile, con il quale in seguito uccise la vittima. In questo caso sono state sanzionate la negligenza e la scotomizzazione della pericolosità. Certamente, a differenza del caso Tarasoff, non era possibile identificare la vittima da proteggere (26).
Ancora più estensiva la sentenza dello Stato di Washington nel caso Peterson che impone il diritto di proteggere la collettività.
L’estensione del caso Tarasoff a investire la responsabilità professionale dello psichiatra è stata vista con preoccupazione per i riflessi sul rapporto medico-paziente (27). Sono stati soprattutto gli psicoterapeuti liberi professionisti a doversi interrogare sulla previsione della pericolosità e sul dovere di avvertire la vittima (28); e come commenta Talbot (29) dal “dovere di avvertire” (duty to warn) si è passati (o tornati) al dovere di “proteggere” (duty to protect).
L’estensione progressiva del caso Tarasoff è avvenuta in un clima culturale di allarme sociale, alimentato da casi di violenza di malati di mente dimessi sull’onda delle politiche di deistituzionalizzazione e di determinazione delle rette (DRG).
In Italia la responsabilità professionale medica è stata influenzata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 166 del 1973. Per i casi che presentino speciale difficoltà, l’imperizia viene giudicata commisurandola con la difficoltà tecnica. In tali casi per l’articolo del codice civile 2236 (che ispira anche il giudizio penale) il medico risponde solo in caso di dolo o di colpa grave. Il clinico deve sempre, anche di fronte a casi complessi, esercitare la prudenza e la diligenza media (“del buon padre di famiglia”, Art. 1176 C.C.).
Nella legge di riforma è venuto meno il riferimento alla pericolosità a sé e ad altri e ancora di più al pubblico scandalo. Catanesi e Greco (30) affermano che si è voluto ribadire che “il ricovero ha sempre e solo finalità di cura. Queste finalità possono anche coincidere con le esigenze di prevenzione, ma non saranno in alcun modo queste ultime a divenire determinanti o dirimenti“. Nella legge di riforma psichiatrica italiana, il bene da salvaguardare è la salute del singolo che, anche obbligatoriamente, viene recuperata quale parte del benessere di un corpo sociale più ampio, la collettività. Nelle legislazioni degli altri Paesi, invece, è ricorrente il riferimento alla prevenzione di comportamenti dannosi (31).
La grande discrezionalità affidata al medico nella valutazione delle “alterazioni psichiche” che richiedono il trattamento obbligatorio ha ampliato al massimo in Italia il potere del medico.
È sufficiente consultare la giurisprudenza per rilevare l’assenza di interventi di controllo da parte della autorità giudiziaria e amministrativa in questi ventisei anni. Non vi sono, a differenza di quanto è avvenuto in USA, vertenze per abusi commessi nell’esercizio della discrezionalità.
Questa ampia discrezionalità ha poi risvolti sul piano della responsabilità professionale.
La giurisprudenza sui profili di responsabilità professionale in queste aree di valutazione riguarda soprattutto condotte omissive, arrivando empiricamente a richiamare doveri di prevenzione da parte dello psichiatra.
Il Tribunale di Trieste nella sentenza del 23 novembre 1990 sul caso Zadnich ritenne che la USL fosse tenuta al risarcimento dei danni patrimoniali e morali, avendo omesso di svolgere una seria e meditata azione preventiva di cura e sorveglianza nei confronti di un infermo psichico per evitare il compimento di un illecito da parte di un soggetto la cui pericolosità era ampiamente dimostrata.
L’Art. 40 C.P. recita: “Non impedire un evento che si ha obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo“.
La Corte di Appello di Perugia il 9 Novembre 1984 ritenne che dovesse rispondere di omicidio colposo lo psichiatra responsabile di un servizio psichiatrico toscano che aveva omesso il t.s.o. e si era comunque astenuto dall’adottare idonee misure terapeutiche nei confronti di una persona affetta da schizofrenia. Questi due giorni dopo avrebbe ucciso la madre e ferito gravemente il padre. I familiari dichiararono di aver informato lo psichiatra che il paziente da qualche giorno era più nervoso, aveva minacciato la madre, rifiutato di assumere la terapia e di farsi visitare. Lo psichiatra era stato dapprima prosciolto in istruttoria, rinviato a giudizio per ricorso del Pubblico ministero, assolto in Assise. La Cassazione Penale, sez. IV del 5 Maggio 1987, annullò senza rinvio la condanna della Corte d’Appello.
