Parole chiave:— Transessualismo – Disturbo dell’Identit� di Genere
Key words: — Transsexualism – Gender Identity Disorder
“Maschile e femminile sono correlativi che si implicano l’uno con l’altro. Ne sono sicura, qualit� e negazione della qualit� sono prigioniere della necessit�. Ma se mi interrogo sulla natura del maschile e del femminile, se mi domando se quella natura coinvolga il sesso maschile e quello femminile, se abbia in qualche modo a che vedere con l’apparato genitale, cos� a lungo negletto di Tristezza o piuttosto con il mio taglio, fresco di fabbrica, e i miei seni torniti a macchina, io, a questa domanda non so dare risposta. Nonostante sia stata sia uomo che donna, non sono in grado di rispondere a quegli interrogativi. Tuttavia essi mi sconcertano”.
Angela Carter (1982)
The Passion of the New Eve“Avevo tre o forse quattro anni quando mi resi conto che ero nato nel corpo sbagliato, e che avrei voluto essere una bambina per davvero […] attraverso gli anni ogni mio istinto sembrava diventare pi� femminile, la mia sepoltura dentro un fisico maschile pi� terribile per me”.
Jan Morris (1974)
Conundrum
Nel corso degli ultimi trent’anni l’interesse, scientifico e non, nei confronti dei transessuali � cresciuto in modo esponenziale. Un fenomeno pressoch� sconosciuto verso il quale non c’era un interesse attento e di cui si parlava poco usciva dai luoghi in cui era relegato. La mitica Coccinelle e le cliniche di Casablanca – luogo culto per eccellenza – ove questo miracolo della chirurgia plastica veniva consumato, sono un ricordo lontano. Fino alla fine degli anni Settanta i lavori scientifici sono pochi. Il confuso lavoro di Hamburger e Coll. (1), in cui il marine George Jorgensen viene descritto nella sua trasformazione in Cristine, ha alle spalle nomi che hanno fatto la storia della psichiatria: Friedereich, Esquirol, Westphal, Havelock Hellis, dalla Trasmutatio Sexus di Kraft-Ebing, alla Psychopatia Transsexualis di Cauldwell (2). Finalmente, agli inizi degli anni ’60, H. Benjamin (3) con il suo trattato su Il Fenomeno Transessuale, fu il primo ad usare il termine Transessualismo per definire e classificare una sindrome da non confondere assolutamente con le altre parafilie.
La letteratura, oramai vasta, tratta esaurientemente degli aspetti psicologici, psicopatologici, chirurgici, endocrinologici, sociali, legali, ecc. (4-10), di quanto oggi pi� correttamente viene inquadrato (i), nelle sue multiformi espressioni, nel Disturbo dell’Identit� di Genere (12).
In questa occasione, dal nostro punto di vista, l’attenzione sar� rivolta verso una letteratura meno accessibile e/o comunque meno frequentata. Intendiamo riferirci prevalentemente al maschio-transessuale perch�, oltre ad una maggiore incidenza del fenomeno al maschile, nell’immaginario comune viene cos� prevalentemente visto; riteniamo inoltre che la problematica al femminile non vada considerata speculare a quella maschile.
L’esperienza vissuta del corpo proprio, costituisce uno degli argomenti pi� appassionanti dell’indagine antropologia o, pi� esattamente, antropofenomenologica (13,14), proprio perch� concerne la capacit� dell’uomo di sperimentare se stesso quale soggetto ed oggetto nel medesimo tempo. Anche nei casi di accentuazione massima di una di tali due polarit� non si verifica mai la totale scomparsa dell’altra, bens� quest’ultima assolve il compito di rimanere a sfondo significante e come punti di riferimento della globalit� esistenziale. In questo contenitore ci sembra possibile inserire e tentare di comprendere la realt� del Transessuale. Alcuni concetti vanno chiariti preliminarmente. L’impostazione antropologica richiede premesse concernenti gli aspetti generali del vissuto corporeo, partendo dalla distinzione tra corpo-vissuto e mondanizzato (Leib) e corpo anatomico (K�rper). Nelle esperienze del proprio corpo ci si dibatte costantemente tra i poli dell’avere un corpo e dell’essere un corpo. Nell’esperire il mio corpo, questo mi si propone contemporaneamente nella sua ambiguit� di oggetto e soggetto. Caratteristica del corpo proprio � l’appartenenza, � l’essere costantemente esperito per mio. Di esso riconosco in ogni momento il possesso, da esso non posso allontanarmi, non posso allontanarlo, con esso formo un’unica essenza concreta. Il mio corpo � irriducibilmente e originariamente mio perch� � fuso con il soggetto che io sono. Nel progettarci nel mondo superiamo il corpo, ne dimentichiamo i limiti, siamo del tutto immemori di esser-corpo e di avere-un-corpo. Il corpo nel suo farsi quotidiano, nei rapporti con gli altri, con il mondo, � lo strumento attraverso il quale noi siamo-nelle-cose. In circostanze particolari, il corpo diventa presente. Il corpo mi si rivela positivamente nello sforzo contro una resistenza, nel riposarsi dopo un faticoso lavoro, nel distendersi sulla sabbia al sole dopo una lunga nuotata. Invece, il corpo mi si rivela negativamente se interviene per ostacolare, per porsi a presenza limitante; in tali contingenze il corpo si fa presente, ma limita la libert� dell’attuarsi nel mondo, si costituisce a diaframma tra l’Io e le cose; queste non vengono pi� sentite a disposizione ma appaiono irraggiungibili, non in rapporto con la propria esperienza vissuta.
