Caro Editor,
le recenti pubblicazioni sulla stampa sul rischio che gli antidepressivi possano indurre idee ed atti suicidi, ha provocato notevole allarme fra il pubblico ed il mondo medico. Naturalmente i più colpiti da questa notizia sono stati i pazienti depressi ed i loro familiari.
Il problema non è nuovo. Già nel 1958, durante i primi studi sul Tofranil, Kielholz e Battegay notarono questo rischio e lo spiegarono con l’aumento dell’energia provocato dall’antidepressivo, prima che questo migliori l’umore e risolva le idee di suicidio.
Negli anni successivi, lo stesso effetto fu attribuito agli inibitori delle monoamino-ossidasi ed ai triciclici più disinibenti come la desipramina e la nortriptilina, ma anche alla maprotilina. I casi riportati erano però sporadici.
L’attenzione era più concentrata sulla tossicità dei triciclici e tetraciclici usati come mezzo di suicidio.
La bassa tossicità degli SSRI presi in overdose fu accolta con favore e, insieme ai minori effetti collaterali, ne ha agevolato la grande diffusione.
Ben presto, però, sono apparse delle comunicazioni (Teicher, 1990; Creaney, 1991; King, 1991; Rothschild e Locke, 1991; Wirshing, 1992; Healy, 1994) di pazienti che manifestavano per la prima volta nella loro vita idee di suicidio durante il trattamento con fluoxetina. In questi casi le idee di suicidio insorgevano in uno stato di agitazione e di acatisia.
In seguito si è osservato un rischio simile anche con l’uso degli altri SSRI.
Numerose sono state le chiamate in giudizio delle case farmaceutiche produttrici di SSRI.
Nell’Ottobre 2003 la Food and Drug Administration (FDA) ha raccomandato molta cautela nell’uso degli SSRI nei giovani, a seguito di un registrato aumento nell’ideazione e nei tentativi di suicidio.
Nel Dicembre 2003 il British Committee on Safety on Medicines (CSM) ha proibito l’uso degli SSRI negli adolescenti, con l’eccezione della fluoxetina.
Il problema è naturalmente di drammatica importanza e meriterebbe un approfondimento circa quali pazienti siano esposti ad un tale rischio.
Dai casi pubblicati risulta che l’ideazione suicidaria era associata ad agitazione psicomotoria o solo psichica.
È noto che la depressione agitata comporti un aumentato rischio di suicidio. In effetti, il dolore psichico, l’irrequietezza, l’ansia, l’agitazione psichica, il martellamento dei pensieri provato dal paziente è insopportabile ed un forte impulso lo spinge a porre fine a tutto ciò, togliendosi la vita. I tentativi di suicidio sono, infatti, impulsivi e violenti. Da notare che molti casi non presentano un’agitazione psicomotoria, ma solo una forte agitazione psichica.
È frequente l’osservazione clinica che tali malati si aggravano sotto l’effetto degli antidepressivi, probabilmente di più sotto l’effetto degli SSRI. La depressione agitata è in effetti una sindrome depressiva mista e l’effetto degli antidepressivi stimola ulteriormente la componente eccitativa, aggravando tutta la sindrome.
La depressione agitata ha una lunga tradizione nella psichiatria. Descritta per la prima volta da Ippocrate, è stata una sindrome depressiva importante nell’opera di Heinroth, Griesinger, Falret, Richarz (melancholia agitata), Kraepelin, Waygandt, Bumke e di tutti gli altri grandi psichiatri del passato.
Purtroppo sia il DSM-IV sia l’ICD-10 non riconoscono la depressione agitata come sindrome distinta dalla depressione maggiore; considerano anzi equivalenti l’agitazione ed il rallentamento psicomotorio, così come l’insonnia e l’ipersonnia. Il medico è perciò indotto a curare nello stesso modo questi due tipi di depressione, con risultati dannosi per i pazienti agitati. Questi pazienti andrebbero, invece, trattati all’inizio con terapie calmanti ed antieccitative (antipsicotici, antiepilettici, litio, benzodiazepine) e solo in un secondo momento, solo qualora continuino a manifestarsi sintomi depressivi senza agitazione, si possono introdurre antidepressivi, possibilmente triciclici. Ovviamente l’elettroshock cura rapidamente sia l’agitazione sia la depressione.
Un problema più difficile per il clinico sono quei pazienti apparentemente non agitati, ma che si agitano sotto l’effetto degli antidepressivi. Diremmo che soffrono di una Depressione agitata latente. Ma anch’essi presentano dei segni caratteristici: completa mancanza di inibizione psicomotoria ed ideativa, una certa vivacità espressiva sia mimica sia verbale tanto da essere scambiati per “isterici” o altri disturbi di personalità. Anche qui, nel dubbio, si dovrebbe evitare l’uso degli antidepressivi sino a che non si chiarisca il quadro.
La Depressione agitata è più frequente di quanto spesso ritenuto: riguarda circa il 25-30% di tutte le depressioni maggiori, sia unipolari sia bipolari.
Pensare di bandire l’uso degli SSRI nelle depressioni, specie unipolari, sarebbe come proibire l’uso dei beta-bloccanti perché alcuni medici li usano in casi di bradicardia. Evitando invece il loro uso nei pazienti con depressione agitata, anche se latente, si curerebbe meglio il malato e si eviterebbe l’aggravamento dell’agitazione che comporta un maggiore rischio di suicidio.