Allarme “mucca pazza”: un fraintendimento nevrotico di un avvenimento attuale ovvero la Sindrome di Welles

"Mad cow": a neurotic misunderstanding of a current event or the Welles Syndrome

A. Berti, C. Maberino

Dipartimento di Scienze Psichiatriche, Universit� di Genova

Parole chiave: BSE • Psicopatologia
Key words: BSE • Psychopathology

Sono state indicate come le paure del terzo millennio, la mucca pazza e, più in generale, il cibo insicuro.

Due paure fondate su dati oggettivi che hanno scatenato reazioni diverse: nella maggior parte delle persone un controllo più attento di ciò che si mangia, in alcuni una reazione controdifensiva che li porta ad ignorare platealmente la fonte di rischio, in altri, l’irrazionale terrore di poter essere contagiati, ha innescato dei meccanismi fobici o ossessivi di controllo che per loro caratteristiche peculiari rientrano nella psicopatologia.

Che l’allarme sia generale, difficilmente contenibile e con tinte ossessive lo dimostrano i fatti.

Il dubbio di infezione iniziato dal consumo della carne bovina si sta velocemente propagando alle altre carni e agli alimenti derivati dagli stessi animali.

Come per una reazione a catena si è arrivati a chiedersi se il pesce, i pollami, gli ovini e quant’altro siano “pazzi”, al mercurio, infettati dall’afta o se i temuti prioni abbiano potuto oltrepassare membrane placentari e filtri biologici infettando anche i derivati degli stessi animali come latte, formaggio, olii, arrivando a rendere pericolosi persino gli stessi mezzi di cura. Infatti, nonostante già nel 1994 siano stati messi fuori commercio i medicinali prodotti con parti di bovino che potrebbero contenere il prione, le case farmaceutiche si sono trovate a dover certificare al Ministero della Sanità che i loro prodotti non contengono sostanze di origine bovina.

Gli aspetti psichici legati alla sindrome da mucca pazza, per altro totalmente estranei all’agente patogeno della Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE), sono un fenomeno non ancora completamente emerso ma di cui alcuni individui danno inequivocabili segni e sono dati da un fraintendimento nevrotico di un avvenimento attuale.

È semplicistico pensare che la cosiddetta “psicosi della mucca pazza” sia imputabile al troppo allarmismo o all’enfasi data al problema, queste potrebbero essere al massimo causa di atteggiamenti eccessivamente prudenziali, sfumature fobiche e ossessive ma del tutto insufficienti per autorizzare a parlare di psicopatologia diffusa. Ma quando la velocità di diffusione delle notizie e la loro amplificazione si intersecano con la caduta delle certezze e la fragilità del mondo civile odierno scaturisce una atmosfera che ricorda quella evocata da Orson Wells nel 1938 con una famosa trasmissione radio che annunciava lo sbarco dei marziani a New York. Pochi si accorsero dello stacco pubblicitario che interrompeva la notizia e provava come la stessa facesse parte del copione del film “La guerra dei mondi” e il fraintendimento definì un fenomeno di iperemotività di massa che sul piano psicopatologico si avvicina alla famiglia dell’isteria e che nulla ha a che vedere con la psicosi, termine in questo caso erroneo e quindi da abolire.

Sul piano psicopatologico individuale occorre distinguere tra gli effetti dell’allarme mucca pazza due funzioni distinte una patogena che definisce l’ansia e le situazioni di evitamento, l’altra patoplastica cioè di induzione di contenuti in pazienti di base psicopatologici.

Iniziamo dalla prima. Di consueto l’Io normale mette in guardia davanti ad un pericolo reale e l’esperienza di paura che ne deriva può essere utilizzata come segnale protettivo ma in uno stato di angoscia questa intenzione fallisce completamente e quanto era inteso per prevenire uno stato traumatico in realtà lo provoca.

Sebbene la BSE sia un vero e proprio evento stressante che ha messo in crisi tradizioni e abitudini alimentari, non è tanto l’agente eziologico della malattia ad essere la fonte di paura ma, come è stato in passato per il virus HIV, quello che provoca una vera reazione traumatica è proprio il fatto che venga a mancare improvvisamente o sia sul punto di scomparire qualcosa che fa parte delle consuete abitudini e con cui si è soliti soddisfare bisogni primari e, così come per l’HIV si è trattato di una vera e propria castrazione sessuale, nel caso della BSE e più in generale del cibo insicuro si tratta dell’ipotesi di tagli alimentari.