Il corpo � la prima e fondamentale propriet� della persona; e poich� il corpo � la mediazione necessaria per entrare in relazione con l’altrui vita, il gesto d’incontro sessuale diventa un momento intenso di mutua comunicazione, in cui uno sente la presenza in s� della vita dell’altro e dei due distinti sentimenti fondamentali corporei se ne produce uno solo. Il corpo umano appare sempre, anche frammisto ad altri, come sotteso da uno schema sessuale, che � estremamente individuale, sottolineando aree erogene, delineando una fisionomia sessuale tutta propria ed evocando una gestica del corpo maschile e femminile, che � essa stessa integrata in questa totalit� emozionale, che non pu� mentire. Normalmente la percezione umana ha una struttura erotica pregna di aspetti spazio-temporali; ed ogni uomo ha la possibilit� di porsi in situazione erotica, di mantenerla o di seguirla, fino alla completa soddisfazione, ma anche di abbandonarla. Questa situazione, sempre pi� o meno presente, parla al corpo proprio (15), al Leib, situandolo in un preciso contesto sessuale. Ci� significa la perenne disponibilit� mondana del corpo, sempre intersoggettiva. Nella sessualit� normale si esperisce proprio questa consonanza di rapporto, questo modo autentico di progettarsi: ci� per� � possibile solo quando il mio-corpo non mi si dia come impedimento o come esplicito ostacolo; occorre che esso pienamente mi si riveli come mia appartenenza, di cui ho completa disponibilit�, non strumentale ma coesistenziale. Inoltre, possiamo affermare che la vita sessuale non � solo natura, ma anche – e forse soprattutto – storia; e la storia sessuale dell’uomo ci fornisce una chiave per la sua vita, proprio perch� egli nella sua sessualit� progetta il suo modo di essere verso il mondo, verso gli altri e verso il proprio futuro, la sua apertura o chiusura esistenziale, la sua bizzarria e/o creativit�. Ogni costituente psicologico, cognitivo ed emotivo, strutturale e di evento, pu� entrare nella storia sessuale, concepita come una forma generale di vita.
� quindi nella sessualit� che il corpo-che-ho (K�rper) tende a fondersi in un tutto unitario con il corpo-che-sono (Leib). Nella sessualit� il corpo si rivela nell’appartenenza al me (alla meit�), il corpo-per-me si costituisce in Leib declinandosi verso il fuori (15) ed instaurando la comunicazione con la corporeit� altrui. Tuttavia perch� possa esprimere il me stesso in modo ed in situazione concreta, � necessario che il corpo non mi divenga un impedimento od un ostacolo. Nel Transessuale, invece, il corpo si estranea dall’Io, ostacola ogni valida apertura, viene colto nella dimensione dell’avere (del corpo-che-ho), si cosifica, si reifica, � contemplato nella sua forma oggettiva estraniata ed estraniante, non si attiene ad un armonico schema sessuale, si pone in un assetto fisiognomico opposto alla determinazione anagrafica costituitasi alla nascita: la sua struttura anatomica non gli consente di collocarsi in una situazione erogena da poter mantenere ed alimentare con soddisfazione. L’altro viene recepito dal transessuale secondo le proprie domande non secondo offerte genuine del partner, e quindi viene oggettivato attraverso un rapporto che non � dialogico ma eminentemente monologico, soprattutto non compiutamente duale. L’intenzionalit� dell’incontro – nel transessuale – � sovvertita dalla stessa impossibilit� di intenzionarsi oltre il corpo-per-s�, in un’effettiva disponibilit� corporea. L’essere nel corpo transessuale ostacola l’approccio sessuale con l’altro ed � degradato ad artifici operativi che non possono esaudire esaustivamente nemmeno il desiderio, reso perverso dalla dismorfia o disarmonia corporea (16).
Il pensiero dello psicoanalista R. Stoller (17-19) � fin troppo noto per dilungarci sulle sue posizioni, ma brevemente alcuni punti vanno ricordati. Egli vede il Transessualismo come una identit� di genere femminile irreversibile determinata in un maschio da un particolare insieme di dinamiche familiari (ii). Il bambino � “femminilizzato” all’interno di una costellazione familiare patologica e non riesce mai ad acquisire un’identit� maschile. Aspetto molto importante � che il Transessuale di Stoller �, sostanzialmente, non patologico anzi libero da conflitti. Potremmo considerare Stoller, proprio per questo, una sorta di spartiacque fra la realt� del transessuale e la visione clinica.
J. Mitchell (20) recensendo Stoller (19), ne critica le sue posizioni e sottolinea che, viceversa, il transessuale maschio � portatore di una grave psicopatologia. Elemento centrale � la relazione tra i propri genitali e la capacit� di apprezzare il significato della differenziazione nel proprio genere: “il maschio transessuale � incapace di simbolizzare il proprio pene”. L’incapacit� del transessuale di acquisire un senso realistico della propria natura anatomica suggerisce un deficit nell’esame di realt� e la presenza di una psicosi. Limentani (21) continua su questa linea e afferma che nelle prime fasi di vita del transessuale c’� stata una “valutazione difettosa degli organi genitali e della genitalit�” (p. 147) come risultato di un disturbo nella formazione simbolica. Questo disturbo si sviluppa come conseguenza di un precoce fallimento nella separazione. Da diverse interviste con questi soggetti emerge la marcata ansiet� nella separazione dagli oggetti primari, ansia che manifesta “la gravit� dei processi identificatori proiettivi e introiettivi” (p. 148). L’intensit� di questi processi renderebbe il bambino confuso rispetto ai propri genitali ed altera la sua capacit� di sviluppare o formare “simboli genitali”. Il transessuale soffrirebbe, quindi, di un disturbo nella capacit� di simbolizzazione genitale e, per lo stesso motivo, nel senso di realt�, nell’immagine del corpo e nell’Io corporeo.