Citeremo infine una sentenza su un comportamento omissivo cui seguì un suicidio. Il Tribunale di Bolzano (9 Febbraio 1984) ha condannato per omicidio colposo uno psichiatra per il mancato ricovero di un paziente poi suicidatosi. La condanna si basava sul presunto errore diagnostico (aver diagnosticato uno “stato ansioso depressivo” invece di una grave depressione).
Riteniamo che alcune raccomandazioni siano utili e doverose:
• raccogliere i dati in modo estensivo, avvalendosi di più fonti di informazione e della collaborazione dei membri della équipe in cui si opera;
• procedere ad una attenta valutazione clinica e di contesto di fronte a rischi di comportamenti auto ed eteroaggressivi;
• documentare in modo sintetico, non ambiguo e completo il processo decisionale;
• nei casi più complessi va promosso il confronto tra Colleghi o l’acquisizione di un “secondo parere” tecnico;
• è comunque utile chiedere una consulenza o consigli legali, se la situazione lo permette (Menninger, 1989).
Le manifestazioni aggressive auto ed eterodirette contribuiscono significativamente allo stigma che circonda ancora i disturbi mentali. La mancanza di specifiche linee guida lascia solo lo psichiatra di fronte a scelte difficili e in un ambito controverso, dove i profili di responsabilità professionale si stanno ampliando. Il vuoto di regolamentazione esaspera ulteriormente le diatribe relative alle procedure ed alle indicazioni per la contenzione.
La legge di riforma psichiatrica, con la cancellazione del criterio di previsione della pericolosità, ha cercato di attenuare il rapporto tra disturbo mentale e pericolosità, conseguendo paradossalmente un ampliamento della discrezionalità dello psichiatra nei trattamenti non volontari. Al contrario, negli altri paesi occidentali, a partire dagli anni ’60 si è rilevata una tendenza legislativa e giudiziaria a limitare il potere decisionale medico.
La gestione medica dell’aggressività e dell’emergenza comportamentale ha lo scopo di trattenere pazienti molto problematici all’interno del circuito di cura, con il contributo di differenti competenze integrate ad un livello sinergico. Di fronte a manifestazioni violente dovremmo chiederci cosa non ha funzionato e rivalutare i nostri programmi, con la stessa attenzione che poniamo alla realtà e ai problemi concreti posti dalla persona malata. Il rischio per il paziente di una fuoriuscita dal circuito di cura è “l’abbandono e la negligenza, che conducono alla deriva dell’abbrutimento della vita da homeless” (32), oppure l’ingresso nei percorsi giudiziari.
Note
(nota 1) Secondo le linee guida del Royal College of Psychiatrists 1988 (Royal College of Psychiatrists. Management of imminent violence. Clinical practice guidelines to support mental health services. London: Royal College of Psychiatrists 1998) “l’isolamento deve essere adoperato soltanto quando la violenza non può essere controllata con altre modalità (ad esempio farmaci, mezzi di contenzione)”. Va nella direzione di una maggiore articolazione degli spazi dei reparti di Psichiatria anche la proposta di “una sezione di 5-10 posti letto, distinta ma contigua rispetto all’SPDC, così da consentire il trattamento separato di pazienti con psicosi di particolare gravità, con Disturbo Bipolare a ciclicità rapida, con elevato rischio di autolesionismo e suicidio, di pazienti gravi con doppia diagnosi” 32.
(nota 2) Altrimenti si configura il reato di violenza privata (art. 610 c.p.) o di sequestro di persona (art. 605 c.p.).
(nota 3) Jourdan S, Fornari U. La Responsabilità del medico in Psichiatria. Torino: Centro Scientifico Editore 1997, pp. 59 e sgg.
(nota 4) Formalmente la legge non limita il t.s.o. al contesto ospedaliero, ma è molto difficile immaginare di avere altrove le garanzie di contenimento (di personale e strutturali).
(nota 5) In situazioni complesse e conflittuali con l’ambiente familiare (quando questo è ambivalente o collusivo con il paziente) è opportuno: a) motivare lo specifico trattamento proposto, se possibile alla luce dell’anamnesi del paziente, b) descrivere la carenza o la qualità del sostegno sociale c) eventuali altri rischi connessi al mancato trattamento.
(nota 6) 14 anni dopo la riforma la nota testimoniava che “alcuni Comuni stabiliscono che l’esecuzione del provvedimento di T..S.O. è compito esclusivo degli operatori dei Servizi psichiatrici”.
(nota 7) La vecchia legge del 1904 era più garantista perché ancorava l’obbligatorietà del ricovero ad una previsione di comportamenti auto od eterolesivi. Tale criterio della previsione di pericolosità risultava adottato nel 1980 in USA da 48 stati (Ariatti R, Fioritti A. La responsabilità professionale dello psichiatra. In: Ariatti R, Lo Russo L, Melega V, eds. I problemi giuridici dell’assistenza psichiatrica dopo la Legge 180. Regione Emilia Romagna. Bologna: Assessorato alla Sanità 1991, pp. 134-52).