Nonostante nessuno sia immune dallo stress non tutti reagiscono allo stesso modo. Partendo dal presupposto che una certa quantità di difesa patogena può essere sopportata da tutti, in alcune persone in cui preesiste una tensione intima questa può essere rafforzata e creare una disposizione all’angoscia, infatti più energia spende una persona in conflitti difensivi latenti tanto maggiore è la sua disposizione ad ammalarsi se un fattore precipitante disturba il suo equilibrio mentale.

L’individuo in questione diventa come un barilotto di polvere di dinamite per cui il segnale di pericolo dato dall’Io agisce come un fiammifero; gli effetti della deflagrazione dipendono dalla quantità di dinamite o, uscendo dalla metafora, dal grado e dal tipo di tensione preesistenti.

Il sintomo più comune e forse quello più semplicemente comprensibile è l’ansia.

Esiste in alcuni individui la disposizione esplosiva all’angoscia che è controllata fino a quando non ha luogo un’allusione a quella situazione specifica. Se questa situazione specifica viene sfiorata allora l’angoscia diventa manifesta. Ansiosi si nasce per predisposizione biologica o per origine storica e in questi casi gli stimoli esterni sono solo dei fattori scatenanti. Va da sé che una persona tesa o, ancor peggio, svantaggiata per la presenza di un preesistente Disturbo d’Ansia Generalizzata reagisca ad una situazione pericolosa diversamente da una normale.

Ma lo stato di allarme può trasformarsi in una vera e propria fobia della carne quando al di là di una semplice predisposizione biologica sia presente un conflitto inconscio. Alla funzione patogena si viene a sovrapporre o si sostituisce la funzione patoplastica cioè l’induzione di specifici contenuti in soggetti di base psicopatologici.

Alcune fobie sono generiche riguardanti il mangiare, ed altre più specializzate riguardanti determinati cibi entrambe ricollegabili a conflitti inconsci sia tramite associazioni alla storia personale sia per il loro significato simbolico. La sindrome della mucca pazza sicuramente può essere considerata ad elevato significato simbolico e conseguentemente evocativa di conflitti inconsci.

Due dei quattro elementi che possono essere causa della slatentizzazione di un quadro psicopatologico sono di ordine generale, propri delle malattie infettive, l’infezione in sé e la potenzialità di diffusione dell’agente patogeno. Gli altri due sono specifici e fanno riferimento ai termini “pazza” e “mucca” entrambi, come vedremo, ad alto potenziale simbolico.

L’infezione, la paura del contagio, in modo particolare quando questo può essere veicolato dal cibo, induce fobie che sono accomunabili a quelle rupofobiche; la tendenza ad evitare lo sporco, così come quella di astenersi dal consumo di ogni alimento “sospetto”, mostrano come il paziente debba difendersi da fantasie sadico-anali. Mentre l’incontrollabilità dell’agente patogeno e il conseguente stato di malattia tendono ad indurre uno stato di allarme ipocondriaco. E come se non bastasse l’aggettivo “pazza” evoca la paura di impazzire presente ogni qual volta esista un’inconscia simultaneità di punizione e tentazione: il paziente avverte nel suo timore di impazzire l’interferenza delle esigenze inconsce, specialmente quelle dovute agli impulsi istintivi sessuali e aggressivi (8).