Crepault (22) propone una sua teoria sulle deviazioni sessuali distanziandosi dalle teorie freudiane sulla sessualit�, rifacendosi ai lavori della Mahler (23) e di Stoller; propone le deviazioni sessuali in un’ottica non di regressione a stati libidici infantili ma come un meccanismo specifico di adattamento che trae origine dalle prime relazioni oggettuali (la madre) e da una d�faillance nel processo di individuazione sessuale. L’autore parla di protofemminilit� per indicare la prima fase dello sviluppo postnatale, quando il bambino, indipendentemente dal suo sesso biologico, condivide la femminilit� della madre attraverso i contatti corporo-affettivi che ha con lei. Il Transessuale non ha potuto accettare di essere diverso dalla madre e di essere cos� costretto a separarsi da lei. Incapace di sciogliere il legame fusionale con la madre, mantiene con lei una “simbiosi focale” (iii). Perch� questo avvenga � necessario che esista una “madre transessualizzata” proprio come la descrive Stoller ed un padre passivo ed emozionalmente assente. In questo modo l’angoscia di separazione viene massimizzata favorendo cos� un meccanismo di adattamento transessuale. Il bambino sviluppa allora una identit� femminile ed in tal modo prolunga il legame con la madre ed esorcizza l’angoscia di separazione.
Particolarmente interessante ci sembra la posizione di Lacan (25-27) e della sua Scuola (28,29), che nell’affrontare il tema delle psicosi col linguaggio e coi concetti mutuati dalla linguistica moderna, offre diverse chiavi di lettura dell’inclinazione transessuale che si incontra negli psicotici. � all’interno della sua revisione del Complesso di Edipo (iv), quindi della Metafora Paterna, nelle Formule della Sessuazione, e nel Nodo Borromeo che, come suggerisce la Millot (30), � possibile trovare spunti per interpretare il fenomeno. A questi scritti va rimandato il lettore per chiarire ulteriormente dei passaggi che riteniamo fondamentali e qui solo accennati
� dalla simbolizzazione della funzione paterna che dipende, per un oggetto, la possibilit� di situarsi in rapporto al fallo che gli � correlato, come uomo o come donna. In mancanza del significante del Nome-del-Padre, che nella struttura significante inconscia del soggetto rappresenta la funzione paterna, si produrr� una carenza di possibilit� identificatoria del figlio rispetto al padre, che si manifester�, per esempio, nell’inconsistenza immaginaria della virilit�. Portata all’estremo, questa inconsistenza della virilit� pu� prendere la forma di una delirante esperienza di evirazione. In ogni modo, il pene non � che un pezzo di carne privo di significazione se non � correlato al desiderio materno. La reiezione del Nome-del-Padre pu� avere anche un altro effetto prossimo, ma nondimeno distinto dal delirio di evirazione: l’effetto di femminilizzazione che Lacan riferisce all’identificazione psicotica con il fallo che manca alla madre.
La struttura dell’inconscio comporta quattro termini significanti di base: la madre, il figlio, il padre, il fallo. Il fallo interviene come terzo elemento tra il figlio e la madre, come simbolo del desiderio di essa; il Nome-del-Padre come quarto elemento, essendo quello che da la ragione ultima di questo desiderio. In mancanza di questo quarto termine si produce un ribaltamento del figlio sul fallo che non funziona pi� come terzo termine. La relazione tra madre e figlio si trova ricondotta a una relazione duale in cui il figlio si identifica col fallo che manca alla madre. � in virt� di questa identificazione che lo psicotico si vede femminilizzato: “… per dover essere un fallo – scrive Lacan – il paziente sar� votato ad essere una donna […] Senza dubbio, la divinazione dell’inconscio ha molto presto avvertito il soggetto che, non potendo essere il fallo che manca alla madre, non gli resta altra soluzione che essere la donna che manca agli uomini” (citato in Millot (30)).
La femminilizzazione indotta dalla psicosi � un fenomeno clinico che si osserva con una relativa frequenza. Tuttavia il transessualismo non comporta sintomi psicotici, nel senso psichiatrico del termine. Infatti, Schreber (31) non esprimeva la sensazione transessuale di essere donna prigioniera di un corpo di uomo. Non si riscontra in lui l’adesione del transessuale alla sua femminilit�. Egli provava come una forzatura scandalosa, contraria all’ordine del mondo, la trasformazione femminilizzante che subiva. Se egli adattava poco a poco la sua immagine a quella di una donna, era per sottomettersi alle esigenze divine (v).
Se ci si attiene alla stretta definizione della posizione transessuale, che comporta la convinzione d’essere una donna in un corpo d’uomo e la deliberata volont� di far di tutto per conformare il corpo a questa convinzione, e tutto ci� in assenza del sintomo psicotico, allora si deve affermare che Schreber era uno psicotico, non un transessuale.