(nota 8) Appaiono discutibili sotto il profilo giuridico le proposte di un contratto firmato dal paziente in una condizione di recuperato compenso, dove sostanzialmente questi rinuncia a diritti indisponibili, come quello di esprimere successivamente il consenso informato al ricovero o alla cura.
Tab. I. La contenzione fisica. Physical constraint.
1. |
La contenzione deve, di preferenza, essere eseguita da un minimo numero di cinque persone. Una tale dimostrazione di forza può produrre di per sé collaborazione nel paziente. |
2. |
Il piano specifico prevede che ogni singolo operatore trattenga un arto ed uno protegga la testa. |
3. |
Il contatto va preferibilmente attuato nel momento in cui l�attenzione del paziente è distratta. |
4. |
È opportuno che sia disponibile l�intervento farmacoterapico per via parenterale da somministrarsi il prima possibile, dopo che la contenzione è stata completata, se il paziente continua ad agitarsi. |
5. |
Le cinghie in tela per la contenzione devono essere controllate ad intervalli frequenti da parte dello staff per verificarne il comfort e la sicurezza. È importante che gli arti non siano posti in posizione tale da produrre una trazione sui nervi o una lesione da compressione. |
6. |
Si dovrebbe cercare di spiegare al paziente i motivi della contenzione. |
7. |
La contenzione non deve essere mai rimossa senza una adeguata presenza di componenti dello staff. |
8. |
I pazienti intossicati dovrebbero essere contenuti in posizione di decubito sinistro e controllati da vicino per prevenire una possibile aspirazione di sostanze nelle vie respiratorie. |
9. |
Se la contenzione dura molte ore è necessario considerare la mobilizzazione passiva del paziente e addirittura, in presenza di fattori di rischio, l�impiego di eparina. |
Modificata da Hyman 1990 (Hyman SE. Manuale delle emergenze psichiatriche. Ed. italiana a cura di R. Rossi. Milano: McGraw Hill Libri Italia s.r.l. 1990).
Tab. II. Valutazione clinica dei comportamenti aggressivi. Clinical assessment of aggressive behaviour.
� Profilo temperamentale: temperamento irritabile/violento, impulsività (acting out, anche sessuali, guida spericolata). Reattività, relazioni affettive tumultuose. |
� Dati anamnestici: precedenti episodi di tentativo di suicidio o di violenza, comportamenti sociopatici (furti nei negozi, danneggiamenti), presenza di Disturbi Mentali (umore, abuso di sostanze, demenza), di Disturbi di Personalità (borderline, antisociale, organico). |
� Modalità dell�atto aggressivo o della verbalizzazione: azioni preordinate, consapevolezza del metodo impiegato, tipologia del bersaglio, disponibilità di strumenti. Nel caso del suicidio: precauzioni per evitare il soccorso. |
� Entità delle lesioni. |
Di Fiorino M, Gemignani A, Balestrieri M, 2003
1 Allen MH, Currier GW, Hughes DH, Reyes-Harde M, Docherty JP. The Expert Consensus Guidelines Series. Treatment of Behavioral Emergencies. Postgraduate Med Spec Report McGraw-Hill Companies 2001.
2 Allen MH, Currier GW, Hughes DH, Reyes-Harde M, Docherty JP. Il Questionario per le linee guida del trattamento di emergenze comportamentali aggressive, versione italiana del questionario. (2� draft) di The Expert Consensus Panel for Behavioral Emergencies 2002.
3 Di Fiorino M, Gemignani A, Cerù A. Il Trattamento delle Emergenze Comportamentali Aggressive. Export Consensus Panel. Draft. I. Psichiatria e Territorio, 2001;XVIII:2, 8-45.
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18 Comitato Direttivo di Bioetica del Consiglio d�Europa (CDBI) nel CM (2000)23 Addendum del 10 febbraio 2000.
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30 Catanesi R, Greco O. Responsabilità professionale. In: Pancheri P, Cassano GB, eds. Trattato italiano di psichiatria. Seconda Edizione. Milano: Masson 1999, Vol. 3.
31 Fioritti A. Leggi e salute mentale: panorama europeo delle legislazioni di interesse psichiatrico. Torino: Centro Scientifico Editore 2002.
32 Cassano GB, Di Fiorino M. L�imperativo etico di imparare dalle esperienze. In: Munizza C, ed. Salute Mentale e Diritti. Problemi e percorsi di tutela. Torino: Centro Scientifico Internazionale 2003, pp. 57-64.