• Roberta è la sorella di un uomo defunto per la malattia di Alzheimer diagnosticata solo in sede autoptica e per un anno curato come schizofrenico. Da quando si è iniziato a parlare di “mucca pazza” ha evitato accuratamente di mangiare carne bovina ma non essendo una misura per lei sufficiente per cautelarsi dal contagio ha escluso dalla sua alimentazione prima tutte le carni e successivamente latte e derivati. Recentemente ha avvertito sintomi sovrapponibili a quelli che avevano portato il fratello ad essere considerato “pazzo”: difficoltà a concentrarsi, irritabilità, sensazioni di essere osservata e soprattutto un pervasivo stato d’ansia. A questo punto il sospetto di aver contratto qualche malattia neurologica è stato tale da indurla a chiedere una serie di accertamenti clinici che sebbene negativi non rappresentavano la prova certa di non essere stata contagiata dal prione della BSE. Consapevole che solo l’esame autoptico avrebbe dato un esito certo e messo al riparo i suoi due figli da qualsiasi conseguenza, ha iniziato a pensare al suicidio. Non ci volle molto tempo perché la paziente ricostruisse all’interno del rapporto psicoterapeutico la connessione tra la paura di impazzire, l’idea che i suoi figli avrebbero dovuto tollerare una madre pazza così come lei si era sentita sotto giudizio per la presunta schizofrenia del fratello, la rabbia covata verso i suoi quattro fratelli che l’avrebbero da sempre considerata la sorella debole e il desiderio di vendetta.

L’ultimo fattore slatentizzante è ricollegabile al vocabolo “mucca” che come è facilmente intuibile è evocativo di elementi materni. Aver paura della mucca anziché della madre ha un vantaggio non trascurabile, quello di uscire dal conflitto che l’ambivalenza avrebbe provocato: la madre che è stata amata e odiata contemporaneamente, è solo amata e l’odio è spostato sulla mucca e sul cibo cattivo. A questo proposito Freud ci fece notare che nel caso del piccolo Hans, avere paura dei cavalli anziché del padre aveva vantaggi multipli evitava di odiare il padre con il quale il bambino era costretto a stare quotidianamente mentre il cavallo che era allora più frequente di altri animali essendo anche un mezzo di trasporto lo si poteva evitare semplicemente non uscendo da casa. Anche nel caso della mucca pazza si tratterebbe di una proiezione vantaggiosa: da un pericolo istintivo interno su un pericolo reale esterno. Una proiezione di questo genere vale a dire il tentativo di sfuggire davanti ad un impulso pericoloso interno evitando una specifica condizione esterna che rappresenta tale impulso è il caso più frequente dell’angoscia isterica (2).

La proiezione è ancora più evidente quando l’angoscia causata da un oggetto esterno ha rimpiazzato il sentimento di colpa, invece di temere la propria coscienza ad essere temuto è l’oggetto. Un caso descritto da Helene Deutsch aveva la seguente semplice costruzione: un giovane inconsciamente passivo- femminile temeva le galline perché gli ricordavano i suoi desideri erotici e il pericolo di essere castrato al quale i desideri erano connessi. Anche in questo caso l’intimo conflitto istintivo era proiettato su un oggetto esterno facilmente evitabile.

Alcune idee fobiche per la loro intensità assumono le caratteristiche dell’ossessione e diventano deliranti quando il paziente è convinto della loro concretezza.

Il caso che segue pur essendo inizialmente simile al precedente mostra il viraggio dalla fobia all’anancasmo ossessivo.

• La paziente è una donna quarantenne felicemente sposata con due figli. Da due anni a questa parte l’atmosfera familiare si è fatta pesante per una serie di malattie fisiche: un’endocardite di un figlio e un linfoma non Hodking diagnosticato al marito. Da due anni la paziente assume regolarmente degli ipnotici ma da quando si è iniziato a parlare di “mucca pazza” l’ansia diurna sconfina nel sonno e i farmaci sembrano non avere più alcun effetto.

Mentre all’inizio era sufficiente per salvaguardare il benessere familiare evitare di mangiare carne bovina successivamente è stato indispensabile un controllo via via sempre più serrato anche degli altri alimenti e, se di giorno per contenere l’ansia è sufficiente assumere delle benzodiazepine, cercare di comprare solo cibi biologici e controllati, di notte l’idea ossessiva di aver mangiato ma soprattutto di aver dato da mangiare ai suoi familiari dei cibi avvelenati o infetti che avrebbero potuto provocarne la morte, la costringe ad ideare ricette sempre più frugali che escludano qualsiasi cibo sospettabile. È stato il marito a rendersi conto della necessità di un intervento specialistico quando di fronte all’evidente dimagrimento dei figli non si è più accontentato delle giustificazioni della paziente rispetto a una dieta salutare.