Per quel che concerne almeno il transessuale maschio, si pu� avanzare l’ipotesi, secondo quanto afferma la Millot, che il sintomo transessuale, stricto sensu (convinzione e domanda di trasformazione), corrisponda al tentativo di supplire alla carenza del Nome-del-Padre, di porre cio� un limite, un punto fermo, d’istituire una sospensione della funzione fallica. Il sintomo transessuale funziona come suppletivo del Nome-del-Padre in quanto il transessuale mira ad incarnare la donna. Non una donna, nel senso del “non tutta”, il che implica che nessuna donna � Tutta, interamente donna, che nessuna pu� valere per tutte, giacch� la posizione del transessuale consiste nel volersi Tutta, donna tutta intera, pi� donna delle altre e che le vale tutte. L’ideale femminile dei transessuali � la super-star, la Femmina con la F maiuscola, quella che, secondo Lacan, non esiste. � solo logicamente, infatti, che � reperibile; a livello dei quantificatori, e paradossalmente sul lato uomo, a livello del mito, ne esiste Uno che non � sottomesso alla castrazione. � in questa posizione che va situata la funzione logica sia del Padre primitivo sia della Donna che varrebbe tutte le donne. In effetti, � il posto del piacere come luogo dell’impossibile, il posto del piacere di tutte le donne, piacere supposto essere quello del padre freudiano dell’orda primitiva. Luogo del piacere della donna (genitivo oggettivo) del piacere che si ha di essa, ma luogo anche del piacere della Donna (genitivo soggettivo) quello che essa si ritiene provi nella sua radicale alterit�. Questo posto � quello dove la castrazione non vale, luogo di Tutto il piacere come di Tutta la Potenza, cio� di ci� che � perduto, quando lo si inscrive nella funzione fallica: � precisamente questa perdita che fa da limite. Questo annodamento permette di affermare che la Donna � uno dei Nomi-del-Padre.
La posizione transessuale dell’uomo supporrebbe, cos�, due momenti, difficili da distinguere ad un primo esame, poich� il primo corrisponde alla posizione femminile indotta dalla carenza del Nome-del-Padre e il secondo consiste nel ritrovare come limite, come supplenza alla funzione paterna, la femminilit� sotto forma de La Donna impossibile. Arrivando, pertanto, ad una elevazione alla potenza del femminile.
La possibilit� di una supplenza della funzione paterna, ossia la possibilit� che un significante possa venire ad occupare nella struttura il posto lasciato vacante dalla reiezione del Nome-del-Padre, trova il suo sostegno nel Nodo Borromeo (vi). A partire da questa nuova formalizzazione la Millot situa la traiettoria transessuale nel modo seguente: in mancanza del Nome-del-Padre, Realt�, Simbolico e Immaginario sarebbero liberi se essi non fossero annodati da un quarto, costituito dall’identificazione del soggetto con la Donna. Ma questo quarto non fa che tenere insieme l’Immaginario e il Simbolico. Il Reale, invece, non risulta annodato e la domanda del transessuale consiste nel reclamare, a questo punto, che sia fatta la correzione che aggiusterebbe il Reale del sesso al nodo Immaginario e Simbolico.
Manca negli scritti junghiani una concettualizzazione chiara dei concetti di sesso e genere, ma non crediamo, come sottolineano Samuels e Coll. (33) che “Jung tendeva a confondere sesso e genere”, piuttosto, come in molte altre situazioni era pi� consono al pensiero di Jung mantenere, nella non definizione, una porta aperta. Maschile e Femminile non sono, per Jung, un tratto della personalit� legato esclusivamente al sesso, e l’eterosessualit� non � un qualcosa che l’uomo sviluppa nel tempo. In un certo senso, riteniamo fosse questo un modo per differenziare tra sesso, come un qualcosa presente dalla nascita perch� legato al corpo, e l’eterosessualit� (genere) come un qualcosa che l’uomo acquista nel tempo e, pertanto, legato anche a fattori ambientali, educativi, sociali, ecc. E con i concetti di Animus e Anima va ad indicare quelle controparti inconsce, che riflettono l’opposto del sesso anatomico, che mediano e determinano i rapporti con l’altro sesso.
Ne “I Tipi Psicologici”, Jung (34), parla della scelta di evirazione fatta da Origene. Ma il “sacrificium phalli” � visto e interpretato come il sacrificio della funzione di maggior valore, senza riferimento a problematiche di identit�: “… il processo cristiano esige infatti la completa abolizione del legame sensuale con l’oggetto o, pi� esattamente, vuole il sacrificio della funzione tenuta sino a quel momento nel massimo conto, del bene pi� caro, dell’istinto pi� forte” (vii).
In questa sede proponiamo una ipotesi interpretativa secondo alcune categorie junghiane. Elementi portanti di tale approccio sono il mito e le rappresentazioni simboliche che attraverso i riti l’umanit� ha elaborato nel corso della sua storia. La Psicologia Analitica attribuisce al mito un ruolo centrale nel determinare la cultura umana e, con essa, ogni produzione psichica. In sintesi, l’uomo ha spostato, e sposta, sul mito la libido sottratta alla situazione di indifferenziazione iniziale, facendolo diventare, quindi, un momento di “rappresentazione” della vita psichica e, inoltre, attraverso la funzione simbolica, un elemento determinante per la costruzione della realt� collettiva e individuale. L’Io e la coscienza si sviluppano e si trasformano vivendo e superando una serie di immagini eterne, sperimentandone l’effetto che queste hanno nel processo di differenziazione dall’inconscio. Secondo Jung (35), all’origine non stanno la figura paterna e il “complesso di Edipo”, ma piuttosto i rapporti tra madre e figlio. E da Bachofen (36) egli trae la convinzione che il ruolo preminente nell’evoluzione dell’uomo � stato quello femminile, e pi� specificamente quello materno. �, comunque, Neumann (37) che, pur accettando la tesi della priorit� storica del matriarcato, sottolinea che il reale interesse non sta nella individuazione di una successione cronologica tra strutture sociali, e che tanto meno � accettabile l’ipotesi che vede nel trionfo del patriarcato un progresso. L’archetipo della Grande Madre, di cui egli individua le tracce nel mondo antico ed in particolare nei suoi miti, � un archetipo e in quanto tale primigenio ed eterno. Quello che conta � individuare i caratteri psichici del matriarcato, non il susseguirsi di momenti storici diversi. Sotto questo aspetto, il mondo della Madre caratterizza la condizione psichica primordiale, in una situazione di assoluta indifferenziazione, in cui la coscienza si sviluppa soltanto lentamente e, solo progressivamente si libera dal predominio dei processi direttivi dell’inconscio, acquistando a poco a poco la propria autonomia.
La prima divinit� � la Madre: simbolo della vita e della morte, della fecondit� e della distruzione; portatrice di una numinosit� che la poneva in primo piano ed escludeva i maschi. Questi, nascevano e morivano apparentemente senza riprodursi e senza lasciare traccia di s�, poich� non era possibile mettere in relazione tra loro l’atto del concepimento – di cui non si aveva conoscenza – ed il parto. Appare cos� quasi ovvio ritenere che le “immagini prime” abbiano avuto, per lungo tempo, come modello esclusivo la donna e le sue “funzioni superiori”. Si potrebbe, anche, supporre che, nel profondo dell’inconscio collettivo maschile sia rimasta la sensazione di una carenza, di una incompletezza. Mancanza dovuta all’impossibilit� – che gli uomini ritenevano tale – di partecipare delle medesime funzioni riproduttrici della donna, ignari della fonte dei misteri divini che essa pareva condividere con l’universo. Le donne riproducevano la vita, sapevano creare esseri femminili uguali a s� ed esseri maschili diversi da s�, mentre gli uomini non potevano dare, e darsi, prove altrettanto evidenti del loro contributo a quello che, solo in seguito, si sarebbe identificata, come “Paternit�” (viii). La donna dimostrava di avere qualit� biologiche sovramaschili anche con i cicli mestruali, che la ponevano sullo stesso livello del ciclo cosmico degli astri, della vegetazione e del mutare delle stagioni, della migrazione degli uccelli. La donna, con il suo ciclo mestruale analogo al ciclo lunare, sembrava far parte della ciclicit� cosmica, dalla quale l’uomo si sentiva ed era escluso. Facendo esistere altre creature, la donna mostrava peculiarit� che l’uomo non possedeva. E inevitabilmente si poneva come Signora della vita (Gallino (39)).
Cos� la mestruazione ciclica e la fertilit� femminile, ritualizzate e rese simbolo, sono diventate patrimonio del maschio entrando nei miti e nei riti maschili. Un esempio di quanto detto si pu� riscontrare ancora oggi nella pratica della subincisione praticata dagli Aborigeni. L’operazione consiste nell’aprire tutta o in parte l’uretra penica nella sua zona inferiore. L’incisione iniziale si estende generalmente per due o tre centimetri, ma pu� venire in seguito prolungata in modo tale da collegare il glande alla radice dello scroto. Cos�, tutta la zona inferiore dell’uretra rimane aperta. Particolare importante di questo rito � che non viene imposto ma scelto volontariamente dal soggetto: non evirazione imposta ma femminilizzazione desiderata. Che non si tratti di una castrazione ma di una operazione voluta e desiderata lo dimostra anche il fatto che tale ferita viene indicata dagli Aborigeni col nome di “vulva” e la parola che indica il pene subinciso significa “quello che ha una vulva” (ix).
Partendo da quanto fin qui detto si potrebbe supporre che, come nota la Gallino (39), l’uomo abbia cercato di eguagliare la numinosit�, di possedere la medesima ferita tra le gambe, di diventare mestruante, e di manifestare egli stesso, in qualche modo, la medesima ciclicit� cosmica della donna. Procurandosi la ferita dal significato magico-simbolico tra le gambe, l’uomo si procurava una stigmate divina, anche se artificiale, che lo elevava nel rango sociale e avrebbe legittimato la sua “eroicit�”. L’immagine archetipica di una ferita numinosa che la donna possiede dalla nascita, e che il maschio si sente inconsciamente costretto a procurarsi dopo la nascita, se vuole diventare divino e magico come la donna, sembra accompagnare l’uomo attraverso i tempi. Inoltre, anche la ciclicit� delle mestruazioni � stata resa mito e ritualizzata. L’uomo amenorroico e aperiodico, per tutta la durata della sua vita, ha infatti elaborato spesso, nei temi mitici, l’idea di una “morte ciclica”. La donna era considerata “immortale” grazie al fatto che si rinnovava nei suoi stessi figli. Rinasceva attraverso le creature che dava alla luce. Ecco, quindi, comparire sulla scena divinit� maschili che assumono la sorprendente e ripetitiva caratteristica di morire e rinascere ogni anno. Potevano essere uccisi e castrati o castrarsi da soli. Ecco comparire le prime tracce di comportamenti che oggi definiremmo transessuali, in cui l’autoevirazione rappresenta si una trasformazione corporea ma anche un atto sacro.