La paziente attualmente segue una terapia antidepressiva con venlaflaxina e i sintomi sono notevolmente ridimensionati pur permanendo uno sfondo ansioso, l’ostinata ricerca di cibi biologici e il rifiuto a mangiare carne rossa.

Anche in questo caso la storia della paziente permette una chiave di lettura più ampia dei sintomi descritti.

Intanto si viene a sapere che la madre della paziente è una donna estremamente organizzata nelle faccende domestiche, depressa da che viene ricordata, con sintomi ipocondriaci che hanno condizionato la vita della paziente al punto di non poter accettare l’idea di star male e tantomeno concederle il lusso di lamentarsi di un qualsivoglia malessere fisico. Un pensiero costante della paziente era “ti lamenti tanto ma ci sotterrerai tutti”.

Questo caso ci permette di fare alcune considerazioni a tre diversi livelli.

1. L’idea ossessiva “Se mangi … muori” è mossa da un meccanismo di autopunizione che deve tenere lontana o sostituire l’idea della perdita (nel caso della paziente le idee ossessive sono insorte in relazione temporale con l’ammalarsi del marito e del figlio).

2. L’ordine imparato dalla madre, la frugalità dei pasti e l’ostinazione con cui cerca determinati alimenti e si attiene ad una dieta che contempli quelli soltanto sono rispettivamente l’elaborazione psichica dell’obbedienza alla madre, della necessità di ritenere per controbilanciare la paura di perderla e infine della ribellione.

3. Nella paziente assistiamo al totale annullamento del piacere del cibo caratteristica che fino ad oggi è stata comune nei quadri di anoressia e bulimia e che ora sembra dar adito ad un nuovo quadro psicopatologico l’ortoressia nervosa (1).

L’annullamento sottende un tipo di aggressività passiva che nasce dalla razionalizzazione del pensiero “Mi piacerebbe mettere in bocca ed inghiottire tutto ciò che è piacevole e sputare tutto quello che è sgradevole, se non posso farlo allora nulla di ciò che posso mangiare mi interessa e dà piacere” (Freud S. 1913) (3).

Ma se nei comuni Disturbi dell’Alimentazione è la quantità del cibo ad essere l’elemento patognomonico, in questo caso di fanatismo ossessivo è la qualità, il “mangiar sano” ad essere l’elemento diagnostico centrale: gli ortoressici scelgono accuratamente i cibi che mangiano, più frequentemente si tratta di persone vegetariane che escludono ogni alimento non biologico e che preparano con scrupolo i piatti che consumano diventando sempre più severi con sé stessi di solito senza accorgersi di peggiorare la qualità della loro vita illudendosi di sconfiggere in questo modo ogni malattia.

• Antonio, pur essendo vegetariano da sempre, ammetteva nella sua dieta alimentare latticini e uova da quando si è iniziato a parlare di mucca pazza anche questi alimenti sono stati messi al bando e il ventaglio alimentare si è drasticamente ridotto ai soli vegetali rigorosamente biologici che lui stesso coltiva.

In casi come quello appena riportato possiamo parlare di atteggiamenti ossessivi che adottati come modi di vivere sembrano permettere all’individuo di adattarsi all’ambiente e seppure il prezzo pagato è alto sia in termini fisici che psichici far ragionare questi soggetti sui possibili effetti della loro scelta è pressoché impossibile dal momento che la sostengono come un comportamento socialmente adattivo (7).

Qualora lo stato di tensione psichica aumenti l’idea ossessiva tende a sistematizzarsi più intensamente e il paziente si convince della sua concretezza il viraggio psicopatologico è verso il delirio passando attraverso uno stato clinico transitorio che Freud definì di “delirio cronico coatto” (4).

L’esempio che segue è quello di un uomo che si trovava a parlare con amici in una situazione conviviale.