Nella mitologia greco-romana si trova la figura divina di Attis, legato a Cibele che essa genera, sposa ed indirettamente uccide, per farlo poi rinascere in un ciclo perenne di vita e di morte. Il punto pi� importante di tale ciclo � l’evirazione di Attis. I sacerdoti del dio Attis si autocastravano, quindi si travestivano e si adeguavano a mansioni da donna. Ancora nel IV secolo d.C., a Roma, ogni anno alla fine di marzo, numerosi fedeli si eviravano e giustificavano il loro gesto sostenendo di voler emulare il dio Attis. Dopo l’autocastrazione diventavano sacerdoti di Attis e di Cibele ed acquistavano il diritto di vestirsi con lunghe vesti femminili (x). Punto centrale era, quindi, l’evirazione reale, ritualizzata ma non simbolica.
Ma come tutto ci� pu� aiutarci ad interpretare il fenomeno transessuale?
In quello che dovrebbe essere un percorso di crescita normale – cos� come ce lo descrive Neumann (37)- all’inizio, l’Io � solo un organo creato e diretto dall’inconscio, lentamente si distanzia dalla tendenza inconscia che vuole dominarlo, non si lascia “possedere” da essa ma impara a conservare la propria indipendenza sia di fronte all’interno che all’esterno (xi).
Secondo Neumann, ogni volta che il lato negativo della Grande Madre � prevalente e dominante, quindi ogni volta che compare il suo lato distruttivo che si mostra come elemento maschile fallico, l’indifferenziazione iniziale � ancora attiva. Il che significa che l’Io non si � ancora reso autonomo dall’inconscio, e il figlio si presenta come “figlio-amante” della Madre: “virilit� e coscienza non posseggono nessuna autonomia”. Unica risposta la fuga e il rifiuto del confronto con la Grande Madre. Espressione prima di questa fuga diventa proprio l’autocastrazione (o il suicidio); mentre il rifiuto porta proprio a quello che questa madre terribile richiede: l’offerta del fallo (xii). In questo modo si potrebbe spiegare la “spinta transessuale” come l’incapacit� che la coscienza e il Complesso dell’Io in crescita hanno di superare la fase del “figlio amante” per mancanza di una quantit� di libido tale da consentire il passaggio alla fase dell’eroe. Il Transessuale si identifica totalmente con Attis e come lui esiste solo perch� diventa, attraverso la castrazione (in questo caso reale), la Madre stessa. Si potrebbe, pertanto, parlare di uno sviluppo difettoso della coscienza, che ha impedito il passaggio ad una fase successiva in cui l’Io e l’inconscio si distaccano dalle immagini primordiali per diventare autonomi in una loro identit� diversa da quella della madre generante. Il transessuale non � riuscito n� a ritualizzare n� a vivere e superare sul piano simbolico la spinta a possedere la vagina-ferita; vive il proprio corpo di maschio come un “errore della natura” e, pertanto, in quanto errore va riparato. Quello che un tempo si esprimeva con l’autocastrazione, e che nel tempo si � trasformato in una ferita simbolica ottenuta tramite riti diversi diventa, per il transessuale di oggi, una richiesta legale affinch� il chirurgo possa correggere ci� che la natura ha sbagliato. Il “figlio simbiotico” descritto da Stoller pu� essere, in un certo senso, assimilato al figlio-amante della Grande Madre. Rimanendo attaccato alla madre reale, ma soprattutto a quella archetipica, si priva quindi di ogni possibilit� di crescita e di riconoscimento come maschio diverso e staccato da lei; pu� solo rinunciare al fallo per consentire che questa identificazione sia totale. Imprigionato in questa simbiosi, non pu� che ricorrere al chirurgo affinch� lo aiuti ad immolare il suo fallo e a rendere il suo corpo uguale a quello della donna che lo ha generato.
Il transessuale, non essendo riuscito a vivere questo “archetipo della ferita” su un piano simbolico, si � identificato completamente nella figura del figlio-amante della Grande Madre che finisce evirato. Avviene, in lui, quel che si potrebbe definire un’identificazione in un mito degradato. Il transessuale sperimenta in s� il Mito di Attis, e come lui si evira. Il mito, analogo a certi aspetti dell’esperienza personale, invece di fornire una prospettiva simbolica, si sostituisce a questa e non pu� che essere vissuto come fatto reale.
Per concludere, alcune considerazioni di carattere pi� etico che clinico. Se ci si interroga sulla liceit� dell’intervento chirurgico come modalit� terapeutica di una problematica essenzialmente psichica non possiamo non evidenziare che l’intervento di riconversione presenta anche aspetti di manipolazione alteratrice. Da un punto di vista medico il sesso biologico del transessuale non presenta anomalie di alcun genere, � esente da patologie, � anatomicamente e fisiologicamente sano. L’intervento viene paradossalmente a creare una condizione in cui la funzione procreativa viene meno, viene alterato il programma genetico e l’effetto finale � un come se, un simulacro, un’imitazione dell’originale. Tuttavia, non possiamo che essere d’accordo con Santosuosso (44), il quale sottolinea che “La legge del 1982 d� ai transessuali la possibilit� legale di praticare un intervento chirurgico che porti al mutamento del sesso […]. Essa si basa sull’accertamento delle condizioni psicosessuali dell’interessato (xiii) e, per il rilievo che d� all’aspetto psichico, costituisce un netto superamento dell’idea che il sesso sia determinato solo su base cromosomica. La Corte Costituzionale conferma in pieno la legittimit� della Legge, e definisce l’intervento chirurgico come atto terapeutico teso alla realizzazione del diritto alla salute del transessuale: questi, attraverso l’intervento, ricompone l’equilibrio tra gli aspetti fisici e psichici della sua sessualit�”.
1 Hamburger C, Sturup GK, Dahl-Iversen E.
Transvestism: hormonal, psychiatric and surgical treatment.
JAMA 1953;52;39-96.
2 Bullough D.
Transsexualism in History.
Archives of Sexual Behavior 1975;5:561-571.
3 Benjamin H.
Il fenomeno transessuale.
Roma: Astrolabio 1968.
4 Baldaro Verde J, Graziottin A.
L’enigma dell’identit�. Il Transessualismo.
Torino: Edizioni Gruppo Abele 1991.
5 Eicher W, Borruto F.
I Transessualismi. Trasformazione uomo-donna e donna-uomo. Interventi chirurgici per il cambiamento del sesso.
Verona: Edizioni Libreria Cortina 1983.
6 Abbate L.
Transessuale. Lemma in Enciclopedia del Corpo.
Roma: Istituto dell’Enciclopedia Italiana (in corso di stampa).
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a) Il gradito invito rivoltoci dalla Redazione di questo Giornale di Psicopatologia � occasione preziosa per richiamare l’attenzione dello psichiatra di oggi verso la figura del Transessuale: nell’ambigua proposizione della sua corporeit�, della sua identit� e del suo modo di situarsi nel mondo attuale.
L’orizzonte fenomenologico, quello psicoanalitico, e quello della Psicologia Analitica junghiana vengono qui prospettati nella loro validit� euristica, densa ma non sempre facile a cogliersi, nel loro spessore di fondazione teoretica e nel suggestivo richiamo per l’approfondimento psicopatologico e forense volto ad una prassi ineludibile.
i) La decima revisione della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-10)11 lo identifica ancora col termine Transessualismo, inserendolo all’interno dei disturbi dell’Identit� Sessuale, affiancando, come condizioni affini, un Disturbo dell’Identit� di Genere della Fanciullezza e il Travestitismo con doppio ruolo.
ii) Queste le parole di Stoller18: “Una madre che nella propria infanzia ha attribuito poco valore alla sua femminilit� e alla sua appartenenza al sesso femminile. La propria madre l’aveva trattata come se fosse un essere neutro, mentre il padre, che aveva per lei una maggiore considerazione, l’aveva incoraggiata ad identificarsi con i suoi interessi maschili. Fra la prima infanzia e la pubert�, la bambina aveva accentuato a tal punto le qualit� mascoline da desiderare di essere un maschio e per vari anni aveva indossato solo abiti maschili, si era tagliata i capelli come un maschietto e aveva giocato solo con i maschi, gareggiando con essi, a volte con successo e su un piano di parit�, specialmente nell’atletica. Con l’inizio dei mutamenti fisici dell’adolescenza la bambina – a differenza delle donne transessuali, alle quali finora era somigliata – rinunci� a tutte le speranze di poter mai diventare un maschio. Si costru� invece una facciata femminile e col tempo si spos�. L’uomo da lei sposato – il padre dell’individuo transessuale – � un uomo passivo, distaccato, anche se di solito non effeminato, che non rappresenta una figura forte o significativa nel matrimonio. Ci si attende che dia un sostegno economico alla famiglia e che, quanto al resto, si offra semplicemente alla moglie come oggetto di derisione. In questa famiglia degna di commiserazione � nato il futuro transessuale”.
iii) Col termine simbiosi focale l’autore si rif� ai lavori di Greenacre 24 che introduce questo concetto per designare l’interdipendenza estremamente forte, fra la madre e il bambino, la quale si limita ad una relazione speciale e circoscritta piuttosto che riguardare la relazione globale.
iv) Il Complesso d’Edipo rappresenta, secondo Lacan, una metafora particolare che consiste nella sostituzione di un significante – il Nome-delPadre – a un altro significante – il desiderio della madre; l’effetto prodotto � designato dal simbolo fallico.
v) Mac-Alpine e Hunter 32 nella prefazione all’edizione inglese delle memorie di Schreber, facevano notare che ci� che Freud designava come omosessualit� in Schreber era in effetti un’ondata di impulsi transessuali: il corpo di Schreber sta per trasformarsi in un corpo femminile. Tale impulso � una delle fonti del timore dell’omosessualit�, timore che potrebbe esser meglio definito come “timore del Transessualismo”. Non condividiamo la posizione di questi due autori, ci sembra che il loro pensiero sia confuso rispetto alla tendenza generale a non sovrapporre transessualismo ed omosessualit�.
vi) La teoria dei nodi costituisce un campo sviluppato dalla topologia matematica. Il nodo borromeo, cos� chiamato perch� fu utilizzato dai Borromei come simbolo delle loro alleanze con altre due famiglie, consiste nell’annodamento di tre anelli in modo che se uno si rompe gli altri due vengono sciolti. Questa singolare propriet� incit� Lacan a servirsene per dare supporto alla relazione, nell’inconscio, esistente tra i tre registri: il Simbolico legato al linguaggio, l’Immaginario legato alle rappresentazioni associate ai corpi, il Reale come dimensione necessitata dall’impossibilit� di riferire tutti i fenomeni inconsci ai primi due. Il nodo borromeo, inizialmente composto da tre anelli, pu� essere generalizzato fino a comprendere un numero indefinito di anelli, senza perdere la sua caratteristica di disfarsi se uno di essi si rompe. � in questo senso che il nodo a quattro anelli � utilizzato da Lacan per fornire un supporto formale al complesso di Edipo, che consisterebbe nell’annodamento del Simbolico, dell’Immaginario, del Reale e del Nome-del-Padre come quarto registro. La possibilit� di una supplenza significa che un significante, diverso del Nome-del-Padre, pu� svolgere la funzione del quarto per consentire al nodo di tenere. Certi sintomi possono avere questa funzione. Un’altra forma di supplenza pu� consistere, per esempio, in un quinto anello che, annodandone altri due, consente la tenuta di quattro anelli che, senza di esso, uno di loro venisse a sciogliersi (Millot 30).
vii) Anche il delirio di Schreber 31, a ben vedere, � tutto rivolto a Dio: “� mio dovere offrirgli questo piacere per quanto sia possibile nelle attuali condizioni che attentano l’ordine dell’universo e di offrirgli sotto forma del maggiore sviluppo possibile di volutt� dell’anima. E se, ci� facendo, un po’ di piacere sessuale me ne viene di riflesso, mi sento giustificato ad accettarlo a titolo di lieve indennizzo per tutte le sofferenze e le privazioni che ho patito in tanti anni” .
viii) Ricordiamo qui, per esempio, che gli abitanti delle isole Trobriand, descritti da Malinowski 38 ancora oggi vivono la procreazione come un atto che appartiene solo alla donna
ix) Bettelheim 40 sostiene infatti che “Scopo del rituale diviene allora […] la riproduzione simbolica dell’organo sessuale femminile, mentre la riapertura ciclica della ferita sta a significare il fenomeno periodico della mestruazione”. Anche nei loro canti gli uomini, sottolinea Eliade 41, ripetono che il sangue della loro ferita non � pi� il loro sangue. La ferita diventa la vagina dell’Antenata che perdeva proprio da li il suo sangue, di conseguenza il sangue dell’uomo che esce dalla ferita � uguale a quello del flusso mestruale.
x) “… al culmine dell’esaltazione, il 24 marzo (dies sanguinis), i Galli (sacerdoti di Cibele) si castravano volontariamente tagliandosi l’intero organo genitale con un coltello di selce consacrata. […] Per compiere tale mutilazione, l’uso di una lama di bronzo o di ferro era interdetto […] il flusso dell’emozione orgiastica invadeva gli spettatori che, anch’essi, sacrificavano la propria virilit�. Gli adoratori della dea correvano per le strade, l’organo genitale in mano. Lo lanciavano all’interno delle case, ricevendo allora, secondo l’usanza, delle vesti di donna” (42).
xi) In un percorso di crescita normale ogni pulsione e ogni istinto, ogni tendenza arcaica e ogni tendenza del collettivo pu� allearsi con l’immagine della Grande Madre e opporsi all’Io. L’Io e la coscienza sono costretti a lottare per farsi un loro posto e a difendersi all’interno contro le ritorsioni della Grande Madre e, per consolidarsi devono affrontare una lotta lunga e durissima. Via via che la coscienza si emancipa e si contrappone pi� decisamente all’inconscio, l’evoluzione dell’Io porta a uno stadio in cui, inevitabilmente, la Grande Madre non appare pi� amichevole e benigna per l’Io, ma nemica e terribile; e viene vissuto dalla coscienza come tendenza dell’inconscio che mira ad annientarla. Tale tendenza coincide con il fatto fondamentale che l’Io e la coscienza devono faticosamente sottrarre all’incoscio la quantit� di libido necessaria alla propria sussistenza, e se non riescono in questo ricadono nell’incoscio. Quello che l’Io sperimenta come distruttivit� � anzitutto la carica energetica soverchiante dell’inconscio, e in secondo luogo la sua debolezza, la scarsa resistenza e l’inerzia della propria struttura coscia. � in questa fase che, secondo Neumann, compare l’archetipo dell’Antagonista su cui questi elementi vengono proiettati. L’opposizione dell’Io all’inconscio passa, quindi, dalla paura e dalla fuga, all’atteggiamento di sfida di “coloro che oppongono resistenza”, per poter arrivare, solo in seguito, all’atteggiamento combattivo dell’eroe.
xii) “I giovani che fuggono terrorizzati e impazziti di fronte alla richiesta d’amore della Grande Madre, tradiscono con l’autocastrazione la loro irriducibile fissazione al simbolo centrale del culto della Grande Madre, il fallo; ed essi lo offrono a lei, sia pure negandolo al livello della coscienza e con un Io che protesta” 43
xiii) � importante sottolineare che la diagnosi di transessuale � fondamentalmente un’autodiagnosi. � il soggetto che si riconosce come tale. Compito del clinico � quello di indagare quanto genuina sia questa scelta e quanto il soggetto che la pone non presenti problematiche di ordine psicotico.