• Si tratta di un cinquantenne, professionista affermato, che sta attraversando per sua stessa ammissione un periodo di diminuzione della potenza sessuale. L’uomo durante una cena in cui l’argomento del parlare era caduto sulla sindrome da mucca pazza dice, dapprima cautamente poi infervorandosi, che secondo lui l’epidemia di BSE non sarebbe iniziata casualmente per negligenza degli allevatori o altro, bensì farebbe parte di un piano strategico finalizzato ad indebolire la Comunità Europea. Il fatto che l’infezione abbia preso il via proprio dall’Inghilterra ne sarebbe la prova dal momento che la storia, gli interessi economici e le colonie inglesi sono tali da rendere quel Paese ancora fuori dall’Unione Europea e saldamente agganciato all’America a sua volta preoccupata di una possibile espansione del Vecchio Continente. La partita quindi sarebbe America contro Europa e non potendo avvenire alla luce del sole per evidenti problemi diplomatici l’attacco avverrebbe rendendo immangiabile la carne rossa con l’intento di indebolire le risorse umane.

Questa tesi pur avendo suscitato la perplessità degli astanti ha trovato concorde uno di questi che ammettendolo ha rotto un silenzio imbarazzato e ha tranquillizzato l’uomo che stava palesemente cercando dei consensi.

Il caso è quello di un individuo potenzialmente paranoide che come tale rimane nella normalità finché sono rispettate determinate condizioni di sicurezza ma che crollerebbe se tali condizioni venissero a mancare, una di queste è l’aver sentito l’idea condivisa da altri, consenso che gli ha permesso di mantenersi attaccato alla realtà.

Il riuscire a mantenere un corretto esame di realtà non esclude che si possano sviluppare idee con un tipico contenuto delirante ma è quando si creano delle circostanze avverse e viene ad essere perduta la possibilità dell’esame di realtà che fantasie come quella dell’esempio possono tramutarsi in delirio (5). In casi come questo in cui il contenuto è derivabile da situazioni attuali è importante a fini diagnostici osservare se lo sviluppo di idee, convinzioni o interpretazioni contrastano in maniera ingiustificata ed evidente con il giudizio del gruppo sociale a cui il soggetto appartiene.

Concludendo si può sostenere che parlare di “psicosi” nel caso dell’allarme suscitato dalla mucca pazza o dai cibi transgenici o dall’inquinamento alimentare sia un’ingenuità fuorviante la diagnosi e l’approccio terapeutico al contrario è lecito sostenere si tratti di un fenomeno di iperemotività di massa che abbiamo definito per le sue caratteristiche sindrome di Orson Wells. Inoltre quello che notiamo è che in alcuni soggetti in cui è già presente un preciso quadro clinico alcuni elementi simbolici o rimangono impigliati nella trama di sintomi preesistente o, se la psicopatologia è presente ma in forma latente e del tutto tollerata il rischio è che gli stessi elementi tendano a slatentizzarla; in quest’evenienza, così come abbiamo visto per il delirio, la sintomatologia specifica tenderà a fornire la falsa percezione di trovarsi di fronte a qualcosa di nuovo e autonomo.

Inoltre i casi descritti dimostrano come le vie scelte dallo spostamento e quindi come gli elementi specifici si orchestrino con il resto della sintomatologia sono entrambe varianti determinate principalmente dalla storia dell’individuo va da sé che ogni tentativo di comprensione del sintomo, indispensabile per evitare errori diagnostici o terapeutici non può prescindere dalla conoscenza di questa.

Corrispondenza: dott. A. Berti, Clinica Psichiatrica I

Università di Genova, Ospedale “S. Martino”, largo Benzi, 10, 16100 Genova – Tel. 010 3537668 – Fax 010 3537669.

1 Bratman S. Health Food Junkies. Brodway Books 2000.

2 Freud S. Analisi della fobia di un bambino di cinque anni. In: Opere. Torino: Boringhieri 1908;9:189-249.

3 Freud S. La Negazione. In: Opere. Torino: Boringhieri 1925;10:197-201.

4 Freud S. La perdita di realta nelle nevrosi e nelle psicosi. In: Opere. Torino: Boringhieri 1920;10:39-43.

5 Freud S. Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia. In: Opere. Torino: Boringhieri 1924;6:335-406.

6 Freud S. Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva. In: Opere. Torino: Boringhieri 1909;9:189-249.

7 Hallyday JL. Social Pathology. Br Med J 1937;2:1012 sg. 1938.

8 Jones E. Papers on Psychoanalisis. In opera 1